Hacibektaş (foto Andrea Rossini)

I colloqui avviati dal governo turco con la più grande minoranza religiosa del Paese, gli aleviti. Il dibattito interno alla comunità, stretta tra discriminazione e tentativi di assimilazione, le richieste, il ruolo dell'Unione Europea

06/11/2009 -  Fazıla Mat

Tra le diverse iniziative di dialogo intraprese negli ultimi mesi dal governo turco, che comprendono la cosiddetta "apertura democratica" nei confronti dei kurdi, indicata dal premier Erdoğan come un'occasione per "riconsiderare anche le altre aree problematiche del nostro Paese, come quella dei diritti, della libertà, della disoccupazione", c'è anche quella che riguarda gli aleviti. Le due questioni sono in parte intrecciate, anche perché circa un terzo della popolazione alevita è kurda.

Quella degli alevi è una comunità che, secondo dati non ufficiali, conta in Turchia da 10 a 20 milioni di persone e pratica un Islam differente dalla restante popolazione musulmana, a vasta maggioranza sunnita. Gli aleviti non hanno per esempio l'obbligo delle cinque preghiere rituali, del digiuno nel mese del Ramadan, del pellegrinaggio alla Mecca. Un'altra caratteristica della concezione spirituale alevita è quella di non separare le donne dagli uomini durante le cerimonie condotte dai dede, i capi religiosi della comunità. I loro luoghi di culto non sono le moschee bensì le cemevi, "case della comunità", che costituiscono principalmente dei luoghi di riunione dove, oltre ai rituali religiosi accompagnati da musica, danze e bevande alcoliche, si può mangiare assieme, celebrare matrimoni, parlare. Un luogo, insomma, che vuole rispondere al contempo ai bisogni sociali e spirituali delle persone.

Gli aleviti hanno subito discriminazioni e oppressioni per la loro concezione eterodossa dell'Islam fin dal periodo ottomano. Ciò li ha portati a vivere adottando un atteggiamento di mimetizzazione che ancora oggi impedisce una esatta conoscenza del loro numero. Ferventi sostenitori della fondazione della Repubblica e della laicità, gli aleviti non hanno avuto però vita facile nemmeno durante i 90 anni repubblicani. In questo periodo infatti la religione, posta sotto il controllo statale, si è trasformata sempre più secondo la rigida codificazione dettata dal Direttorato per gli affari religiosi (Diyanet İşleri Başkanlığı). L'Islam sunni-hanefita è diventata la religione indicata e sostenuta dallo Stato, uno status suggellato nell'80 con il colpo di stato dei militari e la seguente Costituzione (1982). Una notevole contraddizione in un ordinamento che si proclama laico ma che vuole che sulla carta d'identità dei propri cittadini compaia anche la religione d'appartenenza, e che rende obbligatoria l'ora di religione - naturalmente quella musulmano sunni-hanefita - negli otto anni della scuola primaria.

Dopo alcuni episodi di aperta violenza nei loro confronti, come l'incendio appiccato nell'hotel Madımak a Sivas da una folla di fanatici nel '93, che causò la morte di trenta artisti e intellettuali riuniti in città per i festeggiamenti in onore del santo derviscio Hacı Bektaş, o la strage di Gazi a Istanbul nel '95, dove le forze speciali causarono la morte di diciassette persone e numerosi feriti, gli aleviti hanno iniziato a organizzarsi.

Le associazioni alevite si sono imposte all'attenzione dell'Unione Europea, ottenendo per la prima volta che il governo, a partire dallo scorso giugno, organizzasse dei gruppi di lavoro per discutere delle loro rivendicazioni. Tutte le organizzazioni alevite sono concordi su cinque punti: equiparare legalmente le cemevi alle moschee; abolire l'ora di religione obbligatoria a scuola; interrompere la politica di costruzione di moschee nei villaggi aleviti; restituire ai legittimi proprietari la loggia di Hacıbektaş e le altre ex-sedi religiose alevite espropriate nel 1925 dallo Stato; infine, trasformare l'albergo Madımak, sede dell'incendio del '93, in museo.

Finora si sono tenuti quattro dei sei incontri previsti tra governo e aleviti. Alla fine delle discussioni dovrebbe essere creata una road map che indichi le modalità di gestione delle richieste avanzate. Alle riunioni sono stati invitati anche sindacati, partiti politici, associazioni, accademici e rappresentanti dei media. Il presidente della Federazione alevi-bektaşi (ABF), Ali Balkız, ha tuttavia sottolineato che alcuni gruppi di partecipanti non rappresentino la comunità alevita, e il grado di scetticismo di questa nei confronti del progetto governativo resta ancora alto. Fino ad ora, infatti, non è stato fatto nulla di concreto nel senso di una "democratizzazione" della questione, che è sempre stata affrontata nei termini dell'assimilazione. Non ha trovato risposta nemmeno la sentenza emessa dalla Corte europea per i diritti dell'uomo a favore di un cittadino alevita, che aveva fatto ricorso perché non voleva che il figlio dovesse fare per forza religione a scuola.

"Lo Stato vuole che gli aleviti siano dei bambini docili e ubbidienti", ha dichiarato Balkız. "Diversamente da prima, negli ultimi anni la violenza ha ceduto il posto ad un sistema di assimilazione dalla parlata suadente".

Anche Veliyeddin Ulusoy, il postnişin (colui che siede sulla pelle/lo sceicco della loggia dei dervisci) di Hacıbektaş, una delle figure più rispettabili del mondo alevita, ha espresso scetticismo: "Il momento attuale, che sembra di apertura, può essere anche uno dei più pericolosi a causa della presenza di forze che vorrebbero assimilare gli aleviti". Ulusoy indica le forze assimilatrici "nei seguaci di Fethullah Gülen capo del movimento islamico Nur nonché proprietario di canali televisivi e di quotidiani tra cui lo Zaman, ndr, nella Direzione degli affari religiosi, nella chiesa cattolica tedesca e nell'Iran", sostenendo che "la nostra vulnerabilità, accentuata dal fenomeno dell'urbanizzazione, sta anche nel fatto di non riuscire a creare una maggiore compattezza tra di noi".

La divergenza principale tra la maggioranza degli aleviti, rappresentati dalla Federazione degli aleviti-bektaşi assieme alla comunità che fa capo al postnişin di Hacıbektaş, e le Fondazioni Cem e Ehlibeyt, di posizioni più vicine al governo, riguarda la proposta dell'AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo) di Erdoğan di attribuire ai dede uno stipendio erogato dallo Stato. Questa possibilità, che per alcuni significherebbe sottomettere i dede e la fede della comunità alevita al controllo della Direzione degli affari religiosi, è stata criticata anche per il tentativo di voler creare nell'opinione pubblica l'immagine di alcuni "aleviti buoni" contro quelli "cattivi" che non accettano la mano tesa dal governo.

Ulteriore motivo di irritazione è rappresentato dall'idea espressa dal segretario generale del sindacato degli impiegati (Memur-Sen) durante gli ultimi lavori. Memur-Sen ha infatti proposto di fare in modo di attirare i bambini aleviti alle scuole coraniche, e di inviare i dede aleviti in pellegrinaggio alla Mecca.

"In questo gruppo di lavoro abbiamo sentito anche proposte e progetti per assimilare e trasformare gli aleviti in sunniti", ha commentato il vice segretario generale della Federazione Alevita-Bektaşi Kenanoğlu. Il rappresentante alevita ha poi aggiunto: "La mia Kaaba edificio al centro della Mecca, ndr è l'uomo. I Santi aleviti hanno detto: 'Qualunque cosa tu cerchi cercala in te stesso, non a Gerusalemme, alla Mecca o in pellegrinaggio'. Dal nostro punto di vista, proporre di portare alla Mecca i rappresentanti della comunità è un'offesa".

In attesa che l'11 novembre si svolga il quinto degli incontri tra governo e aleviti, gli alevi guidati dalla Federazione alevita-bektaşi scenderanno in piazza, l'8 novembre prossimo, assieme a diversi sindacati, partiti politici della sinistra e all'Unione degli ordini degli ingegneri e architetti per ricordare al governo le proprie richieste, ma anche per dar voce "a tutti coloro che vengono discriminati per qualche motivo e chiedono il diritto ad una cittadinanza equa".