Dopo il caso che ha destato scalpore di Anuška Delić, un altro giornalista sloveno finisce in tribunale accusato dai Servizi segreti di aver rivelato informazioni riservate. Una rassegna
Un altro giornalista finisce nel mirino della magistratura slovena. Erik Valenčič dovrà comparire in procura perché in un suo documentario sarebbero apparsi dati riservati.
Nel gennaio scorso TV Slovenia trasmise un documentario dal titolo “La coalizione dell’odio”. Il programma si occupava dei movimenti di estrema destra presenti nel paese. L'autore era proprio Valenčič che però si difende spiegando di non aver avuto tra le mani nessun documento segretato dei servizi sloveni, ma di aver soltanto incrociato gli elementi emersi nei colloqui tra gli agenti e il tutore dei diritti dell’uomo, con l’edulcorato rapporto sui gruppi estremisti operanti in Slovenia inviato dagli 007 alla Commissione parlamentare di vigilanza dei servizi segreti, dove molti di questi elementi erano stati omessi: l’indice era puntato sulla presunta politicizzazione della SOVA, l'Agenzia per la sicurezza slovena.
I servizi
Da tempo l’Agenzia per la sicurezza slovena è nel pieno della bufera. I democratici di Janša, dopo aver perso le elezioni parlamentari del 2011, erano riusciti a riprendersi in parlamento quello che gli elettori volevano toglier loro. La prima mossa del nuovo esecutivo fu di mettere alla guida della SOVA un fedelissimo del premier. A quel punto sulla stampa legata al centrosinistra, non erano mancate di piovere pesanti accuse su una serie di avvicendamenti ed assunzioni, che avrebbero portato nell’agenzia figure legate al partito del primo ministro.
Era la più classica delle polemiche tra gli avversari ed i sostenitori di Janša. I primi pronti a denunciare le continue trame occulte che l’ex premier starebbe ordendo per mettere le mani sul paese e con i secondi impegnati a denunciare gli incessanti complotti orchestrati al solo fine di screditare il loro carismatico leader.
Sta di fatto che alla vigilia delle elezioni del 2011, su Delo, il principale quotidiano sloveno, erano apparsi una serie di articoli, a firma di Anuška Delić, in cui si denunciavano connessioni tra il gruppo neonazista dei Blood & Honour ed il partito democratico di Janša. La polemica che ne seguì fu durissima, sia tra le forze politiche sia tra i democratici ed i giornalisti etichettati di essere mani e piedi legati al precedente regime.
Proprio per quegli articoli ora la Delić è sotto processo. L’accusa è quella di aver diffuso dati contenuti in un rapporto riservato. Accanto a lei, sul banco degli imputati, con l’accusa di omessa denuncia, c’è anche Sebastjan Selan, il capo dei servizi segreti fatto immediatamente fuori dal governo di centrodestra. La Delić precisa di non aver visto nessun documento segreto, di esser giunta a quelle conclusioni grazie a dati di dominio pubblico ed alle informazioni che le hanno passato le sue fonti. Gli inquirenti, ovviamente, vorrebbero sapere chi sono le gole profonde, ma la Delić ha detto chiaramente che non intende rilevare alcun nome. Rischia tre anni di carcere.
Giornalisti sotto accusa
Per il procedimento penale nei confronti della Delić la Slovenia è già finita nella lista nera dell’Organizzazione per la sicurezza e la collaborazione in Europa. Sulla questione non ha mancato di levarsi la protesta delle associazioni che rappresentano i giornalisti, a livello sia europeo sia nazionale.
Nel mirino della giustizia, intanto, ci sono altri due giornalisti: Meta Roglič e Peter Lovšin. Tempo fa sono stati chiamati in procura, per un articolo sui servizi segreti pubblicato sull’inserto di approfondimento del Dnevnik. Per ora non ci sono notizie sull’effettivo avvio del procedimento giudiziario a loro carico. Anche in questo caso, come in quelli precedenti, la denuncia è arrivata direttamente dalla SOVA.
Per alcuni il messaggio è chiarissimo: con i servizi segreti è meglio non scherzare ed è meglio non parlare dei loro rapporti anche se ti dovessero capitare tra le mani. Per altri, invece, la colpa è solo di una legge fatta male, che consente di perseguire i giornalisti che rivelano dati riservati, anche quando questi sono di pubblico interesse. Il governo Cerar promette di voler correre ai ripari, ma intanto i procedimenti vanno avanti.
Cosa fa la magistratura?
La magistratura, in effetti, non ha molto spazio di manovra. In presenza di denunce e di chiare norme di legge che sanzionano la diffusione di dati riservati il magistrato non può che precedere. A complicare la questione va aggiunta l’assenza, nel paese, di una prassi giuridica in materia, che probabilmente nascerà ora con questi casi. Difficile poter ipotizzare che il tutto si concluda con l’effettiva incarcerazione di qualche giornalista. La Corte europea per i diritti dell’uomo ha più volte sentenziato che il diritto a divulgare informazioni di interesse pubblico è predominante su quello della riservatezza.
La Slovenia, in fatto di libertà di stampa, non è l’Azerbaijan, ma i problemi restano. Il paese, nel 2014, era al trentaquattresimo posto nell’Indice della libertà di stampa. Rispetto al 2013 aveva scalato la classifica di una posizione. Meglio di Spagna, Francia, Stati Uniti ed Italia. Oggi, comunque, molti non mancano di chiedersi con quale spirito i giornalisti affronteranno ora argomenti per cui i loro colleghi sono sotto inchiesta.
Il giornalismo sloveno del resto deve fare i conti con molti nodi irrisolti che vanno dall’assetto proprietario dei mass-media, all’influsso che esercita su di esso la politica o il mondo economico, per arrivare alla sua passione per forme sempre più spinte di giornalismo scandalistico. Quello che appare chiaro, in questo momento, è che non è certamente compito dei giornalisti tutelare documenti più o meno segreti e che le informazioni di pubblico interesse vanno diffuse, anche se poi qualcuno si arrabbia.
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