(flickr/kika13)

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Tagli agli stipendi nel pubblico e allo stato sociale per arrivare presto al pareggio di bilancio. E' così che in Slovenia il governo Janša reagisce alla crisi e si prende i plausi di Berlino. I sindacati puntano i piedi, ma non troppo

16/05/2012 -  Stefano Lusa Capodistria

Dopo quaranta giorni di estenuanti trattative tra governo e sindacati, la Slovenia ha varato il suo maxi-programma di taglio alla spesa pubblica. Sforbiciata dell’8% alle paghe dei dipendenti pubblici e consistenti tagli allo stato sociale e alle altre uscite dello stato. Un provvedimento che va a modificare una quarantina di leggi e i cui effetti non sono ancora del tutto chiari nemmeno agli analisti.

- 500 milioni di euro

Il progetto, messo a punto dal ministro delle Finanze Janez Šušteršič, dovrebbe far diminuire quest’anno la spesa pubblica di 500 milioni di euro e l’anno prossimo di 750 milioni. L’obiettivo è quello di potare il deficit entro il 3% del PIL per poi inseguire il traguardo del pareggio di bilancio. Se non ci si dovesse riuscire si correrà ai ripari aumentando l’Iva, sino ad un massimo di 3 punti, un provvedimento questo che però appare piuttosto indigesto al nuovo esecutivo.

Nonostante vi siano dati a testimoniare in Slovenia una consistente riduzione dei consumi interni (e le previsioni per il prossimo anno sono di un'ulteriore contrazione del PIL del 1,4%), i ministri delle Finanze della zona euro hanno salutato con favore le “ambiziose“ misure di contenimento della spesa varate da Lubiana.

La Slovenia come al solito dimostra di voler essere la prima della classe e di voler attuare con rigore le direttive imposte da Bruxelles e da Berlino. All’orizzonte ci sarebbero la riforma del mercato del lavoro ed una serie di misure ancora indefinite che dovrebbero stimolare la crescita.

Verso Berlino

Il premier Janša ha subito incassato l'appoggio della cancelliera tedesca Angela Merkel. Il capo del governo sloveno, del resto, ha simbolicamente scelto Berlino per il suo primo viaggio all’estero.

Inizialmente i propositi dell’esecutivo erano ben più radicali. La riduzione dei salari avrebbe dovuto essere addirittura del 15% ed i tagli delle altre voci di spesa ancora più consistenti. I sindacati facendo (più o meno) la voce grossa, sono riusciti ad evitare riduzioni per ulteriori 124 milioni: soldi, hanno precisato dal governo, che adesso bisognerà recuperare da altre voci. Non certamente con le imposte sugli utili, che prima del varo delle misure anticrisi sono state ridotte per stimolare, è stato precisato, gli investimenti.

Chi non concorda

In questo periodo, tuttavia, non sono mancate voci critiche nei confronti dei tagli. Eminenti economisti hanno sottolineato che i provvedimenti non faranno uscire la Slovenia dalla crisi e che le misure prese non stimoleranno la crescita.

Adesso i cittadini dovranno fare i conti con una diminuzione del loro standard di vita. Da giugno niente più asilo gratuito per il secondo figlio, riduzioni degli assegni famigliari, delle sovvenzioni per i pasti degli studenti, dei sussidi di disoccupazione, limitazione dei contratti di consulenza nel settore pubblico e pensionamento degli impiegati pubblici che hanno raggiunto le condizioni necessarie. Tagliate ad un massimo di 35 giorni le ferie e cancellata la festività del 2 gennaio.

Salvato il 2 maggio

I sindacati dal canto loro hanno conseguito vittorie importanti. Si sono battuti come dei leoni per far rimanere festivo il 2 maggio (sic!), un retaggio del periodo socialista, che d’un tratto è sembrato diventare il baluardo dei diritti dei lavoratori. “Voi non sapete quanto il 2 maggio sia stato importante nella trattativa” ha precisato, alla fine, il ministro Šušteršič.

L’esecutivo trovato l’accordo con i sindacati con la concessione del 2 maggio e di qualche altra briciola, è riuscito ad ottenere alcuni risultati significativi. Il primo è stato quello di evitare il referendum, il secondo, forse quello più rilevante, è stato quello di far accettare ai sindacati ed ai cittadini la logica dei tagli per uscire dalla crisi. Il terzo è quello di aver di fatto introdotto il principio del taglio degli stipendi nel comparto pubblico per ridurre la spesa. Una misura questa più in linea con quelle adottate nell’Europa sud orientale che nell’Europa occidentale di cui la Slovenia vorrebbe far parte.

L'incognita referendum

Sta di fatto che sia per la coalizione al governo che per i sindacati il referendum sarebbe stato una terribile incognita. La bocciatura dei provvedimenti, con ogni probabilità, avrebbe fatto saltare il governo, mentre la loro approvazione avrebbe praticamente dato mano libera all’esecutivo per introdurre nel Paese, in tempi rapidi, riforme di chiaro stampo liberista. Alla fine, soprattutto i sindacati dei dipendenti pubblici, non hanno voluto rischiare.

La campagna referendaria rischiava di essere durissima, già nel corso della trattativa con il governo era stato più volte ribadito che i sindacati di categoria si stavano battendo per difendere gli interessi di privilegiati. Secondo molti analisti, del resto, i dipendenti pubblici avrebbero difficilmente trovato la solidarietà degli altri lavoratori e dei cittadini colpiti dalla crisi.

Non tutto comunque è risolto. Rimangono da definire ancora alcune questioni importanti, prima fra tutte quella degli standard scolastici. La questione per il momento è stata stralciata, ma il governo avrebbe voluto ridurre il numero degli insegnanti e da tempo sta ipotizzando una robusta riorganizzazione del settore pubblico in cui non sono esclusi nemmeno i licenziamenti.