Güler Yıldız (foto Alberto Tetta)

La libertà di espressione in Turchia nel terzo anniversario dell'omicidio Dink. La situazione dei media non turcofoni, la storia di Radio Vita di Istanbul. Nostra intervista con Güler Yıldız

28/01/2010 -  Alberto Tetta Istanbul

In Turchia sono sempre di più i media che utilizzano, oltre al turco, il kurdo e altre lingue delle minoranze. Dopo decenni di nazionalismo culturale, la società turca sembra lentamente scoprire la propria natura multietnica.

Il fiorire di media non turcofoni è la diretta conseguenza di un recente cambio di rotta nella politica linguistica del Paese. Nel 2001 è stato abolito il divieto di parlare lingue che non fossero il turco, ma restava vietato scrivere e trasmettere nelle lingue delle minoranze. Nel 2006 il governo Erdoğan, facendo un timido passo in avanti, ha permesso a radio e televisioni di trasmettere in kurdo, ma unicamente musica e per un massimo di un'ora al giorno.

E' nel 2009, con la nascita di TRT6, canale pubblico che trasmette 24 ore su 24 in kurdo, che c'è stata una vera inversione di rotta. Anche se TRT6 ha una linea editoriale decisamente filogovernativa, la scelta da parte del governo di creare un canale in kurdo significava che, da quel momento in poi, era possibile anche per gli altri media trasmettere in lingue diverse dal turco.

Le sedi di radio, televisioni e giornali multilingue sono concentrate soprattutto a Istanbul e a Diyarbakır. Le lingue più rappresentate sono il kurdo, con Azadiya Welat (quotidiano), Gün Tv e Radyo Ses, poi viene l'armeno con Su Tv, Agos (settimanale bilingue stampato ad Istanbul) e Jamalak solo in armeno. Ci sono poi il mensile Şalom, voce della comunità ebraica, Skani Nena di quella Laz e Jineps dei circassi. Apoyevmatini e Iho, infine, sono stampati in greco.

Radio Yaşam, Radio Vita, emittente con un palinsesto multilingue, è stata la prima radio ad Istanbul a proporre agli ascoltatori programmi in kurdo, armeno, laz, circasso e greco, diventando ben presto un punto di riferimento per le minoranze. Güler Yıldız, caporedattrice, ci ha parlato della radio e della libertà di espressione in Turchia.

Perché Radio Yaşam?

La diretta a Radio Yaşam (foto Alberto Tetta)

Yaşam significa vita. Vogliamo che la nostra radio racconti le tante storie diverse che attraversano la società. Istanbul è una città enorme, eccitante e stressante allo stesso tempo, multiculturale e complessa, e non è facile metabolizzare tutta questa energia. Radio Yaşam è aperta alla molteplice sinfonia di suoni di cui è fatta la vita, e vuole aiutare gli ascoltatori ad interpretarla.

La Turchia è un Paese ricco di culture diverse, ma spesso questo non trova rappresentazione sui media. La vostra scelta è in controtendenza, perché?

Che la Turchia sia un Paese multiculturale è un dato di fatto. Il problema è che sin da piccoli ci vengono inculcate nella testa idee tanto semplici quanto stereotipate, i kurdi sono cattivi, gli armeni sono cattivi, i greci sono cattivi, gli ebrei sono cattivi e così via. I libri di storia sono pieni di favole sulle minoranze, storie prive di qualsiasi fondamento. In questo modo si alimenta l'odio e i ragazzi cominciano a percepire kurdi e armeni come cittadini di seconda categoria, crescono con questi pregiudizi. I giornali ripropongono questa immagine stereotipata delle minoranze per aumentare le vendite, sanno che è quello che le persone vogliono leggere. Noi invece rifiutiamo questo approccio. Siamo una radio che trasmette da Istanbul, una città costruita da architetti greci, armeni ed ebrei così come erano greci, armeni ed ebrei coloro la abitavano prima che arrivassero i turchi. Ora ne sono rimasti pochi, ma questo non vuol dire che non esistano. Hanno associazioni culturali, gestiscono scuole e luoghi di culto, ma il problema è che la loro vita scorre parallela alla nostra, non ci conosciamo. Viviamo nello stesso palazzo, ma non sappiamo niente gli uni degli altri. Allora ci siamo detti che dovevamo fare qualcosa per avvicinare le persone, per conoscerci e soprattutto incontrarci, dare voce a tutte le diverse culture che ci circondano.

Che rapporti avete con le organizzazioni delle minoranze, ci sono programmi in cui collaborate?

Il programma in armeno "Getron" condotto da Varktes Keşİş e Artür Bağdasaryan (foto Alberto Tetta)

Il rapporto è molto buono, siamo un punto di riferimento. Per esempio i due programmi in laz che mandiamo in onda, Radyo Cixa e Tanura, sono condotti rispettivamente dal presidente e dal vicepresidente dell'Associazione Culturale Laz di Istanbul. Anche Kafdağından Esintiler, il nostro programma in circasso, ha un buon feedback da parte degli ascoltatori. Per quanto riguarda i kurdi, sono state le loro associazioni culturali le prime a sostenerci.

Cosa pensate del progetto del governo di apertura nei confronti dei kurdi? Il clima sta davvero cambiando o ci sono ancora problemi per chi trasmette in lingue che non siano il turco?

Come radio siamo contenti dell'iniziativa del governo. A Istanbul una radio che trasmette anche nelle altre lingue è ormai considerato un fatto naturale. Non abbiamo avuto nessun problema legale né con i nazionalisti, anche perché ci occupiamo soprattutto di cultura, non facciamo politica. I problemi sono di altro tipo. Noi facciamo programmi in kurdo, in circasso e in armeno, ma gli ascoltatori, soprattutto i più giovani, non conoscono la lingua dei loro genitori perché sono stati vittima di un processo di assimilazione. Inoltre c'è la questione degli sponsor. Essendo una radio privata le nostre entrate vengono principalmente dalla pubblicità, ma facciamo fatica a trovare aziende disposte a sostenerci. Associando il loro marchio ad una radio che trasmette in armeno e in kurdo hanno paura di perdere clienti.

A parte la questione linguistica, qual è la situazione più generale della libertà di espressione oggi in Turchia?

Le cose non vanno affatto bene. I problemi, più che dal governo o dalle organizzazioni di destra, provengono dall'esercito e dalla polizia. Quando cominci a parlare di loro iniziano a tenerti sott'occhio, e se superi un certo limite arrivano le denunce. Detto questo, però, c'è anche da dire che non tutti i media vengono trattati allo stesso modo. Gli islamisti radicali per esempio hanno propri giornali, radio e televisioni e scrivono quello che vogliono senza problemi. E' ai quotidiani di sinistra e a quelli kurdi che viene riservato un trattamento particolare. Ci sono ancora giornalisti di sinistra in carcere da anni per reati di opinione e, per quanto riguarda i kurdi, basta che scrivano qualcosa di critico e vengono subito accusati di fare propaganda separatista.

Il 19 gennaio davanti alla sede del suo giornale, Agos, migliaia di persone hanno ricordato Hrant Dink e hanno chiesto giustizia a tre anni dal suo assassinio. Che significato ha avuto per lei questo episodio?

Quando è stato ucciso Hrant, tre anni fa, più di centomila persone hanno manifestato di fronte alla sede di Agos. Avrebbe potuto essere Hrant o qualsiasi altro di noi, ma hanno scelto lui. Il suo assassinio è da collocare in un piano più ampio per bloccare il partito di Erdoğan, l'AKP, nel suo percorso di avvicinamento all'Europa. Hrant è stato la vittima sacrificale, hanno scelto lui. Erano in moltissimi a pensarla come lui. Hrant non è stato ucciso perché era un armeno, ma perché parlava di pace, perché era un cittadino turco, era questo a dare fastidio. La reazione a questo ennesimo omicidio però è stata importante. In Turchia in passato sono stati ammazzati moltissimi giornalisti, ma per loro nessuno ha mai manifestato. Dopo l'assassinio di Hrant Dink, invece, la gente ha detto basta.