Il porto di Çanakkale sui Dardanelli

Il porto di Çanakkale sui Dardanelli (foto di Fabrizio Polacco)

Tra la primavera e l’estate di ogni anno, sullo Stretto che separa l’Europa dall’Asia, e il Mar di Marmara dall’Egeo, si ricordano conflitti, vittime e tragedie ma insieme episodi di umanità e di dedizione che legano i due continenti – e i due mondi - che su quelle rive da sempre si sfiorano

16/08/2011 -  Fabrizio Polacco

Sono sempre più importanti: a tal punto che, nella sua recente campagna elettorale, il premier turco Erdoğan ha proposto di raddoppiare artificialmente quello dei due che attraversa Istanbul. Quest’opera ciclopica di ingegneria darebbe una ulteriore spinta alla rampante economia turca, abbattendo l’intenso traffico marittimo che scorre sotto le mura imperiali e i padiglioni dorati di Topkapı per spostarlo più lontano, alle spalle della gigantesca ex capitale ottomana.

Stiamo parlando degli Stretti, ovviamente, del Bosforo e dei Dardanelli. La loro importanza strategica è tornata quella di sempre dai tempi dell’abbattimento della ‘cortina di ferro’ tra Est e Ovest, che ha sostanzialmente riattivato quella Via della Seta (oggi divenuta ‘del Gas e del Petrolio’) che rappresentò per molti secoli l’asse primario del commercio globale.

I Dardanelli, snodo degli alterni rapporti euroasiatici

Assai più defilate, silenziose e trascurate dall’interesse dei media scorrono invece le acque dello Stretto occidentale: l’Ellesponto per i greci, i Dardanelli per noi, il Çanakkale Boğazı (lo Stretto di Çanakkale) per i turchi. Contrariamente all’altro, non è attraversato da ponti, né sottopassato da tunnel, né circondato da una metropoli: forse anche per questo non attira troppa attenzione. Eppure, qui la Storia ha fatto i suoi conti tante di quelle volte che, c’è da giurarci, prima o poi se ne tornerà a parlare. Come del resto accade da oltre 3000 anni.

mappa Bosforo e Dardanelli (OBC)

Poiché le sue acque superficiali scorrono sempre nello stesso senso, verso l’Egeo, Omero lo considerava un fiume: in effetti, non solo è lungo ben settanta chilometri, ma le sue rive contrapposte, quella d’Asia e quella d’Europa, sono tanto vicine da essere sempre visibili l’una dall’altra. Ovviamente, come ogni altro stretto, anche questo ha un punto più angusto: là dove i due continenti quasi si sfiorano. Durante una traversata mi intrattengo a parlare col pilota del battello che fa più volte al giorno la spola tra Çanakkale, principale cittadina dell’area, e la sponda europea. Dice che il percorso ‘…è di circa 1300 metri’ e, senza saperlo, mi conferma quello che si legge in Erodoto (“la distanza è di circa sette stadi”), l’antico storico greco delle guerre persiane: anzi, bisognerebbe dire ‘il più’ antico storico in assoluto. Gli eventi che presero le mosse lungo queste acque infatti furono tanto rilevanti da aver dato origine alla prima guerra - quella di Troia - alla prima opera letteraria - l’Iliade - e alla prima analisi storica dell’Occidente: quella erodotea, appunto; che, manco a dirlo, si intitola semplicemente ‘Le Storie’.

Ma non è stato che l’inizio, perché lungo queste sponde si sono fatti e disfatti imperi, si sono alternati conflitti e accordi, sono passati re, condottieri e futuri capi di Stato. Forse ancor più del Bosforo, sono stati i Dardanelli il vero snodo degli alterni rapporti euroasiatici.

La battaglia di Gallipoli

L’ultima grande battaglia combattuta qui, nel corso della Grande Guerra, è durata nove mesi e ha causato centinaia di migliaia di vittime. A capo Elle, la punta estrema della costa europea dove il canale si apre sull’Egeo, un solenne obelisco bianco dedicato ai soli caduti occidentali rimasti insepolti riporta la cifra di oltre ventimila soldati. Si tratta della sanguinosissima, e tutto sommato inconcludente, battaglia di Gallipoli (1915/16). Le truppe dell’Anzac (Australian and New Zeland Army Corps), soprattutto giovani volontari giunti fin qui dall’altro capo del globo a sostegno di inglesi e francesi, vennero gettate in quella che si riteneva una facile operazione di sbarco: una volta forzati i Dardanelli, gli alleati sarebbero poi avanzati per terra e per mare fino alla capitale dell’Impero Ottomano. Tuttavia i difensori non solo erano ben organizzati - anche grazie all’apporto di consiglieri tedeschi - ma dimostrarono una tenacia e uno spirito di sacrificio inattesi che la trasformarono in una estenuante battaglia di trincea, non diversa per intensità ed efferatezza da quelle che si stavano combattendo in tanti campi europei della Prima Guerra Mondiale. Inoltre tra gli ufficiali ottomani ve ne erano alcuni che seppero tenere alto il morale delle truppe guidandole egregiamente contro gli invasori: il principale fu l’ancora ignoto Mustafa Kemal, che proprio tra queste colline ondulate iniziò quell’ascesa militare e politica che l’avrebbe reso universalmente noto come Atatürk, il padre della moderna Turchia.

Parco Nazionale di Gallipoli

Parco Nazionale di Gallipoli (Foto di Fabrizio Polacco)

Insomma la cruenta battaglia, conclusasi con la clamorosa ritirata del corpo dell’Anzac, ebbe effetti duraturi, ma diversi da quelli previsti. Dimostrò, dopo un paio di secoli di continue sconfitte subite dalle potenze occidentali, che l’impero Ottomano disponeva di insospettate risorse morali e materiali, che ben presto sarebbero confluite nel nuovo Stato nazionale. Inoltre, diede notorietà e autorevolezza a colui che, trasformatosi in uomo politico, avrebbe impresso una radicale svolta alla vita e alla storia del suo popolo; e, paradossalmente, fece ciò prendendo come modello proprio quelle nazioni occidentali contro le quali aveva tanto duramente combattuto.

Si comprende dunque come queste terre siano ancora assai vicine al cuore dei turchi. Dal 1973 vi è stato istituito un parco nazionale esteso su 33.000 ettari. Circa un terzo della lunga e stretta penisola di Gallipoli - il lato settentrionale dei Dardanelli - è rimasto così splendidamente incontaminato, divenendo meta di scampagnate e di pellegrinaggi organizzati per interi gruppi di famiglie. E mentre gli adulti ascoltano i solenni discorsi commemorativi, i più piccoli si arrampicano come su giostre al di sopra di quei vecchi cannoni che bombardarono i bisnonni.

Grazie ad una efficace salvaguardia naturalistica, oggi possiamo così vedere lo Stretto in modo non molto diverso da come lo videro, a capo dei loro eserciti, il Re persiano Serse e il grande Alessandro, il mitico Achille o Süleyman Paşa, primo generale ottomano che nel 1356 lo attraversò in armi avviando quella graduale conquista dell’intera penisola balcanica che tanto ha segnato il volto del sudest dell’Europa.

Il ricordo

Ho visitato per due giorni questa bellissima zona, valorizzata da una quantità di monumenti celebrativi quasi sempre di buon gusto, e affollata da migliaia di visitatori, non solo turchi: specie attorno alla ricorrenza del 25 aprile (il giorno del 1915 in cui fu effettuato il primo sbarco dell’Anzac) i figli e i nipoti dei caduti australiani e neozelandesi vengono in pellegrinaggio qui, determinando uno dei ‘picchi’ del turismo locale.

Noi siamo ormai abituati alle commemorazioni congiunte, da parte di Stati europei un tempo nemici, dei più tragici eventi bellici del Novecento. Ebbene, sulla penisola di Gallipoli, già da molto tempo prima dell’ingresso della Turchia nella Nato che trasformò gli antichi nemici in alleati, aleggia un sincero spirito di pace e di amicizia tra popoli tanto lontani. Lo stesso Atatürk, una volta divenuto Presidente della Repubblica, rivolse toccanti parole alle famiglie dei caduti avversari:‘…Madri, che avete mandato qui i vostri figli da paesi lontani…’, disse “…sappiate che essi riposano ora nel grembo della nostra terra”. E da quel momento vi è stata una continua collaborazione tra le autorità statali e le associazioni degli ex-combattenti di entrambe le parti per la costruzione di memoriali e cimiteri, e per lo svolgimento di celebrazioni comuni.

La pietà di Mehmetçik

Parco Nazionale di Gallipoli,
monumento celebrativo dedicato
a Mehmetçik (Foto di Fabrizio Polacco)

Mentre mi aggiro tra le dense pinete e le profumate macchie mediterranee della penisola, giungo ad uno dei monumenti più significativi. È diverso da tutti poiché ricorda non un caduto, ma un sopravvissuto: un giovane ufficiale britannico, ferito nel corso di un assalto, che al termine di una terribile giornata era rimasto al suolo nella ‘terra di nessuno’ tra le contrapposte trincee. Nel 1967 il Governatore Generale dell’Australia Lord Richard Casey, che aveva combattuto a Gallipoli con il grado di luogotenente, raccontò questo mirabile episodio di umanità, che fino a quell’anno era rimasto ignoto. Un soldato turco, vedendo il ragazzo inglese a terra ma vivo, dopo averci pensato un po’ sventolò un drappo bianco, uscì senza imbracciare l’arma dalla sua trincea, e avanzò a lenti passi sul campo di battaglia. Giunto dov’era l’inglese, lo raccolse, lo sollevò tra le braccia, e, con il coraggio nell’animo e la serenità nello sguardo tenuto fisso al nemico, avanzò fino alla trincea opposta, restituendolo ai compagni. Indietreggiò voltando tranquillo le spalle alle loro baionette: ovviamente a nessuno passò per la mente di sparare.

Il milite turco dai tradizionali baffetti raffigurato in questo monumento è così assurto a simbolo di tutti i Mehmetçik (un vezzeggiativo del diffuso Mehmet, nome con cui vengono affettuosamente indicati i giovani sotto le armi), che avanza con la baionetta a tracolla recando il ferito adagiato sulle braccia.

Questa scena me ne riporta alla mente un’altra, mitica, che si svolse sempre da queste parti: ma sulla sponda opposta dei Dardanelli, sotto le mura di Troia. Anche gli artisti di duemila anni fa amarono ritrarre la scena di un guerriero che ne raccoglieva un altro - morto, in quel caso - portandone in salvo il corpo. Si tratta di Menelao che sorregge il cadavere di Patroclo (per chi non lo sapesse, è questo il soggetto del mutilo ‘Pasquino’, il celebre frammento di statua al centro di Roma che è diventato simbolo della libera espressione). E tuttavia Menelao raccolse pur sempre un suo compagno, non un avversario. Invece, a raccogliere tra le braccia il corpo del peggior nemico, per consegnarlo al padre che coraggiosamente era venuto fin da lui a richiederglielo, fu Achille, in una commovente scena poco ricordata, e che tuttavia conclude l’Iliade. E’ singolare questa corrispondenza di un simile gesto di umanità in due guerre tanto lontane nel tempo, quanto vicinissime nello spazio. La piana di Troia si estende infatti, ricoperta di ulivi e traversata dal fiume Scamandro, appena di fronte al menzionato capo Elle. Su questa estremità sorge anche il monumento più imponente del Parco, una sorta di immenso arco di trionfo a forma di parallelepipedo (detto Abide, ‘monumento’, per eccellenza) che domina l’ingresso occidentale dei Dardanelli: e, al di là del canale, offre un osservatorio mirabile proprio sulla cittadella cantata da Omero.

Non sembri forzoso l’accostamento tra le due guerre, l’una antichissima e mitica, l’altra storica e moderna: anche perché sono gli stessi turchi ad accostarle. Un giorno, sulla sponda asiatica, mi sono recato a visitare il Museo della Guerra di Çanakkalè. Poiché è collocato all’interno della fortezza di Çimenlik, utilizzata tuttora come base militare per il controllo del canale, all’ingresso viene richiesto un documento, e nel percorso si è praticamente scortati da un militare. Ebbene, nella tabella di presentazione che introduce sia alle collezioni di armi e fotografie che alle realistiche ricostruzioni con manichini di scene del conflitto 1915/18, si legge la seguente affermazione: ‘Qui è stata combattuta una lunga guerra, la cui prima fase è stata quella contro Troia; tuttavia nella seconda, quella di Gallipoli, abbiamo vittoriosamente respinto l’invasore…’

Nel rapportarci a molti popoli del sud-est Europa, turchi compresi, dobbiamo sempre tener presente che ciò che per noi pare perdersi nelle nebbie di un passato quanto mai remoto è per essi sempre presente e vivo alla memoria, al punto da determinare talvolta effetti paradossali come quello appena citato. E’ per questo che la conoscenza della Storia, di quella che è in fondo la nostra comune storia, rimane fondamentale per la comprensione di molte dinamiche e realtà anche contemporanee dell’area.

Se la costa settentrionale dei Dardanelli vive della memoria della battaglia di Gallipoli, da quest’altra parte, quella asiatica, grazie al notevole afflusso di visitatori provenienti da tutto il mondo, Çanakkalè prospera del fascino delle mura riportate alla luce da Schliemann e delle pagine incantate dei versi di Omero. Nonostante ciò, mi risulta che i turchi di oggi apprendano nelle loro scuole assai poco del mito e della storia antica di quei popoli, a partire dai Greci, che li hanno preceduti nella penisola anatolica .

La ricostruzione del cavallo
di Troia sul lungomare
di Çanakkale (foto di Fabrizio Polacco)

Ad ogni modo, c’è da scommettere che molti giovani turchi si siano appassionati seguendo l’ultimo rifacimento cinematografico dell’Iliade, il peraltro maldestro e infedele ‘Troy’: che comunque si è concluso con il dono al Comune di Çanakkalè, da parte della compagnia produttrice del film, del colossale cavallo ligneo utilizzato nelle riprese, che ora troneggia sul lungomare della città.

La gara e le fiammelle

Se poi capitate tra queste fatidiche sponde a fine agosto, cercate di non perdere un evento davvero particolare. E’ curioso che anche in questo caso ricorra il mito classico; e soprattutto che, ancora una volta, l’amore e la pace vi si intreccino in modo inestricabile con la guerra.

Il 30 di agosto viene celebrato in Turchia lo Zafer Bayramı, la Festa della Vittoria. Come tutte le altre città, anche Çanakkalè si sveglia impavesata di bandiere e di gigantografie di Atatürk, la gente si riversa per le strade, e i Mehmetçik moderni, che qui indossano gli elmetti candidi dei marinai, vengono accolti da fiori e da applausi. Quella che si ricorda con orgoglio è la fine della ‘Guerra di Liberazione’ del 1922-23, conclusasi con la tragica presa di Smirne, con la definitiva cacciata dei greci, e con la costituzione del moderno Stato turco. È l’aspetto celebrativo ufficiale dello Zafer Bayramı.

La partenza della traversata
dei Dardanelli dal molo di
Eceabat, sulla costa europea
(foto di Fabrizio Polacco)

Ma in questa deliziosa città portuale sui Dardanelli, se verso mezzogiorno vi recate sul molo principale troverete una gran folla emozionata e in costume da bagno. Sono tutti provetti nuotatori che si stanno iscrivendo ad una gara di fondo non poco impegnativa: la traversata, a furia di bracciate, dello Stretto. È un tratto di mare ostico, perché la costante corrente marittima è in genere accompagnata da venti spiranti quasi sempre nella medesima direzione: sicché la forza della natura rischia di trascinare via i partecipanti meno esperti. Tutti vengono caricati sui battelli che li portano ad Eceabat, sul lato europeo del canale, e poi li scortano per sicurezza nel procedere della lunga e perigliosa nuotata (il percorso è in questo caso di poco meno di 4 km.) finché non giungono all’arrivo, fissato a Çanakkalè.

Ma qual è il significato della gara? Gli stessi turchi rimandano a un mito antichissimo, romantico e triste, che vide protagonisti due giovani delle opposte sponde. Dalla parte dell’Asia viveva Leandro, un bel ragazzo dal fisico vigoroso, che si era perdutamente innamorato della dolce Ero, sacerdotessa di Afrodite, la quale viveva con la sua famiglia sull’altra costa dell’Ellesponto. Quando scoprì che il sentimento era corrisposto, Leandro prese l’abitudine di affrontare, al calar delle tenebre, la traversata a nuoto dello Stretto: una fatica che poi, dopo aver passato di nascosto la notte insieme alla ragazza, ripeteva in senso inverso sul fare dell’alba. Ogni sera, Ero collocava una lucerna alla finestra della sua stanza, per aiutare il compagno a non perdersi nell’oscurità. Però, durante una notte più agitata delle altre, e senza che Ero se ne avvedesse, la vitale fiammella fu spenta da un colpo di vento. E il povero Leandro, disorientato, si perse per sempre tra i flutti: né poté mai più baciare la sua amata.

Questa gara tra le onde, sulla scia di Leandro, è un modo singolare e bello per festeggiare una vittoria: perché l’importante, in fondo, è che le fiammelle che uniscono i due versanti del mondo siano tenute sempre accese.