Slovenia, Ospedale generale di Jesenice © Nik Bertoncelj/Shutterstock

Slovenia, Ospedale generale di Jesenice © Nik Bertoncelj/Shutterstock

Un tempo una vera e propria eccellenza, oggi la sanità slovena non è priva di problemi. Uno dei principali è la presenza di due sistemi paralleli, pubblico e privato, che aumentano le diseguaglianze tra i cittadini. Nel frattempo il premier Golob ha appena licenziato il ministro della Sanità

20/07/2023 -  Stefano Lusa Capodistria

Se ne va dopo un anno passato tra mille promesse, annunci di mirabolanti riforme e una vagonata di soldi spesi. Il ministro della Sanità Danijel Bešič Loredan era l’uomo che - secondo il premier Robert Golob -  avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi della sanità slovena. Era salito sul carrozzone di Movimento Libertà, dopo che negli anni la sua voce si era levata più volte per criticare il funzionamento del sistema. A lui il difficile compito di ridisegnarlo. A testimoniare il fatto che ci si fidasse ciecamente del suo progetto anche l’effimero incarico di vicepremier, che faceva di lui uno degli uomini simbolo del partito.

Alla fine, Golob lo ha chiamato nel suo ufficio e gli ha presentato un foglio già compilato con le sue dimissioni. Bešič Loredan si è limitato a firmarlo e ad andarsene. Una scena degna di House of Card o del Trono di spade, visto che sino a poche ore prima i membri di Movimento Libertà avevano fatto a gara per intessere lodi nei suoi confronti. Il partito aveva reagito così alla mozione di sfiducia, promossa contro il ministro, dai Democratici di Janez Janša. A molti quella mossa dell’opposizione era sembrata un vero e proprio favore nei confronti di Danijel Bešič Loredan e della sua traballante sedia, un modo per costringere la maggioranza a tenerlo lì suo malgrado.

Danijel Bešič Loredan (foto wikimedia CC)

Danijel Bešič Loredan (foto wikimedia CC)

Cade così un altro tassello del governo Golob. Un altro uomo che doveva giocare un ruolo importante per quello che è l’improvvisato progetto politico di Movimento Libertà. La prima ad alzare bandiera bianca era stata la ministra dell’Interno, Tatjana Bobnar, colpevole di aver voluto difendere la polizia dalle ingerenze del premier e dei suoi uomini. La vicenda ha alcuni tratti comuni, compreso quello della mozione di sfiducia. All’epoca la ministra, prima di farla dimettere, era stata difesa a spada tratta in parlamento dalla sua maggioranza. Questa volta, almeno la sceneggiata, è stata risparmiata al paese.

Ora l’interim è passato a Robert Golob. All’orizzonte non sembrano esserci frotte di aspiranti ministri e probabilmente il premier ed il governo faranno fatica a trovare qualcuno disposto a occupare la scomoda poltrona.

I problemi comunque rimangono. L’unica questione parzialmente risolta in un anno di governo è stata quella dell’assicurazione sanitaria integrativa: un contributo volontario che i cittadini versavano alle assicurazioni private per avere una copertura assoluta delle prestazioni sanitarie, evitando così di dover pagare il ticket. Negli anni, milioni di euro sono entrati nelle loro casse ed affari d’oro sono stati fatti al tempo del Covid, dove con tutto il comparto medico concentrato a risolvere l’emergenza c’è stata una significativa riduzione delle visite ordinarie e quindi anche dei costi a carico delle assicurazioni.

Passato il periodo delle vacche grasse, le assicurazioni avrebbero voluto aumentare i premi: a quel punto il governo prima li ha congelati e poi ha stabilito che i cittadini avrebbero versato il premio direttamente nelle casse dello stato. La soluzione ha fatto storcere il naso, soprattutto, alla Sinistra (radicale). Il più piccolo partito di governo avrebbe preferito una tassazione progressiva. Sta di fatto che tenendo conto degli sgravi fiscali, alla fine pagheranno di più coloro che hanno redditi minori (sic!).

In un paese dove l’eguaglianza è ancora considerata un valore assoluto, quello sanitario è uno dei nodi maggiori. L’assistenza medica gratuita è ritenuta da sempre uno dei fiori all’occhiello della repubblica. Anche al tempo della Jugoslavia, la Slovenia era un’eccellenza. Non a caso il maresciallo Tito venne a combattere la sua “ultima grande battaglia” (come diceva la retorica del tempo) proprio al centro clinico di Lubiana, dove morì nel maggio del 1980.

Dopo l’indipendenza il sistema non subì troppi contraccolpi e non si piegò nemmeno alla logica del libero mercato. Davanti al personale sanitario, tutti i cittadini erano uguali o almeno quasi uguali. Poi le cose cominciarono a cambiare. I medici, soprattutto i più stimati specialisti, iniziarono a chiedere compensi migliori ed anche la possibilità di poter operare anche nel privato nel tempo libero. Presto vennero beffardamente definiti “anfibi”: figure in grado di godere dei privilegi dell’essere inseriti in un sistema pubblico, ma anche di operare nel privato incassando lauti compensi, spesso aprendo lo studio nel loro stesso ospedale ed usando i macchinari della struttura sanitaria. Un processo di lungo periodo che ha portato lentamente, senza quasi che i cittadini se ne accorgessero, a dar vita a due sistemi paralleli: uno pubblico e l’altro privato.

Le strade a questo punto sono due: istituzionalizzare la realtà esistente o separare definitivamente pubblico e privato. Gran parte dei medici sembrerebbero protendere per la prima soluzione e Danijel Bešič Loredan pareva voler percorre questa strada. Golob ha motivato la defenestrazione del suo ministro anche dicendo di voler mantenere la sanità pubblica; ma il governo, ad un anno dal suo insediamento, non sembra avere un progetto chiaro su come risolvere la questione e ad onore del vero nemmeno su come affrontare gli altri problemi del paese.

Intanto molti cittadini continuano a rimanere senza medico di base e i tempi di attesa per le visite specialistiche non diminuiscono. In sintesi, chi ha i soldi o ha una buona assicurazione privata si fa immediatamente una ecografia o una risonanza magnetica, mentre chi non può permettersela attende pazientemente che arrivi il suo turno.