Slovenia

Slovenia rurale (flickr/velodenz)

Dal responsabile delle stragi di Oslo e Utoya la Slovenia è stata indicata come uno dei Paesi in Europa dove la “propaganda multiculturale” ha avuto meno effetto. La notizia, accolta con comprensibile imbarazzo, ha però offerto occasione di dibattito

12/08/2011 -  Stefano Lusa Capodistria

La Slovenia, insieme alla Slovacchia, è il Paese dove “l’indottrinamento multiculturale” ha fatto meno presa. Questa, almeno, la valutazione di Andreas Behring Breivik, il fondamentalista cristiano, che ha compiuto le stragi di Oslo e Utoya.

La constatazione emerge dalla sua vaticinante “Dichiarazione europea di indipendenza”, un documento di 1500 pagine in cui compare anche una particolare classifica che vede primeggiare Slovenia e Slovacchia. Per loro 90 punti dei possibili cento, mentre all’ultimo posto ci sono la Germania, la Svezia e la Norvegia. In quest’ultimi Paesi, infatti, le campagne “marxiste/multiculturali di lavaggio del cervello” avrebbero avuto maggior successo.

La notizia a Lubiana è stata accolta in sordina e con qualche imbarazzo. La Slovenia rimane fermamente convinta della propria scelta europeista, ma si interroga anche sul rapporto del Paese con il multiculturalismo. Una questione che all’apparenza non esiste o che sfiora appena il Paese, che è tra quelli etnicamente e culturalmente più omogenei in Europa e di questo gli sloveni sono, sotto sotto, molto soddisfatti.

I cancellati

La gran parte degli immigrati, in Slovenia, proviene dal resto dell’ex Federazione jugoslava. La loro condizione è complessa. Da una parte un nome ed un cognome “esotico” non rappresentano un serio ostacolo alla carriera politica, nel mondo degli affari, nell’amministrazione pubblica o nei mass-media, dall’altra, però, nessun personaggio noto tende a ostentare apertamente le proprie origini etniche e semmai esalta i propri legami con la Slovenia e con il territorio.

Il rapporto con le minoranze provenienti dal resto della ex Jugoslavia rimane infatti difficile. Si stenta così a concedere loro specifici diritti. L’opinione pubblica, del resto, fatica ad ammettere che la cancellazione dal registro dei residenti, di circa 25.000 persone, avvenuto subito dopo l’indipendenza, fu un atto disdicevole. Politici e mass media, soprattutto legati al centrodestra, tendono a presentare queste persone come nemici della Slovenia o come profittatori, che ora furbescamente stanno cercando di estorcere cospicui indennizzi.

Altro punto dolente nel dialogo interculturale resta la vicenda legata alla costruzione della moschea e del centro culturale islamico a Lubiana. Per anni, con iniziative civiche, si è cercato di bloccare la concessione di un terreno alla comunità islamica. Al momento la Slovenia rimane uno dei pochi Paesi europei a non avere una moschea. I fedeli alla fine del ramadan sono costretti a prendere in affitto le palestre ed a pregare sotto i canestri dei campi da basket.

Minoranze

Ancor più difficile rimane il rapporto con i rom. Soprattutto nella bassa Carniola continuano a ripetersi gesti di intolleranza nei loro confronti. La comunità vive spesso in condizioni precarie senza adeguati servizi igienici ed a volte manca persino l’acqua corrente. Il fatto più grave si è manifestato alla fine del 2006, quando una famiglia rom, venne letteralmente cacciata da parte degli abitanti del villaggio di Ambrus. La cosa non mancò di scatenare molta indignazione a livello europeo e le proteste di una parte (minoritaria) dell’opinione pubblica in Slovenia.

A sentire l’intolleranza sulla sua pelle è anche la comunità LGBT, dove non sono mancate le aggressioni. L’ultima ha coinvolto un turista inglese, mentre si è concluso con una riduzione delle pene il processo d’appello contro tre giovanotti che avevano letteralmente assaltato un locale di omosessuali alla vigilia del gay-pride del 2009.

Stranieri, sindaci ed immobili

La Slovenia però all’estero ha saputo presentarsi anche come campione di tolleranza e di dialogo multiculturale. La scusa è stata l’elezione di un sindaco nero a Pirano. La notizia ha fatto il giro del mondo e la vicenda è stata narrata persino dalla CNN.

L’elezione di Peter Bossman, immigrato di colore di origine ganese, alla carica di sindaco di Pirano, però, ha suscitato la stizzita reazione di quello che oggi è considerato un mostro sacro della cultura slovena. Lo scrittore Boris Pahor non ha mancato di dirsi preoccupatissimo per lo stato della “coscienza nazionale” in Slovenia, che ha consentito “addirittura” l’elezione di uno “straniero” (che ovviamente aveva acquisito da tempo la cittadinanza slovena) alla carica di primo cittadino.

Le timide reazioni di condanna delle sue dichiarazioni non hanno impedito ai lettori del Delo, il più prestigioso quotidiano del Paese, di conferirgli il titolo di uomo dell’anno. Durante la premiazione a fargli i complimento è arrivato persino il premier in persona, Borut Pahor, il cui partito aveva avuto la “brutta” idea di candidare uno “straniero” a Pirano.

La fobia nei confronti degli stranieri, del resto, è una costante nella politica slovena e queste paure vengono spesso evocate nel dibattito pubblico. Lubiana storicamente si sente compressa “come un vaso di coccio tra due vasi di ferro”, dovendosi confrontare con le “mire” del nazionalismo tedesco ed italiano.

Mesi fa, infatti, non poca preoccupazione hanno destato le notizie che cittadini italiani stessero acquistando proprietà immobiliari a ridosso del confine italiano. Subito “iniziative civiche” ben organizzate hanno chiesto al governo di porre dei blocchi all’acquisto di case e terreni da parte di stranieri. Del resto anche gli investimenti che arrivano dall’estero fanno paura. Dall’indipendenza in qua, infatti, sono stati fatti molti sforzi per non vendere a terzi grosse aziende e banche.

Sta di fatto che di stranieri in Slovenia non ce ne sono moltissimi e quelli che sono venuti a cercar fortuna nei cantieri edili o nelle aziende slovene, provenienti dal resto dei Balcani, non se la passano benissimo. Storie di sfruttamento dei lavoratori trovano spazio, in quest’ultimo periodo, sui giornali. Se non se la passano bene i lavoratori sloveni ancor peggio va a quelli stranieri.