Ogni anno in Slovenia, il 25 giugno, si festeggia l'indipendenza ottenuta nel 1991. Ed ogni anno, come per altre ricorrenze nazionali, la giornata è all'insegna dello scontro politico-culturale tra rossi e bianchi
In Slovenia non c’è festa nazionale che si rispetti senza una verbosa cerimonia che unisce i discorsi politici ad un adeguato programma culturale. Il risultato a dire il vero non è stato mai esaltante, ma queste manifestazioni servono per fare il punto e misurare il polso alla nazione slovena, alla sua classe politica, ai suoi intellettuali in un connubio tra questi due mondi.
La cerimonia di quest’anno (svoltasi venerdì scorso) è stata senza dubbio la più singolare, una di quelle che non ci si poteva perdere, sia per la valenza politica dell’evento sia per quella culturale.
A tutto folk
Andiamo con ordine. Dopo anni di rappresentazioni fatte all’insegna del teatro sperimentale, di colte citazioni letterarie, di balletti classici e persino di concerti rock, a trionfare questa volta è stata la versione più bucolica del paese, quella legata ai gruppi folcloristici amatoriali.
La Slovenia urbana, delle avanguardie, dell’arte raffinata ed ermetica, che a dire il vero, poche volte ha offerto spettacoli accattivanti, ha ceduto il passo ai rassicuranti balli tradizionali. Adesso bisognerà vedere se si tratta solo di una riscoperta temporanea della cultura popolare o se questo trend è destinato a prendere sempre più piede e a diventare il filo conduttore delle prossime celebrazioni.
Del resto il folclore in Slovenia non è privo di tradizione. Era stato magistralmente promosso e coltivato al tempo del comunismo. Questa forma di attività “artistico – culturale” in tutto l’est Europa aveva la funzione di avvicinare le masse all’elitario mondo della cultura, ma anche quella di relativizzare l’importanza ed il prestigio degli intellettuali, molti dei quali tutt’altro che entusiasti del nuovo ordinamento che si andava instaurando nei loro paesi.
Rossi e bianchi
Come è spesso accaduto in Slovenia anche quest’anno le feste nazionali si sono trasformate in un serrato terreno di scontro in cui si continua a combattere una vera e propria “guerra culturale” tra “rossi” e “bianchi”, ovvero tra chi durante la Seconda guerra mondiale scelse il movimento partigiano e chi invece entrò nelle fila delle truppe collaborazioniste. In sintesi queste celebrazioni più che a unire sembrano servire per rendere più radicali e insanabili le divisioni. Del resto, in passato, la polemica è stata accesa e molto spesso le diverse componenti politiche del paese hanno celebrato in tempi e luoghi separati.
Il 27 aprile scorso il governo di centrodestra aveva deciso che non avrebbe allestito la consueta manifestazione per celebrare la Giornata della Resistenza, ufficialmente per ragioni di contenimento della spesa. A correre in soccorso ai reduci partigiani il leader dell’opposizione, nonché sindaco di Lubiana, Zoran Janković che preparò una cerimonia che diventò di fatto una specie di giornata dell'orgoglio della sinistra slovena.
All'epoca fu spiegato che nemmeno per la Festa della repubblica, il 25 giugno, giornata in cui 21 anni fa la Slovenia proclamò l'indipendenza, si sarebbero fatte grosse spese, pertanto si chiese agli artisti, agli sceneggiatori ed ai registi, che aspiravano a prendervi parte, di prestare la loro opera gratuitmente in nome dell'amor patrio. La cosa non suscitò troppo entusiasmo tra gli artisti, non proprio felici della prospettiva di dover rinunciare ai propri compensi. La polemica, però, inizialmente era rimasta circoscritta al rapporto tra il nuovo esecutivo ed il mondo della cultura.
Bando ai partigiani
Ad accendere le polveri invece è stata la decisione di escludere dalla piazza la bandiera dei partigiani sloveni. Tradizionalmente a queste manifestazioni presenziano i vessilli dei veterani, tra cui anche quello dei reduci partigiani. Questa volta il comitato organizzatore, guidato dal segretario generale del governo Božo Predanič, uno degli uomini più fidati del premier, non ha invitato l'organizzazione dei combattenti a presenziare con la sua bandiera con la stella rossa e poi ha escluso anche i vessilli non direttamente legati al processo d’indipendenza.
Ne è nata subito una diatriba durissima con il solito scambio di reciproche accuse tra destra e sinistra. Quest’ultima inferocita ha protestato con forza sostenendo che la resistenza è uno dei cardini su cui si fonda la Slovenia indipendente e sottolineando il carattere patriottico della lotta partigiana. Dall’altra parte, invece, la tesi era che su quelle bandiere c’era quella stella che fu anche il simbolo dell’esercito jugoslavo che cercò di impedire l’indipendenza slovena e che quindi non poteva trovare posto in quella cerimonia.
Una posizione quest’ultima gradita ai democratici del premier Janez Janša ed ai democristiani di Nuova Slovenia, che hanno fatto parlare i loro movimenti giovanili entusiasti di una scelta così ardita. Meno consensi tra gli altri partiti di maggioranza, che non hanno mancato timidamente di far notare che nel patto di coalizione era stato chiaramente detto che non si sarebbero aperte questioni di carattere ideologico. Alla fine, com’era prevedibile, dalla cerimonia quelle bandiere sono rimaste escluse e tutto si è svolto seguendo lo scenario prestabilito, facendo scatenare l’ennesimo scontro sulla storia recente della Slovenia.
Inno emendato
Lo spettacolo così non ha mancato di offrire spunti di incredibile novità, a partire dall’inno. Quello sloveno parla di fratellanza tra i popoli e di rapporti di buon vicinato. Il testo è stato preso dalla settima strofa de “Il brindisi” il più celebre poema di France Prešeren. Alla cerimonia delle complessive otto strofe, che compongono il poema nella sua interezza, ne sono state cantate arbitrariamente quattro. E' stata aggiunta la strofa iniziale ed altre due di ispirazione più patriottica per chiudere poi con quello che sarebbe il testo ufficiale dell'inno sloveno.
In un clima tutt'altro che rilassato è poi toccato al capo dello Stato prendere la parola. Danilo Türk, che è una delle figure politiche più invise al centrodestra, non si è tirato indietro ed ha definito irresponsabile creare divisioni tra chi ha combattuto per la libertà durante la Seconda guerra mondiale e chi invece ha lottato per l’indipendenza.
Tornato al suo posto, le redini sono passate nelle mani del presentatore della serata, Jernej Kuntel. Lui non si è limitato ad introdurre lo spettacolo, ma ha anche letto un testo accuratamente preparato in cui si ricordava il conflitto del 1991 con l’esercito jugoslavo e in cui si difendeva la decisione di non far presenziare alla cerimonia le bandiere con la stella rossa. Come se ciò non bastasse non è mancata una pesante stoccata lanciata a Janez Stanovnik, il mal tollerato presidente della lega dei combattenti reo di aver definito, all’epoca, l’indipendenza slovena un suicidio e persino una nemmeno troppo velata frecciata al capo dello Stato in persona, accusato, senza citarlo per nome, di essere rimasto comodamente sulle sponde del lago di Ginevra mentre in Slovenia si combatteva.
Per rispondere alle mille polemiche che sono seguite l’attore ha precisato di aver soltanto fatto il suo lavoro leggendo quello che gli era stato fornito, mentre il responsabile del comitato organizzatore non ha voluto precisare chi fosse l’autore di quel discorso, ribadendo che ad essere importanti erano i suoi contenuti e non chi l’avesse scritto. Parole comunque che non devono essere dispiaciute per nulla al premier Janez Janša che in passato non ha lesinato critiche nei confronti di quello che viene considerato il tiepido atteggiamento assunto all'epoca dalla sinistra di fronte al processo di emancipazione dalla Jugoslavia. Lui non ha parlato della cerimonia, ma si è limitato a esibire una vistosa cravatta a strisce con i colori della bandiera slovena.