Tskhinvali

Tskhinvali (Estonian Foreign Ministry/Flickr)

In Ossezia del Sud, alle recenti presidenziali, sconfitto il candidato sostenuto dal Cremlino. Ma è uscita di fatto sconfitta anche la vincitrice del ballottaggio, Alla Dzhioeva, che si è vista annullare il voto dalla locale Corte suprema. Dopo questa tornata elettorale l'Ossezia del Sud è ben lontana dall'essere uno Stato indipendente e democratico

06/12/2011 -  Marilisa Lorusso

I fatti

Il primo turno delle elezioni presidenziali in Ossezia del Sud del 13 novembre (che come tutti i processi politici che avvengono nei territori de facto controllati da Tskhinvali, non sono riconosciute a livello internazionale se non dalla Russia e da una manciata di altri Paesi) si è concluso con un nulla di fatto. Nessuno dei due candidati che avevano maggiori speranze di successo è riuscito a superare la soglia del 50%. Anatolij Bibilov, il candidato sostenuto apertamente da Mosca, ministro delle Situazioni di emergenza di Tskhinvali, si è arrestato al 25,44%. Lo ha seguito Alla Dzhioeva, al 25,37%, ex insegnante e ministro dell’Istruzione, intorno alla quale si è raccolto un gruppo che – più che antirusso – può essere definito anti-Eduard Kokoity, il de facto presidente uscente. E' seguita poi una notevole dispersione di voti su altri tre candidati che hanno raccolto più del 9% ciascuno.

Il secondo turno elettorale è stato poi fissato per domenica 27 novembre. Fra il primo e il secondo turno, a titolo diverso, due attori politici rilevanti per la vita della repubblica hanno brillato per i loro errori di valutazione: il presidente uscente Kokoity ha dichiarato che nessuna donna sarebbe mai potuta essere presidente in Caucaso; il presidente russo Dmitrij Medvedev ha incontrato a Vladikavkaz Bibilov e si è esposto nuovamente nel sostenere la sua candidatura. Ambedue sono stati però smentiti dall’esito delle urne: i primi risultati emessi dalla Commissione elettorale centrale di Tskhinvali hanno assegnato la vittoria ad Alla Dzhioeva, 58,86%. Bibilov ha raccolto il 39,25%, che – stando ai dati ufficiali – sono meno di 11.000 preferenze.

Il lunedì mattina i dati sono stati resi pubblici ma non pubblicati sul sito della Commissione elettorale centrale. Ed è cominciato il vero pasticcio. Bibilov ha rifiutato di accettarne la validità ed è ricorso alla Corte suprema, che ha annullato il voto accusando la Dzhioeva di essersi assicurata la vittoria in modo illecito. E' stato inoltre fissato un nuovo turno elettorale, il 25 marzo 2012, dal quale la Dzhioeva dovrebbe essere esclusa.

I sostenitori della Dzhioeva sono però scesi in piazza a difesa della validità del voto. Alla Dzhioeva si è autoproclamata vincitrice e sostenuta dai suoi elettori nonché dall’ex-segretario del Consiglio di sicurezza e veterano di guerra generale Anatolij Barankevich ha dichiarato di voler andare avanti. A sua volta ha fatto appello alla Corte suprema. Il 30 novembre, Barankevich e la Dzhioeva hanno incontrato, come prima tappa politica dopo l’auto-proclamazione, il primo segretario dell’ambasciata russa a Tskhinvali, chiedendo a Mosca di riconoscere la validità del voto. Sono cominciate intanto a trapelare voci su come la Corte avesse raggiunto il primo verdetto: non in seduta plenaria ma per delibera del suo presidente, Atsamaz Bikhenov, uomo che gravita nella sfera del presidente in carica Kokoity.

Si profila uno scontro – per ora pacifico, salvo qualche colpo sparato in aria per allontanare i manifestanti dai palazzi istituzionali – fra piccoli potentati locali. Non è tanto la Dzhoieva il problema, ma il clan Tedeev che la sostiene. Paradossalmente elettori, i due contendenti nonché la stessa Mosca sembrano avere un obiettivo comune: scalzare Kokoity e la sua cricca. Quest'ultimo però, quale conseguenza della decisione della Corte suprema, si è assicurato altri quattro mesi di presidenza.

Intanto, analogamente allo scenario delle contestate elezioni presidenziali in Abkhazia nel 2004, il Cremlino fa sapere di non apprezzare il caos che si va creando. Altri attori internazionali, dalla NATO all’Unione Europea e agli Stati Uniti hanno già al primo turno chiarito di non riconoscere la validità delle elezioni nella Repubblica di cui non riconoscono l’indipendenza.

Alla ricerca di una via d’uscita

Ferma e astuta: Alla Dzhioeva ha dimostrato di sapere quali sono le preoccupazioni della popolazione locale, come garantirsi sostegno e ora vuole dimostrare di sapere come cavare dall’impiccio chi in questo momento si trova in imbarazzo. A questo fine, ha ridisegnato una nuova strategia per rassicurare Mosca, scaricare la responsabilità su Kokoity, allo stesso tempo cercando di facilitare una sua uscita di scena non cruenta.

Mentre qualcuno comincia a parlare di rivoluzioni colorate e già conia il nome di “Rivoluzione della Neve”, date le condizioni climatiche (e per questo, non per motivi di sicurezza, sarebbero stati chiusi i confini con l'Ossezia del Nord), lei lancia un appello dalle pagine del giornale russo Kommersant in uno stile che ricorda quello delle lettere scritte dalle province al centro ai tempi dell'Urss. Dopo aver ricordato di essere russa per passaporto e di spirito, ha aggiunto che all’origine del problema ci sono le trame ordite da Kokoity , per la cui sicurezza lei comunque garantirebbe, ma che a suo parere dovrebbe essere processato mentre Putin e Medvedev sarebbero probabilmente stati male informati su quello che stava accadendo nella regione. Intanto Kokoity, altrettanto fermo nell’intenzione di non lasciare la presidenza fino a marzo, fa sapere che secondo lui la Dzhioeva dovrebbe poter concorrere alle elezioni fissate per il prossimo anno.

In un’escalation di tensione, dai sostenitori della Dzhioeva si fa sapere che la data designata per assumere il potere sarà il 10 dicembre. La situazione rimane imprevedibile, anche se lo stesso Medvedev liquida la questione e non si sofferma – per ora – sulla inefficacia del mediatore inviato dal Cremlino.

Lucide (e impietose) analisi

Ma è dalle stesse pagine di Kommersant' che emerge la critica per le scelte fatte dal Cremlino sulla questione Ossezia del Sud. Ed è così che a ridosso delle elezioni per la Duma, paradossalmente il voto di una manciata di osseti ha assunto un’importanza ben maggiore di quanto si potrebbe immaginare.

Anche dalle colonne di Moskovskie Novosti e della Nezavisimaja Gazeta, già il 29 novembre, mentre la crisi si faceva sempre più intricata, si levavano voci tra il sarcastico e il preoccupato per questa prova di debolezza dei vertici moscoviti, sulla scelta di sostenere un candidato piuttosto di un altro, entrando nelle beghe caucasiche, in una regione che comunque sarebbe rimasta visibilmente filo-russa, indipendentemente da chi avrebbe vinto.

Delegittimante la scelta di Dmitrij Medvedev, che era sceso in campo in prima persona e che per la seconda volta viene punito dal Caucaso nei suoi tentativi di protagonismo. Dopo aver preso l’iniziativa per il Karabakh, senza riuscire né a raggiungere conclusioni condivise, né a impedire che la crisi si acutizzasse, ora incassa un ulteriore danno d’immagine per il voto di qualche migliaio di osseti, che – dalla Russia “liberati” – dimostrano che in politica interna si decide in modo autonomo.

Finché si è indipendenti, forse.

 

(http://marilisalorusso.blogspot.com/ - il blog di Marilisa Lorusso dedicato al Caucaso del sud)