Conclusione trionfale per il 24° Festival del Cinema di Istanbul. "Anlat Istanbul" vince come miglior film turco. Tulipano d'oro a Liliane Hadzihalilovic e Hou Hsiao-Hsien. Al posto di Emmanuelle Béart, assente in solidarietà con le donne caricate l'8 marzo, arriva Sofia Loren
A poche settimane dalla conclusione del Festival del cinema di Ankara, si è chiuso sabato scorso, con la cerimonia della consegna dei premi, il 24° Festival Internazionale del Cinema di Istanbul. La giuria, presieduta dall'australiana Jane Campion, e che comprendeva tra gli altri il regista irlandese Neil Jordan, l'attrice italiana Valentina Cervi e la regista turca Yesim Ustaoglu, ha attribuito il Tulipano d'Oro per la migliore opera straniera, a due film, Innocence della francese Liliane Hadzihalilovic e Kohi Jikou (Cafè Lumière) del cinese Hou Hsiao-Hsien, un film interamente ambientato in Giappone con attori giapponesi.
Ospite d'onore della serata di gala un'entusiasta Harvey Keitel, che ha ricevuto il premio alla carriera. Nella conferenza stampa al suo arrivo ad Istanbul, Keitel aveva stupito tutti chiedendo ai giornalisti di non essere definito un attore americano: "Mio padre era italiano, mia madre rumena, io sono nato a Brooklyn, mi è difficile pensarmi come americano".
Una conclusione trionfale per un Festival cominciato con la defezione di Emmanuelle Beart, che avrebbe dovuto essere la madrina della serata di apertura. L'attrice francese ha deciso all'ultimo momento di disertare l'appuntamento per protestare contro le violenze della polizia al corteo delle donne del 6 marzo scorso ad Istanbul. Al suo posto in tutta fretta è stata invitata Sofia Loren, alla quale è stata poi attribuito un premio speciale.
Il bilancio lusinghiero del festival è confermato anche dalle cifre: 166 i film proiettati, dei quali 75 europei, 40 americani, 22 turchi e 19 asiatici. Anche la risposta del pubblico è stata in linea con la tradizionale passione dei turchi per il cinema. Sono stati più di novantamila gli spettatori che hanno affollato le sale durante i 15 giorni del Festival.
Tra i film in concorso, oltre ai due premiati, si sono distinti anche Beyond the Sea di Kevin Spacey, Le chiavi di casa di Gianni Amelio e Childstar di Don McKellar, vincitore del Festival di Vancouver, ed il film turco Yolda.
E' stato però un film fuori concorso, 2046, del regista di Hong Kong Wong Kar Wai, quello che ha più intrigato il pubblico, tanto da dover essere proiettato in tre diverse occasioni. Un film che il regista, in un'intervista ad un quotidiano, ha definito "non una storia d'amore ma una storia dell'amore".
Accanto ai film in concorso, il Festival ha proposto numerose altre iniziative collaterali: le retrospettive dedicate a Neil Jordan, Roman Polanski e Pietro Germi, conferenze e dibattiti tra i quali quello con lo scrittore francese Alain Robbe-Grillet.
Il concorso dedicato ai film turchi, oltre al film vincitore Anlat Istanbul (Racconta, Istanbul!), ha rivelato altre opere interessanti tra le quali Balans ve Manevra, opera prima del cantante rock Teoman e Yazi Tura di Ugur Yucel che, ambientato nell'Anatolia Sud-Orientale affronta anche il tema della guerra con il PKK. Il concorso dedicato ai film nazionali ha rappresentato anche l'occasione per una verifica dello stato di salute del cinema in Turchia.
Da molti anni ormai il cinema turco si trova a dover far fronte, da un lato all'assedio della cinematografia straniera, americana in particolare e, dall'altro alle difficoltà economiche. Elementi questi che hanno sensibilmente ridotto la presenza nelle sale del paese di pellicole di produzione nazionale. Sembrano ormai lontani i fasti degli anni '70 quando l'industria cinematografica turca, almeno dal punto di vista quantitativo, poteva vantare una produzione di tutto rispetto. Era il periodo del mito di Yesilcam, il nome del quartiere di Istanbul dove si concentravano gli studi cinematografici. Una produzione che, accanto ai film sentimentali, molti dei quali ora rivalutati, allineava anche autori di qualità, internazionalmente conosciuti, un nome su tutti quello di Yilmaz Guney, autore fra l'altro del celebre Yol (La strada). A celebrare nostalgicamente proprio i fasti dell'età dell'oro di Yesilcam ci ha pensato un film musicale nelle sale in questi giorni, Sotto le stelle, una sorta di remake delle commedie sentimentali dell'epoca.
Da qualche tempo però, grazie anche all'avvento di una nuova generazione di registi come Yesim Ustaoglu (Viaggio verso il sole) e Nuri Bilge Ceylan (Uzak) che hanno già avuto occasione di farsi apprezzare anche a livello internazionale, il cinema turco sembra vivere una sorta di risveglio. Una tendenza confermata anche nella stagione in corso. A cominciare dal delizioso Karpuz kabugundan gemiler yapmak (Costruire barche con le bucce di anguria), assente al Festival di Istanbul ma pluripremiato dalla critica nei mesi precedenti (ultimo in ordine di tempo, il premio come miglior film turco al Festival di Ankara). Opera di un regista indipendente, Ahmet Ulucay, realizzato con un budget striminzito e con una lavorazione che si è protratta a lungo per i gravi problemi di salute del coraggioso regista, il film narra con grande delicatezza le vicende di un gruppo di bambini in un villaggio anatolico.
Racconta, Istanbul, già nelle sale da alcune settimane, è un film ad episodi girato da cinque diversi registi. Ispirandosi ad alcuni classici della letteratura favolistica e per bambini (Biancaneve e i sette nani, Cappuccetto Rosso, Il pifferaio di Hamelin), presenta le storie ed i caratteri di cinque personaggi segnati, per ragioni diverse, dallo stigma della marginalità: l'innocenza e lo spaesamento di un giovane immigrato curdo, che non parla turco, nell'impatto drammatico con la metropoli; le vicende di una ragazza nana che ha scelto di vivere nel sottosuolo e che vive le sofferenze che la società le impone per la sua doppia "diversità", donna e nana; la figlia di un padrino di mafia, ucciso dai rivali, alla ricerca di una nuova vita; il desiderio di riscatto nella relazione tra una prostituta transessuale e un malinconico e romantico commesso; il dolore di un clarinettista tzigano che scopre l'infedeltà della sua giovane e affascinante moglie. Ritratti di cinque "perdenti" le cui vicende tragiche si incrociano, governate dal caso, in un'unica notte, fino ad arrivare al finale onirico, sulle rive del Bosforo. Tutto sullo sfondo di una Istanbul decisamente lontana dalle immagini accattivanti dei depliants turistici.
Le speranze della cinema turco non sono legate però solamente alla produzione cinematografica classica. Lo ha dimostrato la presenza al Festival, nella sezione dedicata ai documentari, della giovane Pelin Esmer, la cui opera Oyun (Recita) ricostruisce le vicende di un coraggioso gruppo di donne che vivono in un villaggio e che decidono di costituire un gruppo teatrale. Un documentario già invitato a numerosi festival internazionali, tra i quali di Cannes e Toronto.