Robert Golob © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Robert Golob © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Il governo sloveno voleva essere il primo a presentare il proprio candidato alla Commissione europea. I giochi politici locali ed europei, hanno però affondato le intenzioni del premier Golob, e la Slovenia rischia una figuraccia internazionale, visto che un candidato formale ancora non c'è

16/09/2024 -  Stefano Lusa Capodistria

Il premier sloveno Robert Golob lo aveva presentato nell’aprile scorso in pompa magna durante il festival del suo partito:  Tomaž Vesel doveva essere il futuro commissario europeo in rappresentanza della Slovenia. Il suo nome era stato fatto prima di qualunque altro candidato per la Commissione Europea, addirittura prima delle elezioni europee stesse e senza che il leader di Movimento Libertà avesse nemmeno consultato i partner di coalizione.

Il roboante obiettivo era quello di battere tutti sul tempo, per puntare ad un incarico importante da ottenere grazie alla competenza del candidato ed alle doti di Golob, certo di essere ormai un importante protagonista della politica europea. L’idea era quella di portare Vesel alle finanze o alla concorrenza.

Il premier sloveno era convinto di aver calato l’asso di briscola. Vesel, che per quasi un decennio aveva guidato la Corte dei conti, in patria era considerato una delle più autorevoli figure in circolazione.

Un vero miracolo che avesse accettato di entrare nella squadra del premier, proprio in un momento in cui Movimento Libertà faceva fatica a trovare candidati credibili da mettere in lista per le elezioni europee.

Alla fine, il suo nome era incredibilmente risultato accettabile persino persino per le opposizioni, tanto che sia i Democratici sia Nuova Slovenia avevano promesso che non avrebbero scatenato il solito putiferio a Bruxelles quando si sarebbe presentato davanti all’europarlamento.

Golob, però, non aveva fatto i conti con la vecchia e nuova presidente della Commissione Europea. Il proposito di Ursula Von der Layen era quello di avere una commissione con un’equa divisione di genere e, pertanto, aveva chiesto ai singoli paesi di candidare alla funzione di commissario un uomo ed una donna.

L’hanno ascoltata solo i bulgari, poi qualcuno come la Romania ha fatto marcia indietro ed ha indicato una donna. Golob, con una certa spocchia, ha dato immediatamente ad intendere che la scelta del nome del commissario era di pertinenza di Lubiana e che a Bruxelles si sarebbero dovuti adeguare.

Alla fine, però la presidente della commissione europea ha detto chiaramente agli sloveni che Vesel non avrebbe fatto parte della sua squadra e che comunque voleva che le indicassero una donna con esperienza politica e capacità diplomatiche.

Ogni riferimento alla ministra degli Esteri Tanja Fajon, ex leader dei post-comunisti sloveni, era puramente casuale. Il suo nome sarebbe risultato molto gradito ai socialisti, che lamentano di avere poche posizioni nell’esecutivo europeo.

A quel punto Vesel “ha deciso” di alzare bandiera bianca e di rinunciare “volontariamente” all’incarico. Così la testa mozzata del “super candidato” sloveno è rotolata nel grande cesto assieme alle tante altre delle prime donne che sono state a fianco di Golob.

Non volendo indicare la Fajon, al premier non è rimasto altro che tornare a rovistare in quello stesso cesto dei suoi collaboratori caduti in disgrazia per pescare il nome di una sua ex fedelissima.

Marta Kos era stata a suo fianco quando aveva fondato il partito tanto da diventarne vicepresidente. Doveva andare a occupare la prestigiosa poltrona di Presidente della Repubblica, ma alla fine non l’è rimasto altro che ritirarsi, andandosene anche dal partito, senza dare spiegazioni, ma facendo ad intendere di essere stata tradita.

L’avevano richiamata per le elezioni europee, ma non ne aveva voluto sapere di farsi rimettere in lista. Adesso invece non ha saputo dire di no alla tentazione di ricoprite un’alta carica in commissione. È tornata all’ovile, limitandosi a spiegare che se prima non andava più d’accordo con Golob, adesso hanno ritrovato l’intesa.

La Kos è una di quelle classiche figure che gira intorno alla politica slovena, con tanta ambizione e qualche capacità, sempre in attesa di una ghiotta opportunità.

Aveva cominciato come giornalista, era diventata portavoce del premier Janez Drnovšek, poi era stata vicepresidente della Camera di commercio ed anche ambasciatrice in Germania e Svizzera. Da Berna se n’era andata anticipatamente con qualche polemica sul suo modo di gestire l’ambasciata.

Il suo potente fratello Drago era stato a capo della commissione anticorruzione. Una figura invisa al centrodestra, accusato di far parte di quella aristocrazia rossa che in Slovenia non avrebbe mai abbandonato il potere.

Proprio per questo il centrodestra sta sparando ad alzo zero contro la nuova commissaria in pectore, che adesso viene accusata di essere stata legata all’UDBA, i famigerati servizi di sicurezza del regime jugoslavo.

Ovviamente la Kos nega, ma intanto per lei l’audizione di fronte all’europarlamento non sarà una passeggiata. L’eurodeputata democratica Romana Tomc, del resto, sta già andando in giro a Bruxelles a chiedere ai suoi colleghi cosa sarebbe successo se i tedeschi avessero proposto un eurocommissario accusato di essere stato legato alla Stasi.

Nel caos generale la Slovenia è diventata un ottimo pretesto per la presidente della commissione europea Ursula Von der Layen per rimandare a questa settimana la presentazione della sua squadra, visto che il nome del commissario sloveno ancora formalmente non c’è e forse nemmeno ci sarà.

Lubiana ne ha ricavato l’ennesima brutta figura a livello internazionale. A gongolare intanto è il centrodestra, che non pare per nulla intenzionato a mollare la presa e che chiede di sapere tutti i dettagli legati alla defenestrazione di Vesel ed alle comunicazioni intercorse tra Bruxelles e Lubiana.

Gli opinionisti legati al centrosinistra non nascondono il fastidio, anche se alcuni cercano di minimizzare e altri intessono lodi alla Kos, sperando che vada tutto bene.

In patria non manca però chi schiuma di rabbia per il fatto che il paese è stato trattato alla stregua di una repubblica delle banane, dimostrando di essere un paese debole con un premier tanto egocentrico quanto inconsistente.