Yeşim Ustaoğlu

Yeşim Ustaoğlu

Nell’ambito del festival “Sguardi altrove” interamente dedicato alla regia femminile, iniziato il 17 marzo a Milano, è nato il focus “La Turchia dei nostri giorni”, uno spaccato della società turca raccontato dalle donne

18/03/2016 -  Nicola Falcinella*

La nascita del cinema in Turchia si fa risalire ufficialmente al 1914 e due anni fa ne è stato celebrato, con grande evidenza, il centenario. Una celebrazione a ben diritto, dal momento che la scena cinematografica turca è diventata, negli anni 2000, una delle più interessanti e vivaci del panorama internazionale.

Oltre a Nuri Bilge Ceylan, vincitore della Palma d'oro a Cannes con “Winter Sleep”, e Semih Kaplanoğlu, Orso d'oro a Berlino con “Bal – Miele”, la Turchia ha raccolto in questi anni partecipazioni nei maggiori festival e numerosi trofei. Il folto gruppo di cineasti di talento che è venuto alla ribalta può contare su un bel numero di registe donne. Il Festival Sguardi altrove a regia femminile di Milano (www.sguardialtrove.it ), la cui 23° edizione è in programma fino a venerdì 25 marzo, non poteva non occuparsene, tanto più in un momento che vede la Turchia al centro dell'attenzione per tante drammatiche ragioni. Ne è nato il Focus “La Turchia dei nostri giorni” che mostra uno spaccato della produzione al femminile e un quadro composito della società turca raccontato dalle donne.

La capofila di queste registe è sicuramente Yeşim Ustaoğlu: dopo l'esordio con “Iz” nel 1994, si afferma internazionalmente con “Güneşe Yolculuk - Viaggio verso il sole”, premiato alla Berlinale nel 1999 e distribuito in Italia, cui seguono “Waiting for the Clouds” (2003), “Pandora’s Box” (2008) e “Araf – Somewhere in Between” (2012), presentato alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti. Un'autrice erede di una lunga tradizione aperta della pioniera Cahide Sonku, attrice e regista degli anni '50 (“Namik Kemal and the Motherland – Vatan ve Namik Kemal” del 1951 e “Beklenen sarki - The Awaited Song” del 1953), e da Bilge Olgaç, protagonista attiva dagli anni '60 ai '90 anche al fianco del mitico Yılmaz Güney (diretto in “Krallar krali” e “Kanli bugday - The Bloody Wheat” del 1965).

Da allora hanno lavorato diverse cineaste, come Turkan Şoray (“Return” del 1972) o Nisan Akman (“A Broken Doll” del 1987), che però non hanno trovato visibilità all'estero. Uno spazio invece conquistato dalle ultime leve di registe, sempre più numerose, aperte alle coproduzioni e presenti nei festival. La tendenza è confermata anche dal successo di uno degli astri nascenti, Deniz Gamze Ergüven, che con il debutto “Mustang” (2015) ha vinto molti premi cominciando dalla Quinzaine des realisateurs del Festival di Cannes fino alla nomination all'Oscar come miglior film straniero, anche se candidata dalla Francia, coproduttrice del film.

Accanto ai casi più affermati e celebrati, ci sono diverse cineaste di talento che hanno attirato la nostra attenzione, tanto da dedicare loro un Focus di otto lavori che sarebbe potuto essere ancora più corposo. A questi si aggiungono due importanti film presentati nel concorso internazionale, entrambi opere d'esordio: “Until I lose my Breath - Nefesim kesilene kadar” di Emine Emel Balci (già nota per il documentario “Ich liebe dich” del 2012) e "Motherland – Ana yurdu" di Senem Tüzen. Entrambi parlano, in modi diversi, del rapporto genitori figli, di un'affermazione dell'identità, con il fare i conti con un passato che è personale ma anche collettivo. La Turchia in bilico tra passato e presente, spesso con un contrasto netto tra città e campagna e tra generazioni, è un tema costante in quasi tutte le opere, che hanno le donne come protagoniste.

Regista su cui scommettere è Belmin Söylemez, della quale il focus presenta l'esordio nel lungometraggio “Present Tense - Simdiki Zaman” (2012, già in concorso al Festival di Torino) e il documentario “Bilge and her Apprentice – Diary of an Assistant Director” (2015), delicato omaggio alla Olgaç. Altro nome importante della scena è Pelin Esmer, che, dopo il documentario “Oyun - The Play” (2005), ha realizzato “10 to 11” (2009) e, soprattutto, il dramma “Watchtower - Gozetleme Kulesi” (2012).

Un recente esordio significativo è anche “Toz Bezi - Dust Cloth” di Ahu Öztürk, una delle scoperte dell'ultimo Forum della Berlinale e in concorso al Bergamo Film Meeting. Altra autrice che si è fatta conoscere nei festival è Asli Özge con “Men on the Bridge - Köprüdekiler” (2009) e “Hayatboyu – Lifelong” (2013). Esordiente del 2014 è Melisa Önel con “Kumun tadı – Seaburners” su sceneggiatura di Feride Çiçekoglu, nota per aver scritto “Il viaggio della speranza” dello svizzero Xavier Koller, premiato con l'Oscar di miglior film straniero.

Il Focus comprende anche due documentari di Bingöl Elmas, un'altra delle tante cineaste emergenti: “Playing House” (2012), sul fenomeno ancora attuale delle spose bambine, e “My Letter To Pippa – Pippa'ya Mektubum” (2010), un omaggio all'artista milanese Pippa Bacca e un viaggio per rendersi conto di quanto il maschilismo sia ancora presente nella società turca.

Altre autrici interessanti, seppure non presenti in rassegna, sono Özlem Sulak ("12 Settembre"), Handan İpekçi (“Hidden Faces”, 2007), Lusin Dink (“Saroyanland”, 2013) e il duo Merve Kayan e Zaynep Dadak (“The Blue Wave” fu presentato lo scorso anno in concorso proprio a Sguardi altrove).

*Nicola Falcinella è il curatore del Focus “La Turchia dei nostri giorni”