Ribniţa, Transnistria (foto Guttorm Flatabø/wikimedia)

 Ribniţa, Transnistria (foto Guttorm Flatabø/wikimedia )

Quali strade possibili per il giornalismo in Trasninstria? Victoria Pashenzeva, direttrice della testata Dobryj Djen (“Buongiorno”), con sede nella cittadina di Rîbniţa, ci racconta trent'anni di giornalismo locale ed indipendente

02/05/2019 -  Francesco BrusaBrando Ricci

A Rîbniţa (un centinaio di chilometri a nord di Tiraspol) vivono poco meno di 50.000 persone. La città è sede dell'acciaieria più grande del paese e uno dei capisaldi dell'economia della regione. Victoria Pashenzeva dirige qui "Dobryj Djen " (“Buongiorno”), giornale che orgogliosamente definisce «indipendente». Non è retorica: la testata infatti non fa parte del circuito mediatico “ufficiale” della Transnistra e non riceve nessun finanziamento statale. Attraverso le sue parole proviamo a tracciare una fotografia del giornalismo in questa striscia di territorio conteso, isolato eppure pienamente coinvolto nella rapidissima evoluzione mondiale del fare informazione di questi anni.

Partiamo dal suo percorso. Come è diventata giornalista?

In realtà per puro caso. Sono filologa di formazione e ho studiato Lingua e Letteratura Russa all’Università Statale di Chişinău durante l’Unione Sovietica. Poi ho iniziato a lavorare come insegnante a Rîbniţa, dove ho deciso di rimanere a vivere anche dopo la separazione del territorio transnistriano. La situazione economica però era molto difficile e il mio stipendio molto basso. Dovevo trovare un altro impiego per arrotondare, ed è così che ho mosso i primi passi nel giornalismo: ho lavorato per vario tempo sia come insegnante che come redattrice ma, piano piano, quest’ultima occupazione è diventata sempre più regolare e consistente. Ho deciso allora di abbandonare la scuola e di dedicarmi al giornalismo a tempo pieno. A quel punto mi sono auto-formata: ho seguito numerosi corsi e seminari di approfondimento nel corso degli anni.

È difficile svolgere questa professione in Transnistria?

"Dobryj Djen”, il giornale per cui lavoro, è un quotidiano locale indipendente. La nostra politica è quella di non ricevere alcun finanziamento e proviamo a sostenerci solo attraverso le vendite e gli accessi on-line. Penso che ci siano grosse differenze fra chi lavora nel giornalismo in maniera indipendente e chi, invece, lo fa in via più “ufficiale”, attraverso pubblicazioni legate allo stato e alle istituzioni. Dal punto di vista della raccolta di notizie, noi non possiamo contare su nessun aiuto.

Se vogliamo accedere ad alcune informazioni, dobbiamo chiedere espressamente, trovare delle fonti confidenziali e operare “sul campo”. I giornali ufficiali invece ricevono comunicazioni dirette e sono a conoscenza di qualsiasi evento istituzionale. Tuttavia, non possono fare giornalismo in maniera obiettiva e spesso si riducono a essere la “voce del potere”. D’altra parte, chi è indipendente non riesce talvolta a svolgere il proprio mestiere in modo efficace, date le difficoltà d’accesso alle notizie e alle testimonianze. Inoltre capita che i giornalisti vengano minacciati, di solito però in maniera velata, non diretta. A me è capitato, per esempio, che dei funzionari del governo mi abbiano fatto notare - per così dire - che il mio lavoro poteva portarmi ad avere dei problemi. Comunque, né in quella occasione né in altre ho subito ripercussioni concrete.

Ci sono difficoltà anche dal punto di vista legislativo?

In Transnistria c'è una legge che riguarda l'informazione di massa, in cui si stabilisce che le informazioni devono essere vere ed accurate, che l'accesso alle informazioni deve essere libero ed equo, cioè aperto a tutti i giornalisti, sia per le edizioni indipendenti che per quelle statali. In altri termini, non esistono limitazioni formali all’attività giornalistica. Nei fatti però, come vi ho già accennato, i media di stato ricevono le informazioni, hanno accesso agli eventi e possono raccontarli, mentre noi indipendenti no, abbiamo sempre il bisogno di trovare delle fonti interne.

Come valuta l’immagine della Transnistria che viene data dai media internazionali?

Credo sia un’immagine incompleta, solo parzialmente obiettiva. Forse non può che essere altrimenti. La Transnistria non è isolata, i suoi cittadini viaggiano all’estero e molti stranieri vengono invitati per eventi o incontri. Io stessa partecipo a numerosi convegni e seminari internazionali. Tuttavia, recarsi nel nostro paese per turismo non è semplice: per stare più di una giornata occorre registrarsi all’ufficio immigrazione e prenotare presso una struttura. Ma in generale, la ricettività è poco sviluppata. Qua a Rîbniţa, per fare un esempio, non esiste nessun albergo vero e proprio. Ho come l’impressione, dunque, che chi visita la Transnistria dall’esterno lo fa solo attraverso eventi e canali diplomatici, molto “ufficiali”, e ha perciò accesso a situazioni che sono rappresentative solo di una ristretta parte di realtà di questo territorio. Vede le “stanze dei bottoni”, ma non riesce a comunicare con le persone. Ciò che si perde allora nei resoconti internazionali sulla Transnistria è la “vita vera” dei suoi cittadini, con le sue esigenze e i suoi problemi quotidiani.

Vede margini di cambiamento per il futuro?

La Transnistria non è riconosciuta a livello internazionale ed è ufficialmente uno stato che non esiste. Però sul suo territorio, le persone vivono, studiano e si formano. Molti si spendono per andare all’estero e partecipare a incontri e seminari per stringere relazioni. Sto parlando soprattutto dei giornalisti, e nello specifico dei giornalisti indipendenti, che – nonostante le difficoltà – continuano a essere coinvolti in progetti internazionali. Questo consente non solo di guadagnare esperienza, ma anche di costruire rapporti professionali e di conoscenza: sono occasioni importanti di arricchimento della cultura giornalistica in quanto tale.

Ecco, credo che – se pensiamo al futuro – occorra tenere fermo questo punto: il giornalismo è un sapere che va costantemente aggiornato, arricchito, e si basa sulla possibilità di muoversi per vedere la realtà, per osservare quello che accade nel proprio paese. È un possibilità non così ampia e messa spesso a rischio, ma che indubbiamente esiste. Il nostro dovere come giornalisti è quello di sfruttare il più possibile questi piccoli spazi di libertà. In Transnistria oggi - seppur in maniera lenta e progressiva - la società si sta sviluppando e, con essa, si svilupperà anche l’attività giornalistica. Almeno, è ciò che spero.