Sede del Parlamento in Transnistria (foto Monk)

Sede del Parlamento in Transnistria (foto Monk )

Il 29 novembre i cittadini della piccola nazione indipendente de facto dovranno eleggere i consigli comunali e i membri del Soviet supremo, cioè il parlamento. Ma per molti osservatori in ballo c’è qualcosa di più

18/11/2015 -  Danilo Elia

In Transnistria è campagna elettorale. Nonostante in ballo siano “solo” i seggi delle assemblee rappresentative in un ordinamento fortemente presidenziale, e il mandato del presidente scadrà solo alla fine del prossimo anno, i toni della competizione sono già alti. E gli argomenti, non di poco conto.

Nelle accuse che si scambiano reciprocamente le forze politiche c’è tutta la particolare e delicata posizione che occupa il conflitto congelato transnistriano nell’equilibrio regionale e, in ultima analisi, nei rapporti tra la Russia, l’Europa e l’America.

“La lotta sarà dura. C’è una crisi sia economica che politica. Il giudizio sul presidente Yevgeny Shevchuk è ambiguo. Queste elezioni si stanno trasformando in un referendum sul governo. E subito dopo ci sarà la corsa alla presidenza. Ci aspetta un anno di instabilità interna”, ha detto l’ex ministro degli Esteri Valery Litskai al quotidiano russo Kommersant. Del resto, le elezioni in Transnistria sono qualcosa di più serio di quello che ci si potrebbe aspettare da un Paese senza alcun riconoscimento giuridico. Proprio l’avvicendamento alla presidenza del 2011, che ha portato l’attuale capo dello Stato Shevchuk a battere sia l’allora padre-padrone Igor Smirnov che il candidato del Cremlino Anatoliy Kaminski, è uno degli esempi più evidenti.

La Transnistria si trova da un anno e mezzo a questa parte al centro delle attenzioni della geopolitica, dopo quasi un quarto di secolo di dimenticanza. Il conflitto congelato dal 1991, anno in cui si staccò dalla Moldavia, è rimasto a una temperatura prossima allo zero assoluto fino ai fatti ucraini. L’annessione della Crimea, il discorso di Vladimir Putin sulla difesa della diaspora russa sparpagliata sui cocci dell’ex impero sovietico e lo scoppio della guerra in Donbass – che proprio ora si appresta a diventare un altro conflitto congelato – hanno scaldato gli animi tanto a Chişinău e Tiraspol, quanto a Mosca, Bruxelles e Washington.

Sotto assedio

Sempre il Kommersant riferisce che, durante la parata militare per i 25 anni dell’indipendenza della Transnistria, un giornalista moldavo abbia chiesto a Shevchuk se e contro chi intendesse usare tutte quelle armi. “Tra i possibili nemici vedo gli estremisti che ora sono a Chişinău e a Kiev”, ha detto il presidente. La risposta era tutto sommato prevedibile. Shevchuk non è l’unico a Tiraspol a essere convinto che la Moldavia e l’Ucraina stiano stringendo in una morsa la Transnistria.

Lo scorso maggio la Rada di Kiev ha annullato l’accordo, in piedi da anni, che consentiva alla Russia di approvvigionare le proprie truppe di stanza in Transnistria, passando per l’Ucraina. Dalla fine della breve guerra d’indipendenza transnistriana nel 1991-92, Mosca mantiene una sua guarnigione di 1500 soldati nel Paese. Gli uomini della 14a armata sono lì in funzione di peace-keeping, ma negli ultimi mesi hanno intensificato le esercitazioni straordinarie, con l’obiettivo di “contrastare attacchi aerei a bassa quota con aerei Su-25 ed elicotteri Mi-24, e distruggere blindati nemici e truppe con lanciagranate AGS-17”, secondo quanto comunicato dal ministero della Difesa russo.

Del resto, è comprensibile che l’Ucraina non voglia più truppe russe sul proprio territorio, anche se solo in transito verso la Transnistria.

Dall’altro lato sono stati riportati diversi casi di militari russi arrestati in Moldavia mentre cercavano di imbarcarsi su un volo per la Russia. La Transnistria, chiusa tra i due Paesi e priva di un aeroporto in grado di far atterrare aerei cargo, sembra schiacciata. E, benché la restrizione riguardi solo i soldati russi presenti nel Paese, a Tiraspol in molti credono che sia in atto un assedio su larga scala e che Moldavia e Ucraina stiano per sferrare un attacco militare.

Percorso di pace

“Bloccare i rifornimenti ai soldati della forza di peace-keeping può essere un ostacolo alle operazioni di pace. A quanto pare è questo l’obiettivo di questa operazione”, ha detto l’allora ministro degli Esteri della Transnistria, Nina Shtanski, prima di andare in sposa al presidente e dimettersi. “I militari ucraini si stanno ammassando al confine”, ha aggiunto. “Costruiscono campi, schierano soldati. Questo crea paura nella gente, soprattutto chi abita al confine con l’Ucraina”.

L’argomento si fa sempre più spinoso. Durante il suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il primo ministro della Moldavia Valeriu Strelet, ha chiesto il ritiro dei soldati russi da quello che per Chişinău è il proprio territorio. “Il conflitto transnistriano deve essere risolto nel rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale della Moldavia”, ha detto.

A complicare un po’ le cose c’è stata anche la recente visita a Tiraspol dell’assistente del segretario di Stato americano John Kerry, Bridget Brink. “Sono venuta a vedere quali problemi e quali sfide state affrontando, e come gli Stati Uniti possono aiutarvi”, ha detto la Brink, che ha la delega alle questioni dell’Europa orientale e del Caucaso nonché ai conflitti in Europa e una profonda conoscenza della regione, e avrà certamente pesato bene le proprie parole.

Economia finanziata

La Transnistria sta attraversando una profonda crisi economica. Il budget dello Stato sta in piedi per il 70% grazie ai soldi mandati da Mosca che, secondo diverse fonti, da quest’anno non verserà più i soliti 100 milioni di dollari nelle casse di Tiraspol. I soldi sono usati principalmente per pagare stipendi pubblici e pensioni, vale a dire alla maggioranza dei cittadini. Che infatti da quest’anno ricevono solo il 70% in contanti e il restante 30% sotto forma di titoli del debito.

A dispetto di una dipendenza economica così diretta dalle finanze russe, la Transnistria esporta la maggioranza delle proprie merci verso l’Europa e gli Stati Uniti. Il settore privato si basa su quattro giganti: la Ribnita Cement, l’unica a esportare in Russia; la JSC Moldova Steel Works, che vende prevalentemente in Usa, Germania e Italia; la Tirotex, la più grande industria tessile d’Europa, che esporta il 70% delle sue merci in Austria, Germania, Grecia e Italia; la centrale elettrica Moldavskaya GRES, che vende l’80% della sua elettricità alla Moldavia, di cui copre addirittura il 50% del fabbisogno.

Dal prossimo anno entreranno in vigore le nuove norme commerciali del Deep and comprehensive free trade agreement (Dcfta) tra Moldavia e Unione europea, come parte dell’Accordo di associazione siglato nel 2014. La Transnistria però è tagliata fuori e, se non negozierà la propria adesione al Dcfta, perderà le tariffe doganali agevolate con la Moldavia di cui ha goduto finora. Il rischio è di perdere il principale mercato del proprio export. Ma d’altro lato l’adesione al Dcfta è vista a Tiraspol come una resa a Chişinău e un voltare le spalle alla Russia. Non ci sono partiti o candidati filoeuropei in Transnistria, ma è evidente che la questione corre sottotraccia alla campagna elettorale, chi è alla guida del Paese non può far finta di niente.

Lobby

E poi c’è il gruppo Sheriff, il più grande datore di lavoro in Transnistria, dopo lo stato. I suoi dipendenti sono 12mila. Possiede la Tirotex, la fabbrica di liquori Kvint, banche, operatori di telefonia mobile, controlla il 50% del mercato delle costruzioni e il 90% di quello dei carburanti. Esporta in Russia, Ucraina e Bielorussia, ma anche nei Paesi baltici, Polonia e Usa. Contribuisce al 30% delle entrate fiscali del Paese. È sempre stata ritenuta di proprietà dell’ex presidente Smirnov, ormai ritiratosi dalla politica. Ora è il gruppo di deputati del partito Rinnovamento, lo stesso di Shevchuk che ha assorbito i resti del vecchio partito di Smirnov, a essere ritenuto la lobby di riferimento della Sheriff.

L’attuale presidente ha iniziato la sua carriera proprio negli uffici della Sheriff, ma dopo essere stato eletto ha cercato di limitarne la sfera di influenza, dando inizio a una guerra di potere interna. Per questo nelle elezioni del 29 novembre i candidati del gruppo leale a Shevchuk correranno come indipendenti e non come membri di Rinnovamento.

Durante una recente conferenza stampa, Shevchuk ha parlato di “circoli di oligarchi”. Non ha mai nominato la Sheriff, ma citando “una nota azienda” ha detto che “la pratica della corruzione politica favorisce chi non rappresenta gli interessi degli elettori, ma quelli di particolari circoli economici”.

Gli uomini di Rinnovamento hanno risposto incolpando Shevchuk di incompetenza e corruzione, causa della crisi economica. Lui invece accusa la Sheriff di evadere le tasse e essere la vera responsabile dell’impoverimento delle casse dello Stato.

L’esito delle elezioni, che cambierà l’assetto nel parlamento, sarà un buon indizio del futuro politico di Shevchuk e del Paese.