Trump ed Erdoğan nel 2018 -  © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Trump ed Erdoğan nel 2018 -  © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Il ritorno di Donald Trump alla presidenza americana apre nuove prospettive per i rapporti tra Stati Uniti e Turchia. Erdoğan ha accolto sua rielezione con cauto ottimismo, ma molti dossier tra i due paesi restano complessi, dalla Siria all'Ucraina passando per la Palestina

11/12/2024 -  Andrea Lazzaroni Istanbul

Che effetti avrà la nuova presidenza Trump nei rapporti, non sempre facili, tra gli Stati Uniti e la Turchia? Per esplorare i possibili sviluppi, abbiamo intervistato Samuele Abrami, "Mercator-IPC Fellow" dell'università Sabancı e Riccardo Gasco, Dottorando in Relazioni Internazionali e coordinatore del programma di politica estera del centro di ricerca IstanPol.

Qual è stata la reazione a caldo da parte del governo turco alla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane? Per Ankara la sconfitta di Kamala Harris ha rappresentato una delusione o un sospiro di sollievo?

Recep Tayyip Erdoğan è stato uno dei primi capi di stato a congratularsi con Trump sia al telefono che sulla piattaforma X, spingendosi a definire il neo-presidente eletto un "amico fraterno". Una volta circolate le nomine presidenziali l'entusiasmo è probabilmente venuto meno ma in linea di massima il governo turco ha accolto con cauto ottimismo la rielezione. La sua imprevedibilità è nota, ma per Ankara rappresenta perlomeno la possibilità di un cambio di rotta nei rapporti tra i due paesi.

Kamala Harris avrebbe continuato sul solco tracciato dalla presidenza di Joe Biden in politica estera, nel quale la Turchia non era certo un interlocutore privilegiato, non a caso Erdoğan non è mai stato invitato alla Casa Bianca nello scorso quadriennio.

"Non fare lo stupido". Così Trump in una lettera dal tono colloquiale datata 9 ottobre 2019 si rivolse a Erdoğan, dopo che l'esercito turco aveva dato il là all'operazione militare "Sorgente di Pace", la terza dall'inizio del conflitto, contro le milizie curde dello YPG sostenute da Washington. Turchia, curdi e Stati Uniti, come si evolverà la situazione?

È probabile che permanga lo status quo. Lo YPG, il braccio armato delle forze democratiche siriane (FDS), è considerato un'organizzazione terroristica da parte della Turchia. Nonostante la clamorosa apertura effettuata recentemente da Devlet Bahçeli la posizione di Ankara in materia di sicurezza nazionale difficilmente cambierà.

I curdi rimangono l'unica sponda degli Stati Uniti in Siria, dove il regime baathista di Bashar al-Assad è crollato con sorprendente velocità: da un lato le fazioni ribelli islamiste riunitesi attorno a Hayat Tahrir al-Sham, dall'altro l'Esercito Nazionale Siriano sostenuto dalla Turchia che minaccia di scacciare lo YPG ad est del fiume Eufrate. A fronte di questi nuovi sviluppi il paventato ritiro delle forze statunitensi dal Rojava appare meno probabile.

Figure come il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz o il segretario di stato Marco Rubio sono notoriamente a favore di un continuo sostegno degli Stati Uniti alla causa curda, nomine di questo tenore andrebbero a bilanciare eventuali tendenze isolazioniste all'interno del prossimo gabinetto di Donald Trump.

La Turchia in Siria svolge giocoforza un ruolo attivo, mentre nel conflitto russo-ucraino prova a fare da paciere, come ha dimostrato l'accordo sul grano. Sarà possibile continuare con questa politica per Ankara o gli Stati Uniti potrebbero pretendere maggiore ostilità nei confronti di Mosca?

L’ulteriore congelamento del conflitto permetterebbe alla Turchia di continuare a destreggiarsi come meglio crede tra le due parti. Ogniqualvolta ci fosse un'escalation gli Stati Uniti potrebbero aver bisogno della neutralità turca per mediare. Nel frattempo l'esercito ucraino utilizza i droni Bayraktar e l'azienda ideatrice ha persino aperto un impianto nell'oblast di Kiyv per la produzione, sotto questo aspetto non ci sono particolari obiezioni da parte dell'amministrazione americana.

Il vero motivo di contesa tra Washington e Ankara risale al 2019, quando la Turchia decise di acquistare il sistema d'arma antiaereo russo S-400. A causa di ciò il paese fu escluso dal programma di sviluppo del caccia multiruolo F-35. Purtroppo per Ankara senza il permesso della Russia le batterie dell'S-400 non possono essere né vendute né riconsegnate e l'opzione di parcheggiarle nella base Nato di İncirlik è poco più di una boutade.

Detto ciò la Turchia rimane un partner cruciale nell'architettura di sicurezza europea e il secondo esercito Nato dopo gli Stati Uniti per numero di effettivi. Nonostante l'affronto la posizione di Washington non è di chiusura totale, come dimostra il recente via libera alla vendita di 40 caccia F-16 all'aeronautica militare turca.

Un'altra spina nel fianco per il governo turco è la questione palestinese. Nonostante il malcontento dell'opinione pubblica la Turchia mantiene rapporti diplomatici ed economici con Israele. Cosa potrebbe cambiare con l'arrivo di Trump, il presidente di Gerusalemme capitale e degli Accordi di Abramo?

Il nuovo ambasciatore americano in Israele, l'ex-governatore dell'Arkansas Mike Huckabee, è contrario alla soluzione dei due stati ed è un convinto sostenitore delle colonie in Cisgiordania.

Il Dipartimento di Stato americano ha recentemente messo in guardia la Turchia: qualsiasi membro di Hamas, in fuga dal Qatar o già presente nel paese, non potrà liberamente trovarvi rifugio come in passato.

Lo spazio di manovra per Erdoğan è quindi prossimo allo zero, anche in considerazione del pessimo stato dell’economia e delle proteste di parte dell'elettorato contro il commercio marittimo in atto con Israele.

Dopo le elezioni presidenziali del 2023 Erdoğan ha nominato Mehmet Şimşek come ministro del Tesoro e delle Finanze. Con il suo arrivo si è assistito all'implementazione di politiche economiche più ortodosse. Trump in passato impose tariffe sulle esportazioni di acciaio e alluminio turche. Quanto potrebbe danneggiare la fragile economia turca il protezionismo a stelle e strisce?

Trump non solo aveva imposto dazi doganali, peraltro mantenuti da Biden, ma anche rimosso la Turchia dal cosiddetto Sistema di preferenze generalizzate (SPG), un programma che permette ai paesi considerati in via di sviluppo di usufruire di un accesso facilitato al mercato americano.

Così come annunciato dallo stesso neo-presidente sarà la Cina, e in seconda istanza Messico e Canada, a subire un ulteriore aumento dei dazi doganali. Paradossalmente certi comparti dell'economia turca, favoriti da una moneta deprezzata, potrebbero rubare quote di mercato al gigante asiatico.

Allo stesso tempo la Turchia potrebbe correre in aiuto della Cina offrendosi come paese intermediario nella produzione e nell'esportazione di prodotti cinesi in Europa, un po' come avviene nel verso opposto per la Russia.

Elon Musk avrà un ruolo di primo piano nell'amministrazione Trump, oltre ad essere uno degli uomini più influenti al mondo. Quali sono le sue relazioni con la Turchia?

Lo scorso settembre Erdoğan aveva incontrato Elon Musk a New York a margine dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, lo stesso Musk nel 2017 si era recato in Turchia. Dopo la visita al mausoleo di Mustafa Kemal Atatürk aveva pubblicato su X una famosa citazione del fondatore della repubblica turca: "Se un giorno le mie parole saranno contro la scienza, scegliete la scienza", grazie alla quale si era accattivato l'opinione pubblica.

Musk aveva segnalato l'intenzione di aprire uno stabilimento Tesla nel paese, un'idea non ancora realizzatasi ma di concreto c'è stata la collaborazione tra Space-X e l'Agenzia Spaziale turca, che ha portato al lancio in orbita del primo satellite per il paese.

Corteggiare e coinvolgere economicamente Elon Musk è sicuramente un obiettivo del governo turco, che al momento ha pochi amici in seno alla prossima amministrazione statunitense.