Il prolungato processo elettorale in Ossezia del Sud assomiglia sempre più a un requiem all’autoproclamata sovranità dell’Ossezia meridionale. La colpa non è del mancato riconoscimento internazionale, della dipendenza dalla Russia o dalle accuse di Tbilisi, ma della stessa incapacità di Tskhinvali di portare a termine l’elezione del proprio presidente
Tutto comincia nel novembre 2011: elezioni presidenziali il 13, ballottaggio il 27. Vince, pare, Alla Dzhoeva, non il candidato preferito da Mosca. Da quel giorno, comincia la cronistoria di un pasticcio tanto grottesco quanto carico di conseguenze. La prima e la più scontata delle quali è che da novembre la piccola repubblica non ha un presidente eletto, e che l’intero dibattito politico interno è assorbito da una campagna elettorale che dura ormai da sei mesi.
Cronistoria di un’elezione
A dicembre i sostenitori della Dzhoeva danno inizio a un presidio mentre il voto viene dichiarato non valido e nuove elezioni indette per il 25 marzo 2012. Comincia la negoziazione che porta alla firma di un accordo. La Dzhoeva si ricandida in cambio della rimozione degli uomini del presidente uscente Kokoity dai posti chiave, fra cui la Corte Suprema.
Accordo siglato, nuove elezioni? No, perché il Parlamento boccia le rimozioni. Mosca, tirata in ballo, si smarca, dichiarando che – seppure sia la garante dell’accordo – non può interferire nell’esito di un voto espresso da un parlamento sovrano. A questo punto Alla Dzhoeva ricorre a un atto di forza: a gennaio dichiara decaduto l’accordo e non riconosce come legittima la prevista nuova tornata elettorale. In conformità con i risultati del voto che l’aveva vista vincitrice, il 29 gennaio dichiara che si proclamerà presidente della repubblica. La data dell’insediamento viene indicata come il 10 febbraio, e il presidente ad interim Vadim Brovstev viene invitato a contribuire a un pacifico passaggio di potere.
Nel frattempo il Comitato elettorale centrale inizia a raccogliere le richieste di candidatura per le elezioni di marzo.
Alla Dzhoeva si rivolge direttamente all’allora candidato alle presidenziali Vladimir Zhirinovsky, nel suo duplice ruolo di uomo di politica e di giurista, nella speranza di trovare supporto, mentre nel suo campo qualche defezione comincia a pesare: Sergei Zasseyev ex alleato che è a sua volta diventato nel frattempo candidato, Dzhambolat Tedejev e quell’Anatolij Barankevich, ex ministro della Difesa, che era stato al suo fianco nella breve “rivoluzione della neve” di fine anno, e che a febbraio non solo si dissocia dall’iniziativa, ma ammonisce che potrebbe finire tutto in un bagno di sangue. Della stessa opinione, o comunque propensi a temere scenari di instabilità, le massime cariche dello “stato”, nonché ovviamente i potenziali candidati alle elezioni di marzo. Fra questi non spicca però il nome di Anatolij Bibilov, ministro per le Situazioni di emergenza (ministero che svolge funzioni analoghe alla protezione civile, e che gioca un ruolo importante nell’investimento dei fondi russi per la ricostruzione post-bellica in Ossezia meridionale), la cui mancata vittoria al ballottaggio del 27 novembre era stata il casus belli dell’intricato inverno politico osseto. Bibilov dichiara di aver scelto di fare un passo indietro per non esacerbare le tensioni, e invita tutti i candidati della tornata precedente a fare altrettanto.
Il progressivo isolamento sembra non intimorire la Dzhoeva, la quale dichiara di aver già spedito gli inviti all’inaugurazione della presidenza in Abkhazia, in Nagorno Karabakh, in Transnistria e nelle repubbliche afferenti alla Federazione russa del Caucaso del nord.
Ma parallelamente ai suoi progetti, continua la trafila pre-elettorale. Il 7 febbraio viene ufficializzata la candidatura di Dmitri Medoev. La biografia di Medoev presentata dai media da sola può essere la cartina tornasole di quanto i rapporti russo-osseti siano confusi. Prima inviato di Tskhinvali a Mosca poi, dopo il riconoscimento, promosso ad ambasciatore , ma da molti siti indicato anche come vice-versa, ambasciatore russo a Tskhinvali e candidato presidente.
KGB e squadre speciali
Mentre Medoev dichiara di sperare di poter aprire una nuova pagina della storia, il KGB osseto mette in guardia contro possibili strumentalizzazioni georgiane dell’instabilità politica. Lo scenario che viene presentato agli elettori è di una Tbilisi, spalleggiata dall’occidente, pronta a far saltare le elezioni di marzo e di approfittare delle tensioni interne per minare l’indipendenza della neo-nata repubblica. Quindi, nell’interesse della sicurezza nazionale, viene reso noto che ogni azione sovversiva deve essere repressa, come da indicazione costituzionale. Anche il ministero degli Interni ricorda che la partecipazione a azioni o manifestazioni non autorizzate è reato sanzionato dal codice di procedura penale.
E così si arriva alla vigilia dell’inaugurazione di Alla Dzhoeva. Nessuna traccia degli ospiti “internazionali” nel suo quartier generale. Abbondanza invece degli “ospiti inattesi”, come venivano definiti gli uomini del KGB nel periodo delle purghe staliniane. Solo che sono non i personaggi di un film su Stalin, ma sono gli uomini dell’OMON, squadra mobile speciale del ministero degli Interni.
Cosa sia accaduto, esattamente, è controverso. Secondo la versione ufficiale, Alla Dzhoeva si sarebbe sentita male: un attacco di ipertensione per cui viene ospedalizzata. Date le condizioni di salute dell’indagata, il pubblico ministero sospende le indagini per le sue azioni sovversive. Alla Dzhoeva, intervistata nella sua stanza d’ospedale, dichiara di aver deciso di abbandonare la carriera politica.
Venti giorni dopo questo rocambolesco colpo di scena, il Comitato elettorale centrale rende pubblica la lista dei candidati alle elezioni: Leonid Tibilov, ex capo dei Servizi di Sicurezza, David Sanakoev, ex Difensore Civico/Ombudsperson, Stanislav Kochiev, segretario del Partito Comunista e Dmitri Medoev. Mosca, stavolta, si astiene da esprimere aperte preferenze, e lo stesso Medoev non conferma di essere il prediletto del Cremlino, come si va vociferando.
I quattro candidati sono il frutto di una scrematura di iniziali 22, la maggior parte dei quali sono caduti sul test di quelle che, dal referendum del 2011 tenutesi contestualmente alle elezioni presidenziali, sono le due lingue ufficiali: russo e osseto. In pratica, buona parte dei candidati non è stata in grado di superare un test di conoscenza della lingua osseta. Altre candidature sono invece state respinte per la non validità delle firme delle liste di sostegno. Solo uno invece è stato respinto per non poter concorrere: Eduard Kokoity, presidente fino a novembre, che in barba al limite di doppio mandato ha fatto a tutti presente tramite la sua richiesta di candidatura che, costituzione o meno, lui in Ossezia del Sud c’è e ci rimane. Ammesso che continui ad esistere la stessa Ossezia del Sud, che, “de facto”, assomiglia sempre meno allo Stato sovrano che vorrebbe essere.