Per primi sono usciti i pensionati del Desus, poi è stato il turno del partito di sinistra Zares. Il governo di Borut Pahor da mesi non ha più la maggioranza e dovrà presto andare in parlamento a chiedere la fiducia. Il voto è ancora incerto ma la parabola del premier sloveno sembra ormai tutta in discesa. Intanto il centro destra di Janez Janša si prepara a governare
La crisi politica in Slovenia potrebbe essere giunta al suo epilogo. Alla fine il premier Borut Pahor andrà in parlamento a chiedere la fiducia. L’esito del voto è incerto. Da mesi infatti l’esecutivo non ha più la maggioranza, ma potrebbe trovare i numeri per restare in sella. Adesso deve nominare cinque nuovi ministri, per sostituire quelli che hanno lasciato l’esecutivo in questi ultimi mesi.
Chi se ne è andato
Per primi se ne sono andati quelli del Desus, il partito dei pensionati che si è sempre comportato come una specie di sindacato di categoria. Da tempo contestava la riforma previdenziale proposta dal governo.
Poi ad abbandonare il governo è stato anche Zares. Il partito di Gregor Golobič e Franco Juri che ha lasciato l’esecutivo dopo l’ennesima disfatta referendaria. A quel punto, per salvare il centrosinistra, Zares avrebbe voluto che si arrivasse ad un radicale rimpasto. La proposta di Golobič era semplicissima. I leader dei partiti di governo avrebbero dovuto lasciare l’esecutivo e tornare in parlamento, mentre l’esecutivo sarebbe stato affidato a qualcun altro.
Liberarsi di Borut
L’intento, nemmeno troppo velato, era quello di liberarsi finalmente di Pahor, per affidare il centrosinistra a una figura che, in quel che resta della legislatura, avrebbe potuto ritrovare il consenso dell’elettorato in vista delle elezioni dell’autunno del prossimo anno. In pratica si voleva ripetere lo stesso schema che si era adoperato con la discesa in campo, agli inizi degli anni Novanta, di Janez Drnovšek, di cui proprio Golobič fu un fidato collaboratore.
E’ praticamente dall’inizio del mandato che una fetta del centrosinistra vorrebbe sbarazzarsi di Pahor. Illustri commentatori, che fanno capo alla sinistra liberale, come il professor Vlado Miheljak, hanno scritto, già anni fa, che il problema di questo esecutivo è proprio il premier in persona.
Spesso si è ventilata l’ipotesi di una successione e l’intento è sembrato vicino a realizzarsi dopo la disfatta referendaria di giugno. A quel punto il più gettonato sembrava essere il commissario europeo Janez Potočnik. Un'altra opzione, che continua a venir tirata in ballo ancor oggi, è quella di una discesa in campo del sindaco di Lubiana, Zoran Janković. Quest’ultimo però sembra per ora poco intenzionato ad abbandonale la gestione della città per scendere nell’arena della politica nazionale.
Sta di fatto che il centrosinistra non riesce proprio a trovare un nuovo leader. Quelli che sarebbero disposti ad assumersi il fardello non hanno il carisma necessario e quelli che hanno il carisma non sembrano disposti a rischiare. Prima comunque sarebbe necessario che Pahor si togliesse di mezzo ma lui non sembra per nulla intenzionato a mollare. D’altronde se se ne va, la sua carriera politica potrebbe essere finita. Se resta, invece, rimane l’unica alternativa a Janez Janša. Quest'ultimo si prepara a prendere in mano il Paese. La vittoria alle prossime elezioni sembra cosa fatta, almeno secondo i sondaggi e la sua maggioranza potrebbe essere schiacciante, tanto che oramai si evocano scenari ungheresi.
Allergia al successo
La crisi politica e di leadership del centrosinistra è stata segnata anche da un’altra eclatante uscita di scena: quella del ministro degli Interni, nonché leader demo liberale Katarina Kresal. Sulla giovane politica slovena aleggiano sospetti di corruzione per una vicenda relativa ad uno stabile preso in affitto dal ministero degli Interni. Lei se ne è andata in attesa che si faccia luce sull’intera vicenda.
Sta di fatto che sulla sua figura, e su quella del suo influente compagno, l’avvocato Miro Senica, non sono mancate una serie di illazioni, su presunte connessioni tra politica e mondo degli affari. In Slovenia del resto si può perdonare tutto tranne quello di essere una persona di successo.
La Kresal è stata probabilmente il miglior ministro degli Interni che la Slovenia abbia mai avuto, quello che ha cercato di risolvere la triste vicenda dei cancellati e quello che avrebbe voluto (senza peraltro riuscirci) equiparare nel codice di famiglia le coppie omosessuali a quelle eterosessuali.
Sfiducia
Con una coalizione oramai sfaldata, senza maggioranza e con un consenso del governo ai minimi storici, Pahor si appresta a chiedere la fiducia al parlamento. Lo fa in un momento in cui si stanno facendo sempre più insistenti le ipotesi della costituzione di un nuovo partito di centrosinistra, in grado di catturare il consenso degli elettori sfiduciati, che probabilmente alle elezioni si asterrebbero favorendo la schiacciante vittoria del centrodestra. Lui, come in tutti questi anni, continua ad essere ottimista e ad elencare le sfide che stanno dinnanzi alla Slovenia. Ma ai suoi grandi progetti pochi sembrano credere.
Il disastro del suo governo del resto non è nemmeno giustificabile solo con i problemi legati alla crisi economica che ha pesantemente colpito la Slovenia. Nel Paese, sin dal suo insediamento, l’esecutivo ha continuato a perdere consensi, diviso da contrasti interni. La catastrofe è stata segnata dall’esito degli ultimi referendum popolari.
Catastrofe referendaria
Nel giugno scorso i sindacati, le organizzazioni studentesche e l’opposizione, infatti, avevano promosso una serie di referendum abrogativi. In primo luogo veniva contestata la riforma previdenziale, che avrebbe innalzato l’età pensionabile. Il provvedimento, secondo il governo, era di vitale importanza per mantenere in equilibrio le finanze pubbliche. Per convincere i cittadini l’esecutivo ha cercato di fare di tutto, ha persino fatto scendere in campo una appariscente protagonista di una variante locale del Grande fratello. La cosa ovviamente non è servita.
Non sono servite nemmeno le argomentazioni, più convincenti, a favore della nuova legge che voleva combattere il lavoro nero. Nodo del contendere erano soprattutto le norme che limitavano il “lavoro studentesco”. Si tratta di una specie di lavoro interinale gestito da potenti organizzazioni degli studenti, che incassano notevoli proventi. Il terzo referendum invece è stato voluto dall’opposizione, che voleva cancellare le norme che limitavano il libero accesso agli archivi dei servizi segreti del regime jugoslavo.
Con un'affluenza relativamente alta, oltre il 70% degli elettori ha bocciato le tre leggi. Scherzosamente qualcuno ha detto che l’esecutivo avrebbe comunque perso la consultazione popolare anche se avesse proposto l’innalzamento degli stipendi e la diminuzione delle tasse.