Il dibattito in Turchia dopo la pubblicazione del rapporto UE sui negoziati. Per il ministro Gul l'articolo 301 "sta nuocendo all'immagine della Turchia quanto il film Fuga di mezzanotte", ma si rafforzano le posizioni contrarie al dialogo con Bruxelles
Qual è lo stato dei negoziati per l'adesione della Turchia alla UE qualche giorno dopo la pubblicazione del rapporto europeo sullo stato delle riforme nel paese anatolico?
Se si tiene conto dei forti timori diffusi nel paese alla vigilia della pubblicazione, alimentati da settimane di anticipazioni e previsioni dai toni catastrofisti, il contenuto del rapporto appare quasi rassicurante.
Nessun riferimento alla tanto temuta proposta di congelare i negoziati e nemmeno una irreversibile condanna per l'andamento delle riforme. Nel rapporto si riconosce che esse hanno subito un rallentamento ma non si sono completamente arrestate. Sembra quindi scongiurato il rischio di "un deragliamento dei negoziati" per usare un espressione molto in voga nelle scorse settimane ad Ankara e a Bruxelles.
Se la relazione tra Turchia ed Europa non è definitivamente compromessa, il quadro che viene delineato dal rapporto mostra però come essa non goda nemmeno di buona salute. E non tanto per le critiche, ampiamente note e dibattute in Turchia, nel processo riformatore che riguarda alcuni questioni cruciali come il problema cipriota, l'influenza delle forze armate sulla vita politica del paese oppure la libertà di espressione e il problema della corruzione nella pubblica amministrazione. La novità è rappresentata dall'ultimatum contenuto nel rapporto: la Turchia è chiamata a risolvere due nodi cruciali, la riforma del articolo 301 del codice penale relativo "alle offese alla turchità" e l'apertura di porti ed aereoporti del paese alle merci provenienti dalla Cipro greca, così come prevede il protocollo firmato dalla Turchia l'anno scorso, entro il prossimo vertice europeo del 14-15 dicembre. In caso contrario ne risentiranno i negoziati. Toni e scadenze che mirano decisamente a mettere alle corde Ankara.
Il problema reale non sembra tanto rappresentato dalla riforma dell'articolo 301. Con l'intensificarsi delle pressioni europee da tempo Erdogan si è detto disposto a rivedere questo articolo. Nei giorni scorsi il premier ha anche incontrato numerose associazioni della società civile in cerca di suggerimenti. Certo, come ha riconosciuto il ministro degli esteri Gul, agire sotto le pressioni europee rende tutto più difficle. La politica turca è ormai entrata in campagna elettorale in vista delle elezioni politiche dell'anno prossimo e una riforma di questo genere potrebbe essere interpretata da una parte dell'elettorato come un segno di debolezza. E' realistico però pensare che alla fine alla riforma in qualche modo si arriverà anche perchè, al di là della minaccia che questo articolo rappresenta per la libertà di espressione nel paese, per usare ancora le parole di Gul "esso nuoce all'immagine internazionale della Turchia almeno quanto il film Fuga di Mezzanotte".
Il nodo più intricato è rappresentato dalla questione cipriota. La Turchia mostra di essere ferma sulle sue posizioni: "Non rinunciamo alla decisione di aprire i nostri porti alle merci greco-cipriote solamente dopo la fine dell'embargo che colpisce la parte turca dell'isola" ha dichiarato il premier Erdogan. Di fronte a questa situazione di stallo le speranze sono affidate ad una iniziativa diplomatica finlandese. Un primo vertice ad Helsinki, previsto nei giorni scorsi, è stato però annullato tra le accuse reciproche di greci e turchi. Per Olli Rehn, responsabile UE per l'allargamento, il progetto finlandese rappresenta "l'ultima chance".
L'accelerazione europea sulla questione cipriota, che attende una soluzione da più di trent'anni, ha suscitato le vivaci proteste di Ankara. La posizione turca è che la questione cipriota e l'adesione alla UE dovrebbero essere mantenute separate: "Si tratta di un problema politico che non riguarda i negoziati di adesione", è la frase che più si ripete in Turchia in questi giorni. Da molte parti arriva la proposta di affrontare il problema di Cipro solamente dopo l'adesione turca. Posizioni che per il momento non sembrano lasciare molte speranze per una soluzione in tempi brevi.
Sembra difficile non interpretare il ricorso all'ultimatum, da parte della UE, come un segno eloquente della sfiducia che circola in Europa rispetto alle intenzioni ed alle possibilità che la Turchia riesca a realizzare le riforme necessarie per l'adesione. Se a questo aggiungiamo il coro di voci che ha ripreso a levarsi, soprattuto in Germania e Austria, per chiedere di riconsiderare la candidatura turca, il quadro di un'Europa in preda alla sfiducia e all'insicurezza nei confronti della Turchia appare completo.
Sentimenti analoghi sembrano però prevalere anche sul versante turco.
Prendiamo ad esempio le parole del presidente della Repubblica Sezer, pronunciate in occasione dell'anniversario della morte di Ataturk. Sezer, facendo esplicito riferimento all'Europa, ha dichiarato: "Nell'epoca della globalizzazione le forze colonizzatrici cercano di realizzare attraverso l'economia quello che in passato non sono riuscite a realizzare con le armi". Toni apocalittici che fanno il paio con quelli che più volte ha usato il nuovo capo di stato maggiore Buyukanit. Dopo aver dichiarato lo scorso agosto che "la repubblica turca vive il periodo più delicato della sua storia", all'indomani della pubblicazione del rapporto europeo ha rincarato la dose. Riferendosi alla UE ed a Cipro ha sostenuto che "attualmente la Turchia si trova in una situazione non peggiore di quella del 1919 quando il paese era occupato da forze straniere e l'esercito in rotta".
Due prese di posizione autorevoli che vanno ad alimentare la sensazione di insicurezza e di pericolo incombente che si stanno affermando nel paese. Del resto i numerosi sondaggi, i cui risultati rimbalzano anche in Europa, rimandano l'immagine di un'opinione pubblica turca sempre più fredda nei confronti della UE. Al di là dell'attendibilità dei sondaggi, è un dato di fatto che si stia imponendo nel paese un sentimento di disillusione se non di ostilità nei confronti dell'Europa, e la contemporanea ripresa della grancassa nazionalista. Si estende il sentimento di essere circondati da nemici che hanno il solo obbiettivo di immischiarsi negli affari del paese per indebolirlo, e la conseguente tentazione di rinchiudersi in sè stessi.
Rigurgiti nazional-sciovinisti, probabilmente inevitabili in una fase delicata di transizione come quella che sta attraversando la Turchia, si sono verificati in qualche misura anche negli altri paesi che hanno recentemente aderito alla Ue. Questi fattori contingenti in Turchia però si saldano con una tradizione politica nella quale il sentimento di minaccia permanente e l'altrettanto forte diffidenza nei confronti del mondo esterno, delle mire imperialiste di turno, europee, americane o genericamente occidentali, rappresentano elementi costitutivi. Il risultato è una miscela micidiale che rischia di attivarsi ogniqualvolta si presentino ostacoli e incomprensioni nelle relazioni con l'Europa.