In una Slovenia sempre più insoddisfatta e frustrata, la minoranza rom resta il capro espiatorio ideale, soprattutto nell'area sud-orientale del paese, dove povertà e marginalizzazione si fanno sentire in modo più marcato
La questione ha cominciato a montare da tempo: a soffiare sulle braci dell’intolleranza è una composita compagnia formata da politici di centrodestra, post comunisti e nazionalisti di vario genere. Da anni continuano a rimarcare che la situazione nel sud est del paese è oramai sfuggita di mano e che bisogna intervenire in maniera decisa.
Nell’occhio del ciclone la comunità rom, la più discriminata delle minoranze in Slovenia, che proprio in quella zona vive ai margini della società. Quelli che non si sono riusciti ad integrare, abitano isolati in loro insediamenti a ridosso del bosco. Lì avevano costruito le loro prime case quando furono costretti a diventare stanziali.
Le loro condizioni di vita sono precarie e sovente la situazione igienico sanitaria è catastrofica. Nei villaggi, le case molto spesso sono abusive e non ci sono i servizi di base: manca l’acqua corrente, la rete fognaria e l’energia elettrica.
Formalmente la comunità rom è tutelata dalla costituzione. Per lei non c’è una rappresentanza parlamentare garantita, come per le altre due minoranze autoctone, italiana ed ungherese, ma possono contare su una capillare rete di consiglieri comunali e su una organizzazione riconosciuta a livello nazionale.
Negli ultimi trent’anni lo stato ha investito notevoli mezzi per migliorare la loro situazione e qualche risultato si vede nel nord-est, dove la vita è migliorata. Probabilmente non si può ancora parlare di una vera e propria convivenza, ma almeno lì i rom e gli sloveni riescono a vivere gli uni accanto agli altri senza particolari tensioni.
Il tutto è passato attraverso la legalizzazione dei loro insediamenti, la fornitura di servizi di base (acqua corrente, elettricità e rete fognaria) e l’apertura di asili nei villaggi. Proprio grazie ad essi i bambini rom e la loro famiglie possono prendere confidenza con il sistema scolastico sloveno.
Una scuola tutt’altro che tollerante e per nulla attenta alle differenze, dove quello che più conta è la competitività e la caccia ai punteggi per potersi iscrivere ai licei ed alle scuole secondarie desiderate.
In questo gioco, la condizione economica ed il livello culturale dei genitori gioca un ruolo tutt’altro che marginale ed i rom non sono certo ai vertici della piramide sociale nel paese. Ciò nonostante, tra la comunità rom oggi si riesce a contare un certo numero di laureati, che però faticano a trovare lavoro in Slovenia.
Se nel nord est, come abbiamo detto, la situazione è tutto sommato decente, tutt’altra musica è quella nel sud est del paese, a partire dalla gestione dei fondi arrivati alla voce “comunità rom”. Molti sindaci li hanno considerati come una specie di indennizzo per il fastidio che provocava averli accanto e li hanno impiegati per infrastrutture comunali ed altri interventi per nulla specifici per migliorare la loro condizione.
Così i rom sono rimasti segregati nelle loro comunità e per nulla accettati dalla popolazione di maggioranza. Ad accrescere la tensione, negli ultimi tempi una serie di episodi di microcriminalità e di violenza anche a scuola, che sono subito balzati alla ribalta della cronaca, diventando uno dei temi principali della narrazione giornalistica e del dibattito politico dell’estate appena trascorsa.
La tesi sostenuta da molti - ed avallata dai sindaci della zona - è che i rom l’acqua e la corrente elettrica devono meritarsela; pertanto, potranno accedere a questi servizi quando finalmente si comporteranno bene, manderanno i loro figli a scuola e legalizzeranno i loro insediamenti.
La tesi è che la legge è uguale per tutti e che i rom devono smetterla di essere dei privilegiati e di “ciucciare” le sovvenzioni sociali. Proprio per questo c’è chi vorrebbe tagliare i contributi per le famiglie numerose, ridurre i fondi a chi non manda i figli a scuola ed impedire di fare la patente a coloro che non hanno concluso la scuola dell’obbligo.
Intanto si chiede più polizia, regole di ingaggio meno severe per tutelare il resto della popolazione e punizioni draconiane che vadano a colpire anche i minori, aprendo per loro le porte del carcere. D’altro canto, i rom ribattono che stanno nelle loro case oramai da tempo immemore, che è impossibile vivere in quelle condizioni, che non possono mandare a scuola i loro figli sporchi e puzzolenti e che sono discriminati in classe ed anche quando si mettono a cercare un lavoro.
Gli esperti assicurano che un più intenso uso della repressione e della mano pesante non migliorerà la situazione. Chi bazzica in quella zona e ha contatti con loro dice sconfortato che in realtà si ha a che fare con un gruppo di cittadini estremante marginalizzato, escluso dalla società ed incapace di trovare una via d’uscita per la propria comunità.
Con loro fanno fatica a confrontarsi anche gli stessi rappresentanti dei rom, che del resto si stanno dimostrando inefficaci nel gestire la situazione che si è venuta a creare. In pratica non esistono soluzioni a breve o a medio termine, ma ci vorrebbe un progetto che porti ad una loro progressiva inclusione sociale senza discriminarli e nemmeno assimilarli.
Dietro la maschera della necessità di tutelare l’ordine pubblico e di reprimere la criminalità, cresce in realtà il nazionalismo e la xenofobia, che sembrano andare nuovamente di pari passo con i soliti vecchi pregiudizi nei confronti della comunità rom.
Sin dalla fine della Prima guerra mondiale i rom sono stati considerati soprattutto un problema di ordine pubblico, da punire duramente per insegnar loro ordine e disciplina. Come spesso accade i rom con la loro diversità si stanno trasformano nel capro espiatorio ideale di un paese dove la popolazione è sempre più insoddisfatta e frustrata, delusa dall’inefficacia della sua classe politica e incerta sulla propria collocazione geopolitica, dove dopo la disillusione del grande sogno occidentale cominciano a farsi sentire le sirene che arrivano da oriente.