Il primo ministro sloveno Alenka Bratušek

In Slovenia i dati macroeconomici sono quest'anno in trend positivo. Nel paese regna quindi un moderato ottimismo? Tutt'altro, a Lubiana non si riesce ad uscire dalla logica del tutti contro tutti. Un'analisi

07/04/2014 -  Stefano Lusa

Occupazione in leggero aumento, lieve crescita economica, spread mai così basso negli ultimi anni e tassi d’interesse, sui bond decennali, ben lontani da quel 7% che avrebbe rischiato di far arrivare a Lubiana la famigerata troika con il suo pacchetto “d’aiuti”. Il positivo scenario potrebbe far credere che la Slovenia si accinga a uscire dal pantano in cui si era trovata invischiata a causa della crisi economica, invece continua a sguazzarci dentro e pare pure provarci un certo gusto.

Tutti contro tutti

La crisi sembra aver lasciato in eredità una guerra senza quartiere di tutti contro tutti, dalle conseguenze pesantissime. Nel paese, oramai, la sfiducia regna sovrana; mentre la stampa, con toni sempre più scandalistici, continua a denunciare i privilegi veri o presunti di cui godrebbero le diverse caste che starebbero controllando il paese. In sintesi: se fino a qualche anno fa i cittadini sloveni credevano di vivere in un ordinato paese centroeuropeo gestito con efficace cipiglio austroungarico, oggi pensano di abitare in una specie di “Slovenistan” dominato da politici e funzionari corrotti e ricchi e potenti oligarchi.

Forse è proprio questa la più grande vittoria di Janez Janša, il leader democratico, figura leggendaria del processo d’indipendenza dalla federazione jugoslava e arcigno critico del centrosinistra da quando, nel 1994, venne defenestrato dal governo, relegato per lunghi anni all’opposizione e presentato, dai suoi detrattori, come una sorta di principe delle tenebre. Da quell’istante, per lui, la Slovenia non è stata altro che un paese retto dalle “oscure forze della continuità” indissolubilmente legate al regime comunista ed ai suoi famigerati servizi segreti. Un paese fatto di privilegi per i potenti e i collusi con il “regime” e di lacrime e sangue per gli altri. Una teoria questa enunciata per lunghi anni dai suoi uomini e dai giornali ad esso legati, in un clima di crescente sospetto e di pesanti illazioni, che ora sembra essere diventata patrimonio di tutta la nazione.

La Commissione e altre poltrone

Lo scontro è oramai senza quartiere. L'ultima istituzione che sembrava godere di una certa credibilità era la Commissione anticorruzione. I suoi uomini, non senza un certo cipiglio da Santa Inquisizione, avevano puntato il dito un po’ contro tutti, per poi andarsene sbattendo la porta, visto che non si sarebbe fatto abbastanza per la lotta alla corruzione. Ci sono voluti mesi acciocché il Capo dello stato, Borut Pahor, scegliesse i membri della nuova commissione. Il prestigioso incarico è andato ad uno sconosciuto avvocato, Boris Štefanec, che solo a poche ore dalla nomina ha rinunciato alla tessera di Slovenia positiva, il maggiore partito di governo. Ne sono seguite polemiche accesissime, e pesanti strali non sono mancati nemmeno per il fatto che uno dei membri dimissionari della commissione, Rok Praprotnik, si è accaparrato una importante funzione nella principale banca slovena.

Molto ha riflettuto anche la premier Alenka Bratušek per trovare il nuovo ministro delle sanità. Tomaž Gantar, del partito dei Pensionati, aveva gettato la spugna, un paio di mesi fa, quando si era reso conto che, non avendo il necessario appoggio della coalizione di governo, per lui sarebbe stato impossibile mettere ordine in un sistema che ha urgente bisogno di riforme.

Alla fine la premier ha tirato fuori dal cilindro un tecnico, Alenka Trop Skaza, che ha sbattuto la porta dopo un mese, ufficialmente a causa delle pressioni che avrebbe subito da parte di imprecisate lobby, ma probabilmente anche perché la sua presenza nell’esecutivo avrebbe potuto rendere più difficoltosi gli affari per le sue aziende di famiglia. A farne direttamente le spese Tina Komel, costretta a rassegnare le dimissioni dal ministero per gli sloveni nel mondo per seguire la logica delle distribuzione delle poltrone nel governo tra i vari partiti di coalizione. Disfarsi di lei, considerata una fedelissima del fondatore del partito, Zoran Janković, non deve essere dispiaciuto troppo alla premier, la cui leadership nel partito appare tutt’altro che scontata.

I conti si faranno presto. Il congresso, rimandato da tempo, ora potrebbe essere alle porte. Dovesse vincere Janković appare inevitabile la crisi di governo e probabilmente le elezioni anticipate.

Ma i guai per la premier non si fermano qui. La scorsa settimana in parlamento sono state promosse tre mozioni di sfiducia contro altrettanti ministri. Alla fine entrambi sono rimasti in sella, ma la coalizione è parsa tutt’altro che compatta. La Komel e altri due deputati di Slovenia positiva hanno addirittura votato per la defenestrazione del ministro degli Interni Gregor Virant. La mozione che voleva il siluramento del leader della Lista civica, artefice prima della formazione del governo Janša e poi della sua caduta, ha addirittura ottenuto la maggioranza dei voti, ma non il quorum sufficiente per farlo saltare.

Lavoro di segreteria?

Ora la Bratušek è intenzionata a fare i conti all’interno del suo partito, ma anche a chiedere la fiducia in aula. Probabilmente è stufa di sentirsi dire che più che un premier è una sorta di segretaria senza reale potere né nel consiglio dei ministri né in Slovenia positiva. Lei del resto ha visto naufragare quello che sembrava un progetto fondamentale per far quadrare i conti pubblici: la tassa sulla casa. Dovevano entrare in bilancio circa 200 milioni di euro, ma il provvedimento è stato bocciato dalla corte costituzionale.

Una brutta figura per l’esecutivo e per la Bratušek, che in questo progetto aveva investito molte energie, a cui va sommato un altro scivolone, quello dell’immediato annuncio dell’aumento dell’IVA, per coprire i mancati introiti a cui è seguita una altrettanto repentina marcia indietro quando si è accorta che non c’era il consenso di tutti i partner di governo. Ora si correrà ai ripari tagliando le spese, aumentando alcune accise e con una più efficace riscossione delle tasse.

Sta di fatto che mentre le diverse fazioni politiche sono impegnate a farsi la guerra tra di loro e a darsi battaglia anche all'interno dei vari partiti, il paese sembra contare sempre meno a livello internazionale. Lubiana non sembra giocare un ruolo attivo all'interno dell'Unione europea dove, a causa della crisi economica, pare diventata semplicemente uno dei punti all'ordine del giorno dell'Ecofin al pari di Grecia, Cipro e Irlanda.