La comunità turca protesta a Parigi

La comunità turca protesta a Parigi

Ieri l'Assemblea nazionale di Parigi ha approvato il provvedimento che punisce chiunque neghi la natura di "genocidio" in riferimento alle uccisioni di massa subite dagli armeni durante la Prima guerra mondiale per ordine dalle autorità ottomane. Le relazioni tra Francia e Turchia a un punto critico

23/12/2011 -  Francesco Martino

Visioni divergenti sul futuro, visioni divergenti sul passato. Le relazioni diplomatiche tra Francia e Turchia hanno toccato un nuovo punto critico dopo che  ieri l’Assemblea nazionale, la camera bassa del parlamento francese, ha approvato una legge che punisce chiunque neghi la natura di “genocidio” in riferimento alle uccisioni di massa subite dagli armeni durante la Prima guerra mondiale per ordine delle autorità ottomane. Il testo passa ora al senato, dove dovrebbe essere votato entro febbraio 2012.

La decisione del parlamento francese di dare sostanza alla legge del 2001, con cui la Francia riconosceva il “Meds Yeghern” armeno (letteralmente “il grande disastro”) come genocidio (ma senza prevedere sanzioni), segna il culmine di un rapporto sempre più travagliato e difficile, nonostante i forti legami storici ed economici tra Ankara e Parigi.

Oggi la Francia guidata da Nicolas Sarkozy rappresenta il più strenuo oppositore alle prospettive di integrazione europea della Turchia. Dal 2007 Parigi blocca  cinque capitoli chiave dei negoziati UE con la Turchia, e spinge verso la revisione completa dell’approccio europeo nei confronti di Ankara. Per Sarkozy, offrire la prospettiva della piena integrazione, come continuano a fare almeno parte dei paesi UE, è stato un grossolano errore. Necessario quindi un deciso passo indietro, con l’offerta ai turchi di un non meglio specificato e meno impegnativo “rapporto privilegiato”.

In un contesto diplomatico già teso, la legge appena approvata non può che approfondire il solco. Da parte turca la risposta è stata furibonda. Ankara ha richiamato a tempo indeterminato l’ambasciatore a Parigi, Tahsin Burcuoğlu. Il premier turco Recep Tayyip Erdoğan ha denunciato il provvedimento come “razzista, discriminatorio e xenofobo”, annunciando la cancellazione di ogni incontro di carattere politico, economico e militare con la Francia. Nei giorni scorsi, lo stesso Erdoğan aveva intimato alla Francia di guardare al proprio passato coloniale  prima di mettere il naso nella storia turca.

Il 21 dicembre, sul quotidiano “Zaman”  il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu aveva accusato Parigi di voler “condannare la storia che diventa narrativa di una sola parte, criminalizzando la libertà di espressione”.  L’alto e appassionato appello di Davutoğlu e di molti commentatori turchi in difesa del principio della libertà di espressione soffre però in questo caso, a prescindere dalle riflessioni di merito, di un doloroso e irrisolto tallone d’Achille. Nonostante vari emendamenti, il famigerato articolo 301, che punisce chiunque offenda “la nazione turca” (come capitato nel 2006 al premio Nobel Orhan Pamuk proprio per aver esposto gli scheletri curdo e armeno nell’armadio della Repubblica di Turchia) è ancora in vigore.

Davutoğlu non ha risparmiato accuse dirette al presidente Sarkozy. “Questa iniziativa è sbagliata fin dall’inizio […] Sappiamo tutti che la politica è spesso basata sul desiderio di restare al potere. In questo caso, però, interessi politici e voglia di potere risultano molto più importanti di realtà e ricerca della giustizia”.

Parole pesanti come pietre. Per Ankara, Sarkozy ha sacrificato le già traballanti relazioni con la Turchia alla necessità di accaparrarsi i voti dei circa 500mila francesi di origine armena nelle prossime presidenziali, rubando al tempo stesso preferenze ai nazionalisti sul terreno del “no” a ulteriori allargamenti dell’UE, tema sempre più scomodo in un’Europa stretta da paure amplificate dalla crisi.

La legge in questione, in realtà, non è nata da un’iniziativa diretta del presidente francese, ma Sarkozy ha senza dubbio fornito il suo supporto politico all’iniziativa. I deputati del suo UMP (Unione per il Movimento Popolare) hanno dato l’appoggio decisivo al provvedimento, e per Ankara la legge è responsabilità piena dell’esecutivo francese.

A rafforzare le accuse a Sarkozy di puro opportunismo politico in vista delle elezioni, anche il fatto che fino ad oggi è stato soprattutto il Partito socialista, avversario del presidente, a spingere sul tema. Per ben due volte, nel 2006 e nel maggio 2011, erano stati proprio i socialisti a presentare progetti di legge  volti a punire il negazionismo sul genocidio armeno. Ed entrambe le volte, era stato proprio Sarkozy a bloccare i provvedimenti.

Sul fronte transalpino, tra l’altro, l’approvazione del progetto di legge ha sollevato non poche obiezioni, anche all’interno dello stesso governo. A contestare l’iniziativa è stato soprattutto il ministro degli Esteri Alain Juppé, molto preoccupato delle possibili conseguenze sui rapporti bilaterali. “Votare leggi in Francia non cambierà l’opinione dei turchi […] Ora aspetto una forte reazione da parte della Turchia, che potrebbe avere ricadute serie”, ha dichiarato Juppé. Che ha poi aggiunto “E’ un provvedimento inutile e controproducente”.

A esultare invece, come prevedibile, la parte armena. “Vorrei esprimere la mia gratitudine alla leadership francese, all’Assemblea nazionale e al popolo di Francia, che ancora una volta hanno ribadito il proprio attaccamento ai valori umani universali”, ha dichiarato a caldo, visibilmente soddisfatto, il ministro degli Esteri di Yerevan Edward Nalbandian.

In attesa di capire se la spaccatura tra Turchia e Francia diviene davvero insanabile, vale la pena soffermarsi sulle possibili ricadute nel dibattito interno turco sulla questione armena.  Ricadute probabilmente negative, visto che l’approvazione della legge sul genocidio in Francia darà nuova linfa in Turchia alle tradizionali voci “complottiste”, che vedono in ogni spinta esterna ad affrontare il passato un’oscura e subdola minaccia alla vita dello stato.

Parallelamente, la posizione di chi cerca faticosamente di costringere la società turca a fare i conti con gli aspetti più oscuri e tragici che hanno accompagnato la vita della Repubblica, diventa più fragile e delicata.

Negli ultimi dieci anni cambiamenti significativi  in questa direzione, per quanto  perfettibili e spesso incompiuti, sono evidenti. Ultimamente le scuse presentate da Erdogan sui fatti di Dersim, seppur soggette a speculazioni e controversie politiche, hanno fatto crescere la speranza di poter assistere presto un dibattito più aperto su temi fino a ieri tabù, genocidio armeno compreso.

Ora le cose potrebbero essersi complicate, e non poco. “La legge approvata in Francia può arrestare il processo di attenzione verso i fatti del 1915 e la capacità di guardarli con spirito autocritico”, ha scritto ieri il giornalista turco di origini armene Markar Esayan. “La Turchia dovrebbe evitare questa trappola. Il primo requisito per cambiare le cose nel Paese è identificare e sanzionare i crimini del passato. E il massacro degli armeni (chiamatelo, se volete, genocidio o migrazione forzata) è la questione fondamentale da affrontare per rendere possibile il cambiamento”.