Una terapia intensiva - Alexandros Michailidis/Shutterstock

Una terapia intensiva - Alexandros Michailidis/Shutterstock

In Slovenia il contagio da Covid-19 avanza e il sistema sanitario è sotto forte stress. Al palo la campagna vaccinale, prevale un'ampia sfiducia nelle istituzioni

17/11/2021 -  Stefano Lusa Capodistria

Negli ospedali vengono allestiti reparti di fortuna. Gli sforzi sono tutti rivolti ad aumentare i letti in terapia intensiva. Quello che manca però non sono le attrezzature, ma il personale. A dare una mano prima sono arrivati medici e i paramedici degli altri settori, poi gli studenti di medicina e delle scuole infermieri ed alla fine anche l’esercito.

Il sistema sanitario è sotto stress e oramai ci si limita agli interventi urgenti e a poco altro. Non si esclude che presto verrà chiesto aiuto anche all’estero. La speranza è che possa arrivare personale specializzato per le terapie intensive; o in alternativa che gli ospedali che stanno a due passi dalla Slovenia possano ricoverare i pazienti quando non ci sarà più il posto dove metterli. La scorsa settimana nella terapia intensiva del Policlinico di Lubiana è tornato a dare una mano anche il ministro della Sanità, Janez Poklukar. Lui ed il gruppo di esperti che coordinano l’emergenza Covid avevano chiesto di mettere in atto un lockdown totale di due settimane, alla fine il governo ha deciso di applicare le regole che ci sono già, dando un giro di vite nei controlli del Green pass, che adesso deve essere esibito insieme alla carta di identità. Nelle scuole è stato introdotto l’obbligo di tampone ogni due giorni, da fare in aula sotto la supervisione degli insegnanti. Chi non ci sta rimane a casa: per gli alunni degli istituti primari che non verranno in classe ci sarà la didattica a distanza, mentre quelli delle secondarie dovranno arrangiarsi.

Intanto la campagna vaccinale continua ad andare male. I dati parlano chiaro. In un mese i vaccinati sono passati solo dal 52,1 al 53,7%. In compenso sta andando meglio la somministrazione della terza dose che è stata oramai inoculata a poco meno del 15% dei vaccinati.

L’appello che tutte le istituzioni lanciano da settimane è quello di vaccinarsi, solo così sarà possibile salvare il paese dalla catastrofe. La situazione, però, non sembra impensierire più di tanto quel compatto fronte no-vax, che evoca complotti, parla di cure alternative, cita “autorevoli” studi di guru della medicina o piega alle proprie ragioni i dati scientifici esistenti.

Lo scontro tra vaccinati e non vaccinati è palese. Quest’ultimi sono accusati dagli altri di aver preso in ostaggio, con il loro comportamento irresponsabile, la Slovenia. Dall’altra parte si risponde rispolverando un vecchio slogan delle campagne per i diritti delle donne: “My body, my choice” (mio è il corpo, mia è la scelta).

La polemica non è dissimile da quella che si sente anche in Italia o in altri paesi europei. La differenza però sta in quella che sembra essere una profonda sfiducia e nella scarsa credibilità che le istituzioni hanno in Slovenia ed anche in tutto il resto dell’Est Europa. Tutto ciò non fa che riflettersi poi sui risultati della campagna vaccinale. I ragionamenti sulla responsabilità collettiva e anche quella della necessità di un patto sociale per superare la crisi non sembrano fare breccia. Così il motto imperante sembra essere: ognuno per sé e Dio per tutti.

Intanto la politica non aiuta. In questi giorni i leader di partito hanno continuato a litigare sui più disparati temi, ma nessuno ha sentito l’esigenza di parlare dell'emergenza sanitaria. L’unico a farsi sentire è stato il ministro Poklukar, che però non è altro che un tecnico prestato alla politica.

Ora che le cose stanno andando male la guerra senza quartiere in atto tra centrodestra e centrosinistra sembra aver accantonato per un attimo il coronavirus. Eppure, questo è stato sin dall’inizio uno dei fronti su cui dare battaglia. Il premier Janez Janša, arrivato al potere nel marzo del 2020 grazie ai litigi all'interno del centrosinistra, ha subito puntato il dito contro i suoi predecessori, colpevoli, a suo dire, di aver lasciato i magazzini vuoti; quest'ultimi hanno immediatamente ribattuto che per lui la pandemia non era altro che una scusa per fare affari e per dare una svolta autoritaria alla Slovenia. Janša, in questo periodo di governo, ha cercato di fare di tutto per non smentirli e loro si sono impegnati a mettergli i bastoni tra le ruote.

Con un governo senza una maggioranza certa in parlamento e senza un ampio consenso su come affrontare l’emergenza si è barcamenato tentando di gestire la situazione a colpi di decreti. L’opposizione e parte della società civile ha risposto con ricorsi alla Corte costituzionale e alle altre istituzioni di garanzia, che spesso e volentieri hanno cassato o congelato le norme varate. Il risultato è stato solo un enorme caos, con regole confuse, che mutavano anche di ora in ora, dove non si capiva bene chi dovesse farle rispettare.

Tutto ciò è servito ad offuscare il mito di Janša. L’eroe della “guerra” di indipendenza era considerato da molti l’uomo giusto per gestire le situazioni d’emergenza, quello che nei momenti di crisi avrebbe saputo come tirare fuori dal pantano il paese. Si è trovato invece imbrigliato dal sistema e proprio per questo non ha mancato di lamentarsi per le troppe garanzie esistenti e per i troppi lacci imposti al governo. Del resto lui guarda con simpatia all’Ungheria ed agli altri modelli di democrazie autoritarie dell’est europeo.

Dal centrosinistra, intanto, non vedono l’ora di sbarazzarsi nuovamente di lui e di tornare al potere. Le elezioni sono annunciate per il prossimo 24 aprile e loro sono convinti di ottenere una vittoria sicura. Se accadrà, molto probabilmente non ci metteranno molto a litigare, come è successo ogni volta che negli ultimi tempi hanno sconfitto Janša. A Lubiana i loro supporter informali, anche questa settimana, hanno allestito per l’ottantaduesima volta la solita protesta antigovernativa del venerdì. Gli organizzatori, con il loro solito mix di proclami politici e “spettacoli” culturali, hanno anche varato una piattaforma politica: 100 richieste da sottoporre ai partiti.

Si vuole una lotta senza quartiere alla corruzione, la transizione verde, 30.000 alloggi a equo canone, garanzia per la libertà dei media, ma anche il ripristino dell’ordine delle cose alla fine dell’era Janša. Tra gli appelli anche quello di una radicale riforma del sistema politico, introducendo la possibilità di cacciare il parlamento in carica tramite referendum. Quello della revoca dei mandati era un cruccio del vecchio sistema autogestito jugoslavo ed è uno dei temi ricorrenti ripresi da chi punta il dito contro la partitocrazia. Se dovessero venir ascoltati sarebbe un’arma fantastica nelle mani di Janša e dei suoi uomini, che in trent’anni di democrazia in Slovenia hanno dimostrato più di una volta di saper mettere in crisi i loro avversari al governo tramite il voto popolare.