Una vicenda che ha visto coinvolta una studentessa di una scuola di Lubiana rappresenta l’ennesimo segno della xenofobia più o meno latente che esiste nella società slovena
Portando il velo a scuola "non si rispettano le buone maniere". Questa l’opinione di un professore di un istituto superiore a Lubiana, che ha cacciato dalla classe una studentessa con l’hijab. La dirigente scolastica ha rassicurato la ragazza dicendole che non aveva fatto nulla di male, ma ha anche precisato che per prendere provvedimenti nei confronti dell’insegnante bisognerà tener conto di quella che è la legislazione vigente. Al momento non è chiaro né se il professore continui a entrare in aula né se la ragazza partecipi alle lezioni.
Teoricamente la costituzione slovena vieta qualsiasi discriminazione dovuta alle proprie convinzioni religiose, ma sta di fatto che portare il velo in Slovenia non è una delle scelte più facili da fare per le donne mussulmane. Il fastidio nei confronti di questa comunità, considerata estranea alla società e portatrice di valori non conformi a quelli nazionali, è testimoniato dalle infinite lungaggini che hanno portato alla costruzione della moschea a Lubiana. All’epoca non erano mancate le considerazioni che una simile struttura nulla aveva a che fare con il contesto culturale sloveno e persino che si sarebbe trasformato in un potenziale covo di “terroristi”. Oggi il centro islamico, ubicato in periferia, si presenta come un vero e proprio gioiello architettonico. Attorno ad esso si raccolgono sloveni ed immigrati per lo più di origine bosniaca o provenienti dalle altre ex repubbliche jugoslave.
L’episodio del velo a scuola non è che l’ennesimo segno della xenofobia più o meno latente che esiste nella società slovena. Il fatto più grave è quello che ha portato alla cancellazione di oltre 25.000 persone dall’elenco dei residenti, dopo la proclamazione dell’indipendenza. Si trattava perlopiù di immigrati, provenienti dalle altre repubbliche jugoslave, che non avevano fatto richiesta di cittadinanza nei termini stabiliti. L’operazione, condotta da oscuri burocrati, si svolse nell’indifferenza generale. Le persone colpite scoprirono di aver perso il diritto di residenza in Slovenia progressivamente, in genere quando si recavano a rinnovare una carta d’identità o una patente. Spesso in quelle occasioni il solerte funzionario si premurava di chiedere al malcapitato di consegnarli anche gli altri documenti validi di cui era in possesso per poi distruggerglieli davanti agli occhi. Per tutte queste persone iniziò così una vita ai margini e un lungo e kafkiano percorso per poter nuovamente risiedere in Slovenia. Le autorità fecero fatica ad ammettere che era stato messo in atto una grave violazione dei diritti umani ed anche quando lo fecero, cercarono di fare di tutto per rendere comunque difficoltoso vedersi riammessi nella società. Qualcuno non ce la fece a reintegrarsi dopo la cancellazione. Le cronache raccontano che alcuni mesi fa un uomo è morto nel rogo della sua baracca alla periferia di Lubiana. Malato e senza entrate fisse viveva grazie al supporto delle organizzazioni che si occupavano di carità. Dopo anni era riuscito a ottenere soltanto il diritto di residenza temporanea in Slovenia. Non abbastanza per consentirgli di fruire di un'assistenza sanitaria adeguata e nemmeno di ottenere sussidi.
Ora a Lubiana le autorità cittadine hanno deciso di costruire un monumento che ricordi la cancellazione di quelle persone dal registro dei residenti. Sarà ubicato nel bel mezzo del nuovo ed elegante centro culturale Rog. Negli spazi della vecchia fabbrica di biciclette, il sindaco Zoran Janković ha deciso di dar vita ad una struttura che dia spazio alla cultura alternativa. Una elegante attrazione turistica e un ritrovo per gli hipster provenienti da tutta la Slovenia ed anche più in là. Per farlo non ha mancato di smantellare il vecchio centro sociale , che aveva trovato posto nella ex fabbrica. Tra i vari collettivi che avevano operato al suo interno anche quello dei cancellati. Per sgombrare l’edificio non si è mancato di usare le maniere forti, facendo ricorso ai vigilantes ed ai reparti speciali della polizia. Una immagine non proprio in linea con quella di un sindaco di sinistra, ma l’ex manager di un colosso della distribuzione alimentare in Slovenia, approdato in politica, dopo che il centro destra gli aveva tolto le redini dell’azienda che aveva contribuito a far crescere, oramai è diventato sempre più il padre padrone di Lubiana e non manca di dimostrarlo con le sue maniere piuttosto spicce.
In ogni modo ora, in quello che sarà il Parco dei cancellati, sorgerà il monumento ad essi dedicato. Il progetto ideato da Vuk Ćosić, Aleksander Vujović e Irena Voelle avrà la forma della parte superiore di una ci accentata (ć). La lettera presente nell’alfabeto serbo e croato non compare in quello sloveno ed è il finale di molti cognomi serbi, croati e bosniaci. Il carattere scelto è il Times New Roman, proprio quello che in quel periodo la burocrazia usava per stilare i suoi documenti. Un monumento che simbolicamente fa ritornare una lettera cancellata dal contesto sloveno e da molti cognomi, che nel periodo dopo l’indipendenza vennero slovenizzati, cambiando la ć “balcanica” con il segno diacritico presente nell’alfabeto sloveno (č). Lo scopo è ricordare una pagina buia della storia recente del paese, ma che vuole anche rappresentare quello che sarebbe la Lubiana multiculturale. Ovviamente non hanno mancato di farsi sentire immediatamente anche i rumorosi detrattori di un simile e così vistoso riconoscimento pubblico. Come al solito è stato ripetuto il mantra che così facendo non si fa altro che mettere un monumento soprattutto a coloro che all’epoca sputavano sulla Slovenia e che in sintesi sarebbero stati contro l’indipendenza e pronti a collaborare con chi avrebbe voluto mettere a repentaglio il processo di costituzione di uno stato indipendente. La tesi è sempre la stessa: i cancellati se la sarebbero cercata e sarebbero stati responsabili del loro destino e non vittime del nazionalismo o della xenofobia slovena.
L’ennesima dimostrazione che in Slovenia non si sono fatti ancora del tutto i conti con quella che è stata la macchia più grave del processo d’indipendenza e che non si è nemmeno usciti dalla “geniale” idea che quello sloveno in fondo non sia altro che un innocuo “nazionalismo” difensivo, indispensabile per difendersi contro nazionalismi più grandi e potenti, che da secoli starebbero tentando di mettere a repentaglio la nazione slovena.