Dopo circa 40 anni di lotte per i diritti LGBT in Slovenia, martedì 4 ottobre la Camera di Stato con un’ampia maggioranza ha approvato una modifica del Codice di famiglia che equipara in tutto e per tutto le coppie eterosessuali a quelle omosessuali. La battaglia però non è ancora finita
Negli anni Ottanta la Slovenia era stata il primo paese dell’est Europa a confrontarsi pubblicamente con l’esistenza di coppie dello stesso sesso. Mentre nel resto della Jugoslavia e dell’Europa comunista, omosessuali e lesbiche venivano vessati ed in alcune aree addirittura perseguiti penalmente, a Lubiana erano nati i primi circoli che univano omosessuali e lesbiche. Si muovevano nel variegato mondo dei movimenti alternativi giovanili che avevano cominciato a spuntare come funghi ed a sviluppare una nuova piattaforma culturale sempre più critica nei confronti del regime. La richiesta di allora era quella di normalizzare all’interno della società i rapporti tra coppie dello stesso sesso e di superare l’idea che la loro fosse una malattia o una devianza. In sintesi si volevano rompere una serie di tabù e spiegare, a partire dalle scuole, che l’amore era uguale per tutti.
Ci sono voluti quarant’anni per superare quasi tutte le discriminazioni, almeno a livello legislativo. All’epoca sembrava che le cose potessero procedere in maniera più spedita, ma dopo l’indipendenza ci si è presto resi conto che la Slovenia era molto più conservatrice e legata ai valori tradizionali di quanto se la immaginasse la sinistra liberale che aveva scardinato il regime. Si è assistito così ad una maturazione lenta, dove non sono mancati episodi di omofobia e violenza nei confronti della comunità LGBT, passando per una serie di orrendi referendum per limitare i loro diritti. Oggi i pregiudizi e le forche caudine che le coppie LGBT devono ancora superare nella vita di ogni giorno non sono ancora del tutto superati, ma molti tabù sembrano infranti. La Slovenia così è ancora una volta il primo dei paesi dell’ex blocco comunista a concedere quasi in toto uguali diritti a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.
La Camera di Stato con un’ampia maggioranza ha approvato una modifica del Codice di famiglia che equipara in tutto e per tutto le coppie eterosessuali a quelle omosessuali. Simili soluzioni sono state già adottate in molti paesi Occidentali, ma non nell’Est Europa e nemmeno in Italia. A costringere i deputati ad emendare la vecchia normativa è stata la Corte costituzionale, che nel luglio scorso ha sentenziato che le soluzioni previste nel Codice di famiglia per matrimonio ed adozioni erano discriminatorie per le coppie dello stesso sesso. I giudici avevano dato sei mesi di tempo al parlamento per adeguare la legislazione, ma avevano anche imposto di applicare sin da subito la decisione. La sentenza è stata accolta con le lacrime agli occhi dagli attivisti LGBT, che dopo decenni si sforzi, stavano oramai vincendo la loro battaglia.
La coalizione di centrosinistra ha annunciato subito che sarebbe corsa rapidamente ai ripari e questa volta ha mantenuto la parola; mentre i democristiani di Nuova Slovenia e i Democratici, assieme alla variegata compagnia di attivisti religiosi e di difensori della famiglia tradizionale, che si erano mobilitati in passato contro i diritti della comunità LGBT, hanno nuovamente ripreso ad affilare le armi. A muoversi persino il Consiglio delle chiese cristiane che insieme alla Comunità Islamica aveva espresso preoccupazione per una modifica legislativa destinata a cambiare i “cardini della società” slovena quali famiglia, paternità e maternità. Per i detrattori del provvedimento ad essere messa in gioco sarebbe l’esistenza stessa del popolo sloveno, “l’ordine naturale”, l’interesse dei bambini ad avere una madre ed un padre e persino “l’ordinamento internazionale” in materia di tutela dei bambini. Ora il “pericolo” sarebbe che la teoria gender possa essere diffusa nelle scuole, mentre l’interesse nazionale sarebbe stato sacrificato per accontentare una piccola parte della popolazione.
Ancora una volta i toni sono stati quelli della solita guerra civile permanente che vede impegnata la classe politica e la società slovena. Il dibattito in aula così ha regalato rare perle di “saggezza”, dove da una parte è stato detto che la Bibbia è al di sopra della costituzione e dall’altra che se la società dovesse essere ancora regolata su modelli di 2500 anni fa ci dovrebbe essere allora ancora la pena di morte e la segregazione delle donne.
In un dibattito tra sordi a poco sono valse le rassicurazioni del governo che la nuova normativa in nulla e per nulla mette in discussione la famiglia tradizionale, ma semplicemente concede diritti a chi non ce li ha. Ora l’unione tra due persone dello stesso sesso sarà considerata un matrimonio uguale a quello delle coppie eterosessuali. Sino a ieri le persone LGBT avevano solo il diritto di adottare il figlio biologico del partner; adesso potranno chiedere in adozione bimbi come tutti gli altri. Saranno poi i servizi sociali ed il giudice a stabilire a chi affidare il minore, nell’esclusivo interesse del bambino. Da rilevare che in un paese dove all’anno le adozioni sono meno di 50, tra il diritto di mettersi in lista e l’effettiva assegnazione di un neonato ad una coppia LGBT probabilmente ne passerà ancora di acqua sotto i ponti. La partita comunque non è ancora vinta. La legge potrebbe venir rimandata alla Camera di Stato dal veto sospensivo del Consiglio di Stato. I numeri per approvarla nuovamente con maggioranza assoluta comunque ci sono. Poi c’è la minaccia di un nuovo referendum, che, però, non dovrebbe venir ammesso dalla Coste costituzionale, visto che non sarebbe possibile su un adeguamento legislativo chiesto proprio dai giudici dell’alta corte.
La battaglia per garantire a tutti gli stessi diritti, quindi, non è ancora finita, mentre lo scontro è destinato a continuare visto che la legge che regola la fecondazione assistita al momento limita l’intervento alle coppie eterosessuali. Visto come è andata nel caso di matrimoni e adozioni anche questo cambiamento potrebbe essere alle porte.