La Slovenia celebra il 27 aprile, la sua giornata della Resistenza, con un’imponente manifestazione antigovernativa. Il premier Janez Janša contrattacca bollandola come un atto criminale in tempo di pandemia
Migliaia di persone sono scese in piazza a Lubiana per chiedere libertà, democrazia e stato di diritto. Živa Vidmar, figlia di uno dei padri della Resistenza slovena, ha arringato la folla dicendo che nel 1941 tutti sapevano che bisognava scegliere tra fascismo e antifascismo. Per la Vidmar, oggi il male sta nuovamente cominciando a vincere. Il messaggio della piazza è chiaro: il janšismo è fascismo e la pandemia non è altro che uno strumento per prendere il potere.
Non c’è più spazio per la mediazione in Slovenia e nemmeno per le soluzioni di compromesso. Il clima che si sta sviluppando è quello di una guerra civile permanente all’insegna del chi non è con noi è contro di noi. Il messaggio è chiaro e non ammette deroghe: il male è rappresentato da Janez Janša, dai suoi uomini e soprattutto da coloro che stando zitti gli consentono di governare. Sono proprio quest’ultimi, in una retorica che si richiama apertamente a quella della Seconda guerra mondiale, ad essere visti come i nuovi “collaborazionisti”. In politica il dito è puntato su quei deputati che permettono al governo di galleggiare pur non avendo la maggioranza. I contestatori li vedono come un gruppo di profittatori ignoranti, che per mero tornaconto non vogliono vedere i pericoli che sta correndo la democrazia slovena. Tra di essi ci sarebbero anche i parlamentari delle comunità nazionali autoctone italiana ed ungherese, che con l’esecutivo hanno un accordo di collaborazione. Sui due negli ultimi tempi non mancano le pressioni ed i ben informati raccontano che negli uffici del parlamento sono andate in scena vere e proprie sfuriate a causa del loro atteggiamento non troppo critico nei confronti del governo. Per ora accuse dirette e minacce di ritorsione nei confronti delle minoranze non sono ancora arrivate, ma poco ci manca.
Per i sostenitori del governo il tutto non è altro che l’ennesimo colpo di coda delle forze legate al vecchio regime ed alle sue strutture di potere, che non ne vogliono proprio sapere di mollare le redini del potere in Slovenia. Il governo nelle scorse settimane era stato costretto dalla Corte costituzionale a consentire le manifestazioni di protesta. Prima il numero di chi poteva essere presente di persona era stato limitato a 10 persone, poi era stato portato a 100 ed alla vigilia del 27 aprile era stato nuovamente ridotto a 10. Le forze dell’ordine non avevano mancato di invitare i cittadini ad evitare gli assembramenti in tempo di pandemia, ma comunque la polizia si è limitata a osservare quanto stava accadendo nelle vie di Lubiana senza intervenire. Non è escluso, però, che nei prossimi giorni possano arrivare multe salate all’indirizzo di coloro che saranno considerati gli organizzatori dell’evento. Un simile scenario si era registrato anche alcune settimane fa a Maribor, dove gli studenti che protestavano per la riapertura delle scuole si sono visti recapitare contravvenzioni e mandati di comparizione di fronte al giudice. Il premier Janez Janša, che non passa per uno abituato a gettare acqua sul fuoco, ha subito approfittato per rincarare la dose ed alimentare lo scontro. Con un tweet ha lapidariamente giudicato la manifestazione un crimine, che contribuirà a diffondere il virus, che nelle prossime settimane porterà a parecchie centinaia i ricoveri negli ospedali e a nuove vittime.
Per il resto il 27 aprile sembra destinato a lasciare ancora una volta pesanti strascichi. Sull'account Twitter del governo è stato postato un articolo, che si richiamava ai festeggiamenti di trent’anni fa dal titolo: “Fascisti, nazisti e comunisti per gli sloveni sono uguali”. Alla celebrazione ufficiale organizzata come al solito in occasione della ricorrenza, non è nemmeno stata invitata l’Associazione dei Combattenti, mentre per il secondo anno consecutivo la manifestazione è stata organizzata in un luogo che, secondo i reduci partigiani, cercherebbe di relativizzare il ruolo giocato dai comunisti nella Resistenza. Come se ciò non bastasse nel cerimoniale sono stati inseriti anche i versi di due poeti uccisi dai partigiani; uno di essi aveva militato tra i collaborazionisti, mentre l’altro, recentemente beatificato, era stato liquidato perché considerato una spia. Ovviamente gli appelli all’unità lanciati nell’occasione non sono sembrati altro che vuota retorica.
Ancora una volta a dirigere il confronto politico, con i tempi ed i modi che lui stesso impone, è il premier Janez Janša. La Slovenia per l’ennesima volta è impegnata a fare i conti con un passato che non passa. Lo scontro è da mesi così duro che nessuno sembra accorgersi che anche Lubiana deve presentare il suo “recovery plan”. I soldi in ballo sono tanti, ma la questione - che in Italia è stata al centro del dibattito politico per mesi ed è stata uno dei motivi che ha fatto saltare il governo Conte - qui non sembra essere un tema politico degno di essere dibattuto su larga scala. La prima bozza del progetto non è stata accolta con entusiasmo nell’Unione europea. L’idea, più che quella della riconversione verde e della digitalizzazione, sembrava essere quella di ricoprire il paese con un altro strato di cemento, per far contenti i vari esponenti locali che chiedevano strade ed infrastrutture. Ora il progetto è in fase di nuova armonizzazione e la promessa è quella di riorientarlo almeno in parte. Il governo ovviamente ci sta lavorando e probabilmente conta di poter raccogliere i frutti dei finanziamenti che potrebbero cominciare ad arrivare a partire dai prossimi mesi. L’opposizione, impegnata com’è a discutere di “fascismo”, “antifascismo”, “svolte autoritarie”, “libertà di stampa”, “capitalismo” e “socialismo”, non sembra voler accorgersi o avere le capacità e gli uomini sufficienti per impegnarsi anche su questo fronte. Intanto il progetto va avanti e l’occasione di ripensare al futuro del paese potrebbe essere persa continuando a discutere del passato.