Il parlamento sloveno ha bocciato una legge di iniziativa popolare che voleva regolare la possibilità di mettere fine alla propria vita in modo assistito per i malati terminali. Incapace di decidere, il governo vuole ora passare la patata bollente agli elettori attraverso un referendum consultivo
Molto probabilmente gli sloveni saranno presto chiamati a decidere sull’opportunità di varare una normativa sul fine vita. Il parlamento ha bocciato la legge di iniziativa popolare che voleva regolare la materia, ma la coalizione di governo ha subito depositato la proposta di indire un referendum consultivo per vedere come la pensano i cittadini. Secondo un sondaggio, pubblicato lunedì dal quotidiano Dnevnik, il 47% degli interpellati è favorevole, mentre il 43% contrario.
Nel paese ci sono una serie di misure palliative per lenire le sofferenze dei malati terminali ed alla fine si ricorre se necessario anche alla sedazione profonda. I medici sloveni sono fin troppo diretti nel comunicare a degenti e parenti quando oramai non c’è più nulla da fare, rispettano il volere dei pazienti e delle loro famiglie sospendendo le terapie quando i malati ne hanno abbastanza ed evitano di ricorrere a forme di accanimento terapeutico. Un atteggiamento laico e votato alla scienza: proprio per questo l’idea di poter varare norme che potessero aprire le porte alla “dolce morte” sembrava una cosa quasi scontata.
La questione è dibattuta da tempo nella società slovena, ma nessuno fin ora ha mai avuto il coraggio di affrontarla e di far scattare l’iter parlamentare. I partiti sapevano che ciò avrebbe significato scoperchiare il classico vaso di Pandora, riaprendo il confronto mai sopito tra la componente laica e liberale del paese con quella cattolica e conservatrice.
Dopo la vittoria del centrosinistra alle elezioni dell’aprile 2022 a prendere in mano la questione è stata la “società civile”, che tanto aveva contribuito a consegnare il governo nelle mani di Robert Golob ed i suoi compagni di viaggio. La speranza era di poter mettersi al passo con l’Olanda, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Spagna, Austria, Nuova Zelanda, Australia, Colombia e alcuni stati degli USA che consentono di ricorrere al suicidio assistito.
L’associazione “Il filo d’argento” ha così presentato una sua proposta di legge, annunciando di voler raccogliere le cinquemila firme necessarie per metterla in discussione in parlamento. Non hanno dovuto faticare molto per ottenerle. La tesi dei propugnatori dell’iniziativa era semplicissima: garantire a coloro che stanno morendo la possibilità di chiudere la vita nei modi e nei tempi che essi stessi avrebbero scelto. Lo scopo era quello di mettere al centro della decisione il malato e il suo libero arbitrio. La convinzione era che non si sarebbe faticato troppo a trovare i consensi necessari nell’ampia coalizione di centrosinistra. Sono stati prontamente delusi.
Solo la Sinistra (radicale) ha appoggiato senza se e senza ma la proposta: sia Movimento Libertà del premier Robert Golob sia i Socialdemocratici di Tanja Fajon hanno fatto i pesci in barile. Una questione importante, hanno detto, che ha bisogno di un ampio dibattito nella società. Ad esprimere netta contrarietà invece la Chiesa cattolica, seguita a ruota dalle altre comunità religiose e dall’opposizione della destra conservatrice dei democristiani di Nuova Slovenia e dai Democratici di Janez Janša.
Ad insorgere contro il provvedimento anche le associazioni di categoria dei medici. Quest’ultimi stanno mettendo in crisi il governo Golob sin dal suo insediamento. Con il loro sciopero a singhiozzo e con la revoca del consenso per gli straordinari, l'esecutivo deve far fronte ad una situazione sempre più precaria nella sanità pubblica, dove aumentano le persone senza medico di base e non accennano a diminuire i tempi di attesa per le visite specialistiche. I medici vogliono più soldi e vogliono arrotondare lavorando anche nel privato, ma ci tengono a dire che la loro missione è quella di curare i pazienti e non quella di aiutarli a morire.
I detrattori della proposta non hanno mancato di lanciare strali contro quelli che sono stati definiti i propugnatori della “cultura di morte”. Con la solita infuocata retorica populista hanno spiegato che con una simile legge, vecchi e malati avrebbero scelto l’eutanasia per non gravare sulle famiglie e persino che i suicidi sarebbero aumentati in vista delle vacanze quando figli e nipoti avrebbero avuto fretta di liberarsi dei nonni per partire per le ferie. A nulla sono valsi i tentativi di rassicurare che niente di simile sarebbe accaduto e nemmeno la disponibilità dei promotori a rendere più stringenti le norme.
La società slovena, in fondo, resta sempre fedele a sé stessa e non sembra cambiare nel tempo. Lo ha spiegato magistralmente il socialista triestino Rudolf Galouh, che rifugiatosi a Lubiana tra le due guerre per fuggire al fascismo, in una lettera a sua madre raccontava della sua vita nella capitale slovena. Qui, diceva, tutto è uniforme. I clericali sono clericali, i liberali sono clericali e i socialisti sono clericali. Tutti sono clericali.
Alla fine, su novanta deputati solo nove hanno votato a favore della legge sul suicidio assistito. Oltre ai voti della Sinistra anche quello di qualche Socialdemocratico. Contrari i “liberali” del Movimento Libertà e il blocco conservatore. Il centrosinistra adesso chiederà il da farsi agli elettori con un referendum consultivo, che comunque non vincola il legislatore ad approvare una legge in materia.
Se i cittadini diranno sì, bisognerà innanzitutto scrivere una nuova normativa e farla approvare dal parlamento. Una strada incerta ed irta di ostacoli che potrebbe anche non andare a buon fine. Sicuramente i tempi saranno molto più lunghi di quelli che ci sarebbero stati se si fosse approvata la legge di iniziativa popolare (con tutte le migliorie del caso) per poi sottoporla ad un referendum abrogativo.
Intanto i malati terminali non avranno ancora la possibilità di poter decidere autonomamente sul loro fine vita. Una regola che naturalmente non vale per coloro che hanno i soldi sufficienti per andare a morire in qualche clinica specializzata all’estero.