(Foto Pnikosis, Flickr)

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Rappresentanti di partiti e movimenti irlandesi, baschi e curdi si sono incontrati a Venezia per discutere di pace e risoluzione dei conflitti. Nostra intervista a Demir Çelik, rappresentante del Partito della Pace e Democrazia. I curdi, la Turchia, l'Europa

17/02/2011 -  Andrea Rossini

Venerdì 11 e sabato 12 febbraio si è tenuta a Venezia la seconda conferenza internazionale "Processi di Pace e Risoluzione dei Conflitti", promossa dal Centro Pace del Comune di Venezia. All'incontro hanno partecipato rappresentanti del Sinn Fein irlandese, della Sinistra Abertzale basca e del Partito della Pace e della Democrazia curdo (BDP). A conclusione dei due giorni di dibattito i partecipanti hanno sottoscritto un documento che rivendica percorsi politici per la risoluzione dei conflitti, fondati sul dialogo e sul negoziato tra le diverse parti. La Città di Venezia, rappresentata dall'assessore alle Politiche giovanili e alla Pace, Gianfranco Bettin, si è impegnata a dare vita ad una rete permanente tra Comuni e Municipalità italiane, basche, irlandesi e curde nel segno della democrazia partecipativa. Osservatorio ha incontrato a margine della conferenza Demir Çelik, rappresentante del Partito della Pace e Democrazia (BDP).

Nel suo intervento introduttivo lei ha insistito molto sul concetto di autogestione. Cosa significa?

I popoli sono riusciti a vivere per migliaia di anni senza Stati. Anche oggi dovrebbe essere possibile autogestirsi senza necessariamente dover creare un nuovo Stato. Per noi è più importante ottenere i diritti fondamentali, piuttosto che nuove strutture che non corrispondono ai bisogni di una società. Quando guardiamo alla globalizzazione, inoltre, vediamo che gli Stati nazione vengono superati. Noi vogliamo cercare un compromesso, puntando ad una trasformazione nell'ambito di un paradigma democratico. Come avviene nell'Unione Europea, dove appunto si cerca di superare il modello degli Stati nazione. Per noi l'importanza va attribuita alle autorità locali, al diritto dei popoli di autodeterminarsi nel proprio territorio.

In concreto?

Potersi autogestire come territorio in tutti i diversi aspetti della vita, lingua, cultura, politica, economia.

Cosa pensano i curdi della prospettiva di un ingresso della Turchia nell'Unione Europea?

Il modello attuale di Unione non è sufficiente. Nonostante questo, consideriamo importante l'ingresso della Turchia. Questo ci dà la speranza che i nostri diritti legittimi vengano almeno in parte riconosciuti. Pensiamo però che la nostra esperienza possa essere di contributo all'affermazione di una nuova Europa.

Cioè?

Diamo molta importanza ai modelli regionali europei, ma non vediamo in questo campo molta sincerità da parte dell'Unione. Spesso succede che l'interesse dello Stato prevalga su quello delle popolazioni dei singoli territori. Nell'Unione ci sono 27 Stati, ma sono centinaia i popoli, le lingue, le culture che la compongono. Ovviamente noi difendiamo il fatto che queste diversità possano trovare rappresentazione. Ci sono diversi modelli esistenti, ma spesso troviamo che l'Unione fa solo propaganda bloccando reali processi di sviluppo.

E in Turchia?

Abbiamo proposto che la Turchia sia composta da diverse regioni. Fra queste ci può essere una regione autogestita che si chiama Kurdistan.

Alle elezioni amministrative del 2009 l'allora DTP aveva avuto una forte affermazione. Poi il partito curdo è stato dichiarato illegale e molti suoi rappresentanti sono stati incarcerati. Come guardano i curdi alle prossime elezioni del giugno 2011?

Come sapete in Turchia esiste una soglia di sbarramento del 10% per entrare nel Parlamento. Attualmente il BDP ha, secondo i sondaggi, il 7, 7,5%. Non sembra quindi che per noi sarà possibile superare lo sbarramento come partito. Cercheremo dunque di presentare dei candidati individuali, senza una sigla. Candidarsi individualmente vuol dire naturalmente dover raccogliere più voti, ma pensiamo che riusciremo in ogni caso ad eleggere 30, 35 deputati.