Due presunti agenti di Mosca arrestati nei giorni scorsi nella capitale slovena. Una vicenda che ha avuto grande eco sui media. I riflessi sulla politica estera del paese
Una tranquilla coppia argentina residente nella periferia di Lubiana. Una piccola azienda informatica ed una galleria d’arte, con i suoi profili social. Figli regolarmente iscritti a scuola. Una vita che all’apparenza sembrava assolutamente comune, almeno sino all’arresto avvenuto il 5 dicembre scorso. L’accusa è quella di essere due agenti russi, che avrebbero raccolto informazioni, dalla Slovenia e non solo, per i servizi segreti di Mosca. Una coppia che a lungo è stata dormiente, prima di attivarsi al momento opportuno. La notizia del loro arresto è trapelata alla fine di gennaio ed è subito stata definita uno dei più grandi successi del controspionaggio di Lubiana.
In Slovenia ben pochi sarebbero stati disposti a scommettere che il loro paese potesse essere un covo di spie. Sta di fatto che l’arresto di due agenti ed ancor più la diffusione della notizia non è un fatto di ogni giorno. Spesso, del resto, quando le spie vengono identificate la faccenda viene gestita con riservatezza e senza clamore o articoli di giornale. Per alcuni, perciò, l’intento potrebbe essere anche quello di far capire ai propri alleati occidentali che la Slovenia sta dalla loro parte e che i suoi servizi sono in grado di porre freno alle attività dei russi.
Proprio in questo periodo non mancano notizie di arresti e condanne di agenti di Mosca provenienti da varie parti d’Europa. Pochi giorni fa in Svezia due spie russe sono state condannate rispettivamente all’ergastolo ed a dieci anni di carcere. A dicembre una spia è stata arrestata in Germania, ad ottobre un’altra era stata fermata in Norvegia. Nel 2021 arresti erano stati registrati in Italia e Bulgaria, mentre anni prima si erano verificati casi in Austria, Polonia, Ungheria e Lettonia. Secondo quanto scrive Politico tutta questa pubblicità potrebbe essere anche il segno di un cambio di rotta nel modus operandi delle varie agenzie di controspionaggio in Europa, che in questo modo da una parte metterebbero in guardia i loro cittadini sui pericoli esistenti e dall’altra renderebbero sempre più difficile il tentativo di Mosca di negare le operazioni nell’Unione dei loro servizi segreti.
Intanto la Slovenia deve fare i conti con le diverse posizioni che si registrano al suo interno a riguardo della guerra in Ucraina ed anche in materia di rapporti con la Russia. A livello ufficiale la condanna è ferma ed unanime, ma nell’opinione pubblica la posizione è molto più variegata. Si va così dal tradizionale atteggiamento filorusso condito di antiamericanismo sfegatato, per arrivare al pieno appoggio della causa di Kiev, passando però attraverso quella zona grigia che invita a prendere in considerazione anche le ragioni dei russi o che sottolinea i pericoli di un ulteriore invio di armi all’Ucraina. In tal senso non hanno mancato di farsi sentire personalità di spicco riconducibili al centrosinistra, con iniziative, lettere ai giornali e prese di posizione.
Dal punto di vista economico i rapporti con la Russia ed anche gli interessi di molte aziende slovene sono evidenti oramai da tempo. Significativamente Karl Erjavec, che aveva guidato la diplomazia slovena tra il 2012 e il 2018, aveva sempre mantenuto una relazione cordiale con Mosca, tanto da suscitare anche qualche perplessità a livello europeo, dove contro la Russia si stavano già imponendo sanzioni. Nell’attuale governo Socialdemocratici e Sinistra se non sono alleati di Mosca, non sono nemmeno suoi acerrimi nemici, tanto che, per tornare alla vicenda delle spie russe arrestate in Slovenia, Uroš Esih, sul Delo di ieri, non ha mancato di definire “inspiegabile” il fatto che la leader socialdemocratica, Tanja Fajon, giudicata “la più comprensiva ministra degli Esteri mai avuta dalla Slovenia nei confronti degli interessi di Mosca”, non abbia ancora chiamato a colloquio l’ambasciatore russo.
A non avere nessun dubbio da che parte stare sulla questione Ucraina e sui rapporti con la Russia dopo l’invasione era invece indubbiamente Janez Janša. Al tempo del suo governo di centrodestra, Lubiana sposò immediatamente la causa di Kiev e Janša lo dimostrò in maniera evidente recandosi, prima di altri, in visita dal presidente Volodymyr Zelens'kyj, nella capitale assediata. Ucraina a parte, il padre padrone del centrodestra sloveno aveva spostato il baricentro della politica estera slovena verso est, guardando ai paesi del gruppo di Visegrád e sognando per il suo paese il modello di democrazia illiberale ungherese.
Ora l’idea che la politica estera slovena, dopo la parentesi del governo di Janez Janša, debba tornare ad essere strettamente connessa all’Europa è stato fermamente ribadito anche in questi giorni al Castello di Brdo, dove il governo ed il corpo diplomatico hanno tracciato la nuova strategia per il futuro. A tirare le fila una vecchia volpe della diplomazia slovena, l’ambasciatore Iztok Mirošič, che ha puntato diritto verso il cuore dell'Europa, lo stato di diritto e il Mediterraneo, ma anche su una politica estera “femminista”, ovvero sulla promozione a livello internazionale dell’eguaglianza dei due sessi.
Il premier Robert Golob in Patria non manca mai di sottolineare quanto in Europa siano contenti che la Slovenia abbia cambiato rotta e i suoi uomini si premurano di rimarcare quanto i leader europei tengano in considerazione le valutazioni di Golob, ex amministratore di un colosso locale della distribuzione di elettricità, in materia di energia. Intanto, però, Golob in politica interna non usa maniere molto dissimili dal suo contestato predecessore. Se la Slovenia per decenni aveva sognato di essere un paese Occidentale o almeno Centro europeo, Janša con il suo governo aveva fatto capire a tutti che in realtà non era altro che uno dei tanti paesi balcanici o tutt’al più est europei. La strada per arrivare a collocarsi nel cuore dell’Europa è ancora lunga e forse il cammino non è nemmeno cominciato.