L'emirato del Qatar, accusato di fomentare il terrorismo da vari paesi arabi, rischia l'isolamento. Doha può però contare sul sostegno della Turchia, partner economico e politico
La crisi diplomatica che sta scuotendo i paesi arabi avrà importanti ripercussioni anche sulla Turchia. Bahrain, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen hanno imposto un isolamento diplomatico ed economico al Qatar, con cui Ankara ha allacciato da tempo importanti relazioni. Il Qatar è accusato dai vicini di sostenere organizzazioni terroristiche: tali infatti sono considerati da Egitto e dai sauditi i Fratelli Musulmani, che a Doha hanno enorme influenza. Il Bahrein accusa poi il vicino di ingerenze nei propri affari interni, mentre Riyad considera pericoloso l'avvicinamento del Qatar all'Iran.
Asse Ankara-Doha
Ankara e Doha hanno maturato in questi anni una visione pressoché identica sulle questioni mediorientali: sostengono la ribellione anti-Assad nelle sue frange più tradizionaliste, guardano con favore all'islam politico dei Fratelli Musulmani, soprattutto mantengono posizioni pragmaticamente ambigue sullo scontro tra sauditi ed iraniani: capaci di cooperare con entrambi, ma sempre diffidenti.
Questa comune visione ha portato i due paesi a stringere accordi in materia di sicurezza, tanto che a Doha i turchi hanno dal 2015 una base militare con diverse centinaia di operativi, sebbene sui numeri effettivi ci sia al momento grande confusione (si stimano almeno 300 unità). La risoluzione che il parlamento turco ha passato in gran fretta mercoledì 8 giugno, e che autorizza il dispiegamento di ulteriori truppe per rafforzare la precaria posizione qatariota, non contiene indicazioni su quanti soldati Ankara sia pronta ad inviare, decisione delegata ai quadri dell'esercito. Resta il dato di fatto più importante: la Turchia è pronta a difendere il Qatar con le proprie truppe, anche se confida non si arriverà mai ad uno scontro aperto.
Il primo commento del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sulla crisi araba è stato infatti improntato allo scetticismo: “Non credo affatto che il Qatar stia finanziando il terrorismo. Qui si sta giocando un'altra partita”.
Ankara ritiene che la mossa della coalizione araba contro il Qatar sia dettata dalla volontà di imporre un cambio di regime a Doha, in modo non dissimile, ma meno cruento, di quanto accaduto in Egitto con Morsi. Allo stesso tempo, Erdoğan condivide le tesi cospirazioniste molto diffuse ai piani alti del governo turco: teme che una capitolazione del Qatar metta il suo governo in prima posizione nella lista dei “cambi di regime” desiderati da Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele per indebolire i Fratelli musulmani e allineare altri paesi mediorientali alle politiche atlantiche.
La partita economica
La presenza militare turca in Qatar non ha però solo finalità geopolitiche. La Turchia punta a dare sostegno alla propria industria bellica, che fatica ad imporsi sul mercato internazionale, attraverso contratti con i qatarioti del valore di 2 miliardi di dollari.
Soprattutto, il Qatar è diventato per Ankara un partner fondamentale per puntellare la traballante economia. Nel complesso, il giro d'affari turco in Qatar è stimato attorno ai 13,5 miliardi di euro, mentre gli investimenti qatarioti in Anatolia ammontano a 12,5 miliardi. Sebbene siano ancora gocce nel mare delle economie dei due paesi, i progetti e le collaborazioni avviate negli ultimi anni sono ingenti e la Turchia non può permettersi di vederli naufragare a causa della crisi araba.
Due banche operative in Turchia sono di proprietà del Qatar: Finansbank (con asset di 90 miliardi di lire turche, circa 23 miliardi di euro) e Abank (13 miliardi di lire turche, 3,20 miliardi di euro). I due paesi, insieme ad altre realtà dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica, collaborano su progetti di sviluppo della cosiddetta finanza islamica (o finanza partecipativa), un giro d'affari che in Turchia riguarda il 5% di tutte le transizioni finanziarie (circa 50 miliardi di euro stimati nel 2014) e che il governo Akp vorrebbe incentivare a raggiungere il 15% entro il 2023.
Ankara e Qatar hanno inoltre creato un fondo d'investimento condiviso, il Fondo Turco per il Benessere, in modo simile a quanto fanno i paesi esportatori di petrolio. Ma la Turchia non è un paese esportatore e la sua creazione è stata possibile appunto solo grazie ai soldi del Qatar. Lo scopo del fondo è dare nuova linfa ad alcune grandi compagnie turche in affanno e finanziare i megaprogetti targati Akp, tanto importanti per l'immagine del governo e per stimolare la domanda interna, quanto avidi di denaro pubblico.
Quote di grandi compagnie a partecipazione statale come il gigante del tè Çaykur, l'operatore Türk Telekom, le poste PTT, l'azienda satellitare Türksat ed aziende nei settori energetico e minerario sono state trasferite a questo fondo. Anche il network satellitare Digitürk è entrato in orbita di acquisto del gruppo media qatariota BeIN.
La compagnia aerea di bandiera Turkish Airlines, punta di diamante dell'economia turca dal valore stimato di 1 miliardo di dollari, vola da tempo in cieli tempestosi a causa degli ingentissimi investimenti degli scorsi anni abbinati al crollo del turismo domestico. Il governo ne starebbe tentando il rifinanziamento proprio attraverso il fondo condiviso con il Qatar, al quale sarebbero state trasferite importanti quote societarie.
Invito al dialogo
Un Qatar internazionalmente isolato ed indebolito rischia di compromettere queste e molte altre operazioni finanziarie ed economiche vitali per la Turchia.
Erdoğan ha deciso quindi per il dispiegamento di truppe allo scopo di rafforzare la propria posizione di mediatore, ma ambisce a risolvere la diatriba con la diplomazia: “Il modo migliore per risolvere i problemi interni dei paesi del Golfo è il dialogo. A tal proposito, ammiriamo l'approccio costruttivo ed equilibrato del Qatar”.
Riuscire nel proprio intento consentirebbe non solo alla Turchia di scongiurare una catastrofe economica, ma anche di guadagnare prestigio in uno scacchiere regionale in cui ambisce ad un ruolo di leadership ad oggi ancora molto lontano.