Recentemente il governo italiano ha dato il via libera al decreto che autorizza la partenza dell'iter per la costruzione di un rigassificatore alla periferia di Trieste. Ma il governo sloveno è fortemente contrario al progetto
Continua la polemica a bassa frequenza tra Italia e Slovenia sulla questione dell'energia. Recentemente il governo italiano ha dato il via libera al decreto che autorizza la partenza dell'iter per la costruzione di un rigassificatore alla periferia di Trieste. L'impianto dovrebbe sorgere nell'area di Zaule, a pochi chilometri dal confine sloveno. Un investimento di 600 milioni di euro, che dovrebbe essere realizzato in 40 mesi dalla società spagnola Gas Natural. Il rigassificatore dovrebbe avere una capacità di conversione di 8 miliardi di metri cubi di gas l'anno e dovrebbe dare lavoro, con l'indotto, a 400 persone.
La decisione è stata salutata con entusiasmo dal sindaco di Trieste Roberto Dipiazza e dalle forze politiche locali, mentre è stata accolta con disappunto in Slovenia. Il segretario di stato all'ambiente Zoran Kus, ha ribadito che la Slovenia è ancora contraria alla costruzione dei rigassificatori. Il ministro per l'ambiente Karl Erjavec, comunque, ha precisato che se sono stati tenuti in debito conto gli appunti sloveni non ci sarebbero più ostacoli alla prosecuzione del progetto. Lubiana, però, prima di modificare la sua decisione dovrà vedere tutta la documentazione. Poi deciderà se dire sì, chiedere ulteriori migliorie o cercare di bloccare il progetto avviando un procedimento di fronte alla Corte di giustizia europea. In ogni modo, a quanto sembra, i criteri posti da Lubiana sono molto precisi ed elevati. Gli sloveni, del resto, non sembrano preoccuparsi troppo dell'ipotesi di aprire un nuovo contenzioso a livello comunitario per tutelare quelli che considerano i loro interessi nei confronti di un altro vicino.
Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, pur con le solite frasi di prammatica della diplomazia, ha precisato secco che l'Italia ha i suoi programmi energetici e che i pericoli potenziali del rigassificatore non possono essere paragonati con quelli della centrale nucleare di Krško, su territorio sloveno.
In ogni modo se ne riparlerà a settembre, quando è in programma il vertice tra i governi di Slovenia ed Italia. Roma starebbe fornendo - è stato precisato da fonti diplomatiche - tutte le informazioni necessarie, ma vorrebbe anche ottenerne sull'ipotesi di raddoppio della centrale nucleare slovena, dove l'Italia è interessata a partecipare alla gestione dell'impianto.
Della questione, la scorsa settimana, ha parlato anche il presidente della regione Friuli- Venezia Giulia, Renzo Tondo, in visita a Lubiana. Il governatore è stato ricevuto in maniera informale persino dal premier sloveno Borut Pahor. L'incontro ha avuto una vasta eco sulla stampa triestina, ma è stato assolutamente ignorato dai giornali nazionali sloveni. Dopo l'indipendenza Lubiana ha progressivamente diminuito il peso del dialogo con le regioni limitrofe partendo dal presupposto che gli stati dialogano con gli stati.
Le polemiche sulla costruzione dei rigassificatori si susseguono oramai dal 2006. All'epoca venne previsto di realizzarne uno sulla costa ed un altro direttamente a mare. Entrambi sarebbero stati posizionati a ridosso del confine sloveno.
L'idea è subito stata considerata inaccettabile dagli ecologisti italiani, sloveni e croati, che hanno orchestrato una serie di iniziative congiunte. Particolarmente contestate le modalità di funzionamento dei rigassificatori, che rischierebbero di far saltare gli equilibri della flora e della fauna nel golfo di Trieste. Essi, infatti, utilizzano l'acqua marina per riscaldare il gas trasportato dalle navi. L'impianto progettato a Zaule scaricherebbe ogni giorno in mare 650.000 metri cubi di acqua raffeddata di 5 gradi. In un anno nel Golfo di Trieste finirebbero inoltre circa 40 tonnellate di cloro, che servirebbe a tenere pulito il sistema di riscaldamento del gas.
Gli oppositori del progetto, però, parlano dei rigassificatori e delle gassiere (le navi che trasportano il gas) come di vere e proprie bombe ad orologeria. Ad essere messi in rilievo sono soprattutto i pericoli di un'eventuale esplosione che - a loro dire- potrebbe essere provocata persino da attentati terroristici.
I fautori della costruzione dei rigassificatori, dal canto loro, sottolineano la dipendenza energetica dell'Europa dal gas russo e la necessità di dar vita a questi impianti per ridurre i rischi di nuovi black-out nelle forniture. Con i rigassificatori, infatti, si faciliterebbe l'arrivo in Europa di gas proveniente dall'Africa.
Significativamente l'idea dei rigassificatori in Italia ha trovato consensi trasversali. L'ipotesi di piazzare degli impianti nel golfo di Trieste era stata vista con favore sia dal governo Prodi sia da quello Berlusconi. In Slovenia invece tutte le forze politiche sono state alquanto nette nel ribadire il loro "no".
Nel luglio dello scorso anno l'allora ministro dell'Ambiente Janez Podobnik si era persino rivolto ufficialmente al commissario europeo per l'ambiente Stavros Dimas accusando l'Italia di violare una serie di convenzioni internazionali con la sua intenzione di costruire l'impianto a ridosso del confine sloveno. All'epoca dalla Commissione europea arrivò la raccomandazione ai due paesi di risolvere la questione a livello bilaterale nello "spirito dei rapporti di buon vicinato". Monito questo molto simile a quelli che Bruxelles indirizza oggi anche a Slovenia e Croazia per la loro vertenza confinaria.
Nello scorso mandato, comunque, l'esecutivo di Janez Janša è stato aspramente criticato dal centrosinistra che chiedeva un'azione più incisiva nei confronti dell'Italia. Se il governo Pahor dovesse avallare la costruzione del rigassificatore a Zaule, molto probabilmente dovrà fare i conti con l'opposizione di una serie di deputati della maggioranza che da anni stanno sostenendo il loro netto rifiuto al progetto.
In ogni modo i rapporti tra Slovenia ed Italia al momento sono freddamente "amichevoli". Tra i due paesi non c'è solo la questione dei rigassificatori. Per Lubiana pesa la mancata riscossione da parte italiana del versamento dell'indennizzo per i beni abbandonati dagli esuli nella parte slovena dell'ex zona B, oltre che la questione delle opere d'arte spostate negli anni della guerra da Capodistria, Isola e Pirano che la Slovenia vorrebbe veder far ritorno nelle sedi originarie. A tutto ciò va aggiunto il rilancio della politica estera italiana nei confronti Balcani. Roma da anni va promuovendo nuove iniziative di integrazione regionale e adesso Frattini ha lanciato l'idea di un summit tra tutti i capi di governo della ex Jugoslavia e dell'area balcanico-danubiana per discutere delle integrazioni europee dell'area. Da una prospettiva lubianese tutto ciò viene visto con una certa apprensione e qualcuno oramai pensa che Roma consideri i Balcani come il "cortile di casa propria".