L'uccisione dell'ambasciatore russo in Turchia sparge timori di conflitto aperto tra Mosca ed Ankara. Per ora la convergenza d'interessi tra i due paesi tiene, ma l'attentato solleva molte domande scomode
Francesco Ferdinando e l'attentato di Sarajevo: in tanti, soprattutto sui social-media, ieri sera non hanno resistito nel tracciare un sinistro parallelo con quanto appena successo ad Ankara, dove l'ambasciatore russo Andrey Karlov è stato colpito a morte durante l'inaugurazione di una mostra fotografica nel centro della capitale turca.
Karlov, diplomatico di lungo corso ed ambasciatore in Turchia dal 2013, è stato ucciso da un giovane poi identificato come Mevlüt Mert Altıntaş, ufficiale di polizia. Nelle drammatiche scene che hanno fatto in fretta il giro del mondo, dopo aver sparato a Karlov alla schiena Altıntaş ha gridato “noi moriamo ad Aleppo, voi morite qui” e “Allah è grande”. L'attentatore è stato poi ucciso a sua volta dai reparti speciali della polizia, durante un'operazione i cui dettagli non sono stati forniti.
Almeno per il momento, il parallelo con l'arciduca morto a Sarajevo e il successivo deflagrare di un conflitto su larga scala sembra fortunatamente fuori luogo: sia Mosca che Ankara si sono affrettate a raffreddare gli animi e a condannare l'attentato, quasi all'unisono, ribadendo così l'alleanza interessata che oggi lega i due paesi, e che nessuno sembra intenzionato a destabilizzare.
Un'escalation di tensione tra Russia e Turchia oggi sembra quindi poco probabile, nonostante le forti divergenze tra i due paesi sulla questione siriana, che nel novembre 2015 conobbero momenti di altissima tensione dopo l'abbattimento di un bombardiere russo da parte dell'aviazione turca.
Dopo settimane di muro contro muro i presidenti Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdoğan hanno però intrapreso un percorso di riavvicinamento che oggi ha portato ad un'intesa di fatto tra i due paesi, entrambi impegnati militarmente in Siria. L'accordo, seppur negato ufficialmente dalle parti interessate, sembra prevedere per la Russia (e per il regime del presidente al-Assad) luce verde sulla riconquista di Aleppo est, per la Turchia mano libera per contrastare i curdi nel nord della Siria.
A conferma dell'intenzione di continuare a dialogare, l'incontro a Mosca di oggi tra i ministri degli Esteri di Russia, Turchia e Iran proprio sulla Siria si terrà come previsto. L'attentato di Ankara crea però molti imbarazzi e pone domande scomode.
Chi c'è dietro l'attentato? Come è possibile che un ambasciatore così importante sia stato colpito nel cuore pulsante di Ankara, dove la sicurezza dovrebbe essere ai massimi livelli? Come si è arrivati all'uccisione dell'attentatore, la cui morte rende molto più difficile arrivare alla verità su quanto accaduto ieri sera?
Nelle ore successive alla morte di Karlov, teorie contrastanti sono circolate sui mezzi d'informazione: la più insistente vuole che Altıntaş sia affiliato all'organizzazione del predicatore Fetullah Gülen – in esilio volontario negli Stati Uniti - ritenuta responsabile del tentato colpo di stato in Turchia dello scorso 15 luglio. In questo caso le grida “Allah è grande”, quasi una firma da parte di organizzazioni estremiste islamiche, non sarebbero che un tentativo di depistaggio.
Gülen in questi mesi viene accusato di tutto e del contrario di tutto: se la pista ha basi solide, resterebbe però da capire come il giovane sia riuscito a conservare il proprio posto di lavoro dopo le epurazioni di massa seguite al tentato golpe, che oltre all'amministrazione pubblica hanno colpito polizia ed esercito.
Secondo il New York Times, la morte di Karlov, invece di allontanare Russia e Turchia potrebbe cementare la loro intesa, scaricando le tensioni sul terzo incomodo, gli Stati Uniti, accusati dall'élite turca di aver appoggiato, almeno passivamente, il tentato colpo di stato, e che rifiutano di estradare Gülen ritenendo insufficienti le prove presentate dalla procura turca.
Resta però da vedere quale verità forniranno le autorità turche alla Russia, che ha scelto la via della reazione composta, ma difficilmente sarà disposta a soprassedere su un fatto così grave per il proprio prestigio internazionale. Per il governo di Erdoğan, nonostante la stretta autoritaria seguita al tentato golpe, l'aver permesso l'omicidio di un ambasciatore nel centro di Ankara dà un pericoloso segnale di debolezza e mancanza di controllo della situazione.
Per correre ai ripari, Ankara ha già dato il proprio assenso ad una commissione d'inchiesta mista russo-turca: che vengano resi pubblici o meno, i risultati dell'indagine avranno un peso fondamentale sul futuro dei rapporti bilaterali, ma anche su quello degli equilibri in Siria, dove la guerra non è un incubo da esorcizzare, ma una drammatica realtà già da molti, troppi anni.