"Atatürk. Il Fondatore della Turchia Moderna", di Fabio Grassi, è la storia del viaggio politico e personale di uno dei personaggi “più importanti e meno studiati del Novecento”: stratega, rivoluzionario, modernizzatore e nazionalista. L'Atatürk che ne emerge è un uomo dalle mille sfaccettature, che ha segnato con le proprie idee il destino di una nazione. Una recensione
Un viaggio lungo una vita. Anzi, più che una vita, visto che l'onda lunga di quel viaggio continua ad animare, ispirare, agitare e turbare i sonni e i giorni della Turchia contemporanea. “Atatürk. Il Fondatore della Turchia Moderna”, di Fabio Grassi è la storia del viaggio innanzitutto politico, ma anche personale, di Kemal Atatürk, prima vera biografia scientifica in lingua italiana su uno dei personaggi “più importanti e meno studiati del Novecento”.
Forse era necessario il boom economico, politico e di influenza internazionale vissuto dalla Turchia nell'ultimo decennio per riportare l'attenzione sul “padre fondatore” della Repubblica. Anche se, ironia della sorte, proprio nel momento in cui l'élite politica di Ankara porta avanti quello che è probabilmente il tentativo più profondo di smarcarsi, ma senza rotture, da molti e significativi aspetti dell'eredità (sostanziale e simbolica) dell'opera di Atatürk.
Con una scrittura lineare e accessibile, ma sempre improntata al rigore, Grassi ci guida alla scoperta di un uomo complesso, dalle molte sfaccettature, che ha attraversato (e provocato) cambiamenti epocali, tanto radicali da lasciare traccia evidente nei tanti e diversi nomi che hanno accompagnato la sua vita terrena.
Grassi ci ricorda che Kemal Atatürk è innanzitutto, e profondamente, un uomo del suo tempo. Non è possibile comprendere il suo percorso politico, né il suo sovrumano sforzo modernizzatore, senza fare prima i conti con il contesto storico in cui nasce e si sviluppa.
La generazione di Atatürk (nato come Mustafa nel 1881, a Salonicco) vive tragicamente sulla propria pelle lo sfascio del secolare Impero ottomano. Le energie di quella generazione, e soprattutto dell'élite che viene formandosi nelle scuole militari e tecniche, sono quindi tese prima a salvare il salvabile, e poi, dopo i drammi e le sconfitte di guerre balcaniche e Prima guerra mondiale, a trovare un piano alternativo, che potesse assicurare la vita ad uno stato turco (e non più ottomano) sui resti dell'Impero.
“Atatürk. Il Fondatore della Turchia Moderna” ci accompagna alla scoperta della tormentata genesi delle risposte a questo dilemma elaborate dal “grande condottiero”, arrivato al potere sulle ali della vittoria nella guerra contro i greci del 1919-1922 (che garantisce la sopravvivenza di una Turchia indipendente e sovrana), dopo essersi già messo in mostra come “eroe di Gallipoli” .
Dalle pagine del libro, appare in modo evidente che le linee guida del progetto di modernizzazione dall'alto concepita da Atatürk (repubblica, stato laico, identità etnica turca) sono innanzitutto una reazione ad un modello, quello ottomano, considerato causa vera e profonda dello sfascio e dell'incapacità dimostrata dall'Impero di sopravvivere, entrando a far parte della famiglia degli “stati civili”.
Il modello ottomano è da cancellare non solo politicamente, ma anche e innanzitutto culturalmente. E il punto di riferimento è uno e uno solo: l'Occidente. Vinta la guerra, sepolti impero e califfato, Atatürk si lancia nella sua impresa più grande: “liberare la Turchia dall'ignoranza e dalle concezioni irrazionali per acquisire la scienza e diventare parte attiva del mondo civile” (p.246). In questo senso, le riforme promosse da Atatürk abbracciano uno spettro amplissimo dei connotati culturali e identitari del nuovo/vecchio stato, spaziando dall'introduzione dell'alfabeto latino a quella del nome e cognome, per arrivare ai nuovi modelli di vestiario e dei rapporti (anche giuridici) tra i sessi. Esemplare in questo senso è la scelta di spostare la capitale dalla vecchia Istanbul degli intrighi alla “nuova” Ankara europea, segno di rottura tanto drastico quanto simbolicamente potente.
Dato il contesto storico, naturalmente, la trasformazione radicale non può essere che diretta dall'alto, con spirito paternalistico. Da queste premesse nascono due fenomeni destinati a lasciare il segno fino ad oggi. Da una parte la semi-divinizzazione della sua figura “un elemento ricorrente e forse storicamente necessario di un radicale processo di modernizzazione imposto dall'alto” (p.34). Dall'altra il perdurante senso di sfiducia delle élite kemaliste verso le masse, considerate infantili e sensibili alle sirene della reazione. Atatürk è un rivoluzionario, e come tutti i rivoluzionari, è convito che la verità delle proprie convinzioni, quando non accettata o compresa dalle masse, vada imposta. Anche con la violenza.
Il percorso storico di Atatürk è segnato da molte e irrisolte contraddizioni. Ammiratore profondo del modello politico-sociale occidentale, punta a modernizzare la Turchia “con i metodi del 'dipotismo asiatico' ” (p.304). Anche la scelta della nuova identità alla base dello stato, quella etnica turca (in alternativa a quella classica musulmana) pone le basi di una questione, quella curda, che segna tragicamente ancora oggi la Repubblica di Turchia. Per Grassi, che nel suo libro traccia una valutazione sostanzialmente positiva per la complessiva opera di Atatürk, la politica curda di Atatürk rappresenta infatti : “la pagina peggiore della sua vita […] e dello stato da lui fondato”. (p.258)
Dopo le vittorie e la presa del potere, Atatürk diventa, in sostanza, un dittatore. Eppure non accetta che la storia lo ricordi come tale, e vive con autentico travaglio la solitudine del potere. Visti i modelli autoritari che si sviluppano in Europa in quegli anni, ricorda Grassi, è da evidenziare però il fatto che lo stato creato da Atatürk, dispotico e repressivo quando lo ritiene necessario, non si trasforma mai uno stato totalitario.
Alla sua morte, Atatürk lascia in eredità queste contraddizioni. In prospettiva storica, però, dalle pagine di “Atatürk. Il Fondatore della Turchia Moderna” emergono i tratti di un sostanziale successo. In un mondo sottoposto al dominio coloniale occidentale la Turchia, dopo aver evitato di un soffio il destino di spartizione e dissoluzione, è libera e indipendente. E, se non ricca, è rispettata e tenuta in considerazione. E il modello turco viene visto con crescente interesse da chi tenta di opporsi allo strapotere occidentale, facendo propri al tempo stesso i suoi tratti caratteristici. Già prima della sua morte, scrive Grassi, “Atatürk stava diventando un modello per i riformatori dei 'paesi in via di sviluppo'” (p.334).
Il viaggio terreno di Atatürk finisce nel 1938. Quello del kemalismo, invece, prosegue fino ai giorni nostri, passando attraverso fasi e prismi interpretativi anche speculari e contrapposti. Oggi l'eco della vita e dell'opera di Atatürk continua ad essere parte integrante dell'identità e della dialettica della Turchia contemporanea. Anche quando questa viene contestata o letta sotto prismi nuovi e potenzialmente dissacratori.
Per capire le pulsioni e le spaccature di questa Turchia, ma anche la sua forza, le sue risorse e il suo immaginario profondo, conoscere Atatürk resta quindi un passo fondamentale e necessario. “Atatürk. Il Fondatore della Turchia Moderna” è uno strumento privilegiato, se non unico, con cui il lettore italiano può avvicinarsi allo statista, al condottiero, al leader nazionalista e modernizzatore, all'uomo che ha segnato con le proprie idee il destino di una nazione.