Virata conservatrice in Slovenia, tra muri contro i migranti e bocciatura del nuovo e liberale codice di famiglia
Filo spinato contro i migranti e niente equiparazione dei diritti tra le coppie eterosessuali e quelle LGBT. Il paese si ritrova ad essere il nuovo antemurale della cristianità. Gli sloveni hanno scelto e non ci sono dubbi. A fine dicembre con un referendum hanno bocciato la modifica al codice di famiglia che equiparava in tutto e per tutto le coppie dello stesso sesso agli altri: compreso il diritto di sposarsi e di adottare bambini.
Decisamente troppo per un paese, che dopo essere stato negli anni Ottanta il primo a regime comunista a tollerare associazioni LGBT, oggi fa fatica a concedere eguali diritti a tutti. Del resto è da un po’ che non si guarda più ad Occidente e che ci si sta cercando di ancorare all’est Europa post sovietico, dove il multiculturalismo e i valori occidentali sono percepiti come pericolosi per la salute della nazione. Gli sloveni, quindi, per ora sono salvi e possono stare tranquilli.
Il percorso per pari diritti
E’ da tempo che ci si scontra sui diritti della comunità LGBT. Nel marzo del 2012 una radicale modifica del Codice di famiglia, che dava una serie di diritti alla comunità gay, venne bocciata con un referendum dopo anni di dibattito infuocato. Una vera e propria guerra culturale in pieno stile Ottocentesco, che contraddistingue ancora oggi la riottosa politica slovena e che si infiamma in maniera particolare di fronte a questioni etiche.
Nel 2009, dopo l’ennesimo episodio omofobo, era stato annunciato dai ministri liberali del debole governo guidato dall’attuale presidente della repubblica Borut Pahor che le coppie omosessuali avrebbero avuto gli stessi diritti degli altri. Una simile misura, però, avrebbe rischiato di non trovare il consenso nemmeno di parte dei deputati di centrosinistra. Alla fine, per non far naufragare il tutto venne approvata una versione più edulcorata della legge, che non parlava di matrimonio e che limitava le adozioni ai figli biologici del partner LGBT. Le associazioni che lottano per i diritti dei gay non cantavano vittoria, ma ammettevano comunque che era meglio di niente. Troppo, comunque, per una chiassosa e ben organizzata iniziativa civile legata alla Chiesa ed al centrodestra.
Da quel dibattito, comunque emersero due cose. La vecchia legge che regolava le unioni tra persone dello stesso sesso era oramai inadeguata e qualcosa andava fatto. Lo diceva anche una sentenza della Corte costituzionale che chiedeva al parlamento di riformare quella parte della legislazione che regolava l’eredità. Quello che era altrettanto chiaro, però, era che chiunque avesse avuto l’ardire di sollevare la questione avrebbe messo la mano in un vespaio.
Il capo del governo Miro Cerar ed il suo ideologicamente confuso partito personale avrebbero volentieri evitato di dover affrontare l’argomento. Dopo aver assistito a qualche tentennamento e convinti che l’esecutivo avrebbe fatto ben poco è stata la sinistra radicale a giocare le sue carte.
Il partito d’opposizione della Sinistra unita ha così presentato un emendamento al Codice di famiglia in cui si ridefiniva il matrimonio “come l’unione di due persone”. La soluzione di una semplicità apparentemente banale, avrebbe dato pieni diritti alle coppie LGBT, ma rischiava di mettere la Slovenia a fianco di quei paesi occidentali che hanno già approvato simili provvedimenti. Obtorto collo il resto del centrosinistra non ha potuto che votare la proposta, mentre il centrodestra e la Chiesa hanno immediatamente fatto intendere che la battaglia sarebbe stata durissima. A scendere in campo gli stessi uomini che avevano lavorato alla bocciatura del Codice di famiglia del 2012.
Nel frattempo però, qualcosa era cambiato. La legge sul referendum era stata modificata ed aveva dato alla camera la possibilità di giudicare inammissibili voti popolari su questioni legate ai diritti umani o che facessero fronte a una sentenza della Corte costituzionale. Molti erano convinti che il referendum non si sarebbe stato. In parlamento i deputati hanno così detto no alla consultazione popolare e bloccato la raccolta delle firme necessarie per indirla.
Pronta e attesa la risposta dei promotori del referendum che si sono rivolti alla Corte costituzionale. I giudici del resto avevano già dato loro ragione nel 2011, quando avevano consentito il referendum sul Codice di famiglia. La sofferta decisione venne presa da una risicata maggioranza di 5 contro 4. Stesso esito anche questa volta. Nel motivare la sentenza i giudici hanno spiegato che la Camera aveva cambiato la definizione di matrimonio andando molto più in la rispetto a quanto considerato incostituzionale da loro.
Il referendum
A quel punto era chiaro come sarebbe finita. Questa volta per far considerare valida la consultazione c’era bisogno di superare un quorum, ma si sapeva che sarebbe stato raggiunto facilmente, vista la mobilitazione popolare.
Da una parte c’erano le associazioni per i diritti della comunità LGBT che tentavano di dire agli elettori che ne sarebbe andato dei loro diritti umani e che la nuova norma nulla avrebbe tolto alla famiglia tradizionale. Sociologi ed esperti non hanno mancato di prendere posizione spiegando che i bambini nelle famiglie LGBT crescono come nelle altre famiglie. Volavano alto, troppo per arrivare al cuore anche solo del tradizionale elettorato di centrosinistra.
Dall’altra parte una ben organizzata macchina propagandistica, in grado di mobilitare schiere di elettori, spiegava che si trattava di proteggere i diritti dei bambini ad avere una mamma ed un papà. Inconcepibile mettere i bisogni dei gay davanti a quelli dei fanciulli. La questione era semplice: bisognava difendere la famiglia tradizionale, cellula fondamentale della società slovena, ad ogni costo.
La domenica del voto il disciplinato elettorato del centrodestra è andato alle urne, accompagnato da schiere di fedeli usciti dalle messe domenicali. Il 63% degli sloveni, così, ha detto no alla nuova legge. Per la comunità LGBT è andata peggio dell’ultima volta, quando a votare contro il nuovo Codice di famiglia fu “solo” il 55% degli elettori. I diritti per la comunità LGBT ora sono più lontani, il paese è più marcatamente legato all’Europa dell’Est ed e l’ennesima sconfitta che la Slovenia conservatrice e rurale impartisce a quella liberal ed urbana.