Domenica scorsa la sua coalizione è uscita sconfitta dalle elezioni presidenziali. Il premier sloveno Jansa chiede la fiducia e nell'arringa in parlamento attacca alleati, opposizione e soprattutto giornalisti. In un clima plumbeo s'avvicina la presidenza slovena dell'Ue
E' durata due ore intere l'arringa del premier sloveno Janez Janša davanti al parlamento prima del voto di fiducia richiesto da lui stesso in seguito ai risultati delle elezioni presidenziali e del referendum sulla legge di ristrutturazione delle assicurazioni (statali) Triglav.
Domenica scorsa Danilo Türk, il candidato presidenziale sostenuto dall'opposizione di centrosinistra, aveva ottenuto il 68 per cento dei voti contro i 32 per cento di Lojze Peterle, sostenuto dalla maggioranza di governo, mentre contro la legge governativa sulle assicurazioni Triglav aveva votato oltre il 70 per cento degli elettori.
Un risultato contundente e particolarmente doloroso per la maggioranza che tutti gli analisti hanno immediatamente letto come una chiara sfiducia dell'elettorato sloveno all'attuale compagine governativa. Lo stesso Janša, visibilmente amareggiato e irritato, ha definito i risultati "pessimi e preoccupanti" annunciando - tra le possibili iniziative da intreprendere - anche quella più drastica: le dimissioni del governo.
Una "minaccia" che formulata ad un mese e mezzo dall'inizio della presidenza slovena dell'Ue ha provocato reazioni contraddittorie dai banchi dell'opposizione. Ma il messaggio di Janša, oltre che ad essere rivolto a quest'ultima, è stato indirizzato ad una parte della coalizione, soprattutto al suo anello più debole: il Desus (il Partito dei pensionati) e all'SLS (il Partito popolare) che nelle ultime settimane non nascondono di voler lasciare in tempo la nave che sta affondando.
Janša, usando toni allarmistici, ha accusato l'opposizione, in primo luogo i socialdemocratici, i sindacati - che sabato 17 novembre hanno portato in piazza a Lubiana a protestare contro il carovita settantamila lavoratori - e soprattutto i giornalisti critici nei confronti del governo, di denigrare il paese all'estero.
I "pessimi" risultati sarebbero quindi conseguenza di una deliberata opera di destabilizzazione. Rimangiata l'idea delle dimissioni, che avrebbero aperto una crisi politica portando inevitabilmente alle elezioni anticipate, il premier ha ripiegato su un voto di fiducia serrando le file della maggioranza e disciplinando anche i partner più tentennanti.
Nelle due ore di chiarimenti e nei successivi 15 minuti di replica che Janša ha avuto a disposizione (contro i cinque minuti concessi ad ogni gruppo parlamentare nel dibattito e i due minuti per le dichiarazioni di voto) il premier ha sferrato un attacco frontale - durato per tutti i 135 minuti dei suoi interventi - ai 571 giornalisti sloveni firmatari della petizione in cui il governo viene accusato di limitare la libertà di stampa.
Janša accusa i giornalisti e l'opposizione di "esportare all'estero delle menzogne", di "aver accoltellato la Slovenia alle spalle", di averne "infangata" l'immagine in Europa e di rendere così difficile al governo il compito storico di guidare l' Unione Europea nel prossimo semestre. Il premier punta il dito soprattutto sul Partito socialdemocratico di Borut Pahor, in testa nei sondaggi, accusato di essere il demiurgo del complotto antipatriottico culminato nella petizione dei giornalisti.
Toni plumbei che riportano l'atmosfera ai giorni drammatici dell'indipendenza o della crisi politica del 1994 quando Janša, allora ministro della Difesa, venne esautorato dall'allora premier Janez Drnovšek in un clima particolarmente teso. Dalle file dell'opposizione qualcuno ricorda a Janša i gemelli Kaczinski, cui si ispirerebbe nel suo atteggiamento verso la stampa ancora non imbavagliata. Le dure accuse sferrate dal premier sono state ripetute nel corso del dibattito da tutti i partiti di governo secondo i quali le cause della sconfitta elettorale e della difficile situazione politica nel paese vanno attribuite propio al "complotto" messo in atto tra l'opposizione ed i giornalisti dissidenti per diffamare il paese.
Come previsto la fiducia è stata infine votata con una maggioranza di 51 voti: quelli della coalizione più i due voti dei deputati minoritari, l'italiano e l'ungherese. Contrari i 33 deputati dell' opposizione presenti in aula.