I The Away Days sono un gruppo pop onirico di Istanbul che da anni affascina con paesaggi sonori ricchi di arrangiamenti e strutture raffinate. Con loro percorriamo un viaggio nello shoegaze turco
Raramente ci siamo occupati di shoegaze, genere musicale meglio conosciuto come dream-pop, perché tipicamente anglosassone e ormai da tempo fuori moda. In Inghilterra negli anni Novanta fecero furore band come Slowdive, My Bloody Valentine, Ride e Chapterhouse. Echi che, in realtà, non si sono mai spenti e che di volta in volta giustificano il battesimo di qualcosa di nuovo inerente l’argomento, anche in paesi insospettabili come la Turchia, a loro agio nella sperimentazione, tanto quanto in ambiti tradizionali, ma non così attenti a certe sonorità in cui le chitarre finiscono per coprire tutto; sviluppando un muro di suoni dal quale nemmeno la voce è risparmiata.
A questo proposito vale la pena citare una band turca che ha abbracciato a piene mani la filosofia dream-pop e che sta ottenendo un discreto successo, non solo in patria. Il riferimento è a The Away Days. Il nome non poteva che essere di matrice anglosassone e infatti la risposta sonora scivola a spron battuto nell’universo british, con rimandi espliciti agli anni Novanta. Ora sono rimasti in due, ma in origine erano in cinque, tutti intorno ai 27 anni, studenti di economia: Oguz Can Ozen (voce e chitarra), Sezer Koc (basso), Volkan Karaman (chitarra), Orkun Atik (tastiera), Anil Atik (batteria). Possibilmente non interessati al paese di origine: “Sentiamo di non appartenere a Istanbul, né alla Turchia”, dice il cantante, “non apparteniamo a nessuno. Ma senz’altro la capitale che ci ha tenuti a battesimo è stata per noi una grande e insostituibile casa e fonte di ispirazione”.
La band si forma nel 2012 dall’incontro fra Oguz e Sezer. Gli ispiratori? The Strokes, The Smiths, Joy Division, The Cure, ascoltati fin da bambini. Su questa scia musicale, viene dato alle stampe l’ep How Did It All Start, prodotto indipendente che però lascia il segno, attizzando anche le nuove generazioni, notoriamente attratte da tutt’altre sonorità. “Hands” potrebbe essere definito un fulmine a ciel sereno.
Il brit pop si impone senza regole, toccando gli anni Novanta di band come i Ride, ma anche epigoni pop molto più blasonati e stereotipati come i Coldplay. Qui il brano:
Il cambio ritmo nel finale è la conferma di una band che non ha intenzione di regalare nulla al caso, e nemmeno alle mode. Un inno alla lezione appresa dagli Slowdive. Altrettanto convincente il brano “Dressing Room”, qui in uno spezzone dal vivo, ripreso al Garage di Londra nel 2013:
“Un bella esperienza, da affiancare al fatto che all’estero c’è ancora più curiosità nei nostri riguardi che non fra i connazionali”, rivela Oguz. Ancora brit pop, The La’s dietro l’angolo, ma anche sfumature alla Editors e alla The Veils, e dunque suoni più moderni e al passo coi tempi. Irresistibile il ritornello.
Ma la prima vera apparizione nel campo dei media che contano è con il video musicale “Galaxies”. Canzone onirica, soave, chitarre e feedback al top.
E l’apertura a esperienze nuove come l’apparizione al South by Southwest festival, fra musica e cinema; appuntamento che si tiene ogni primavera ad Austin, in Texas, dal 1987. Aprono per i Portishead, band internazionale di grande prestigio e per gli scozzesi Belle & Sebastian. La stampa si mobilita. Per Robin Murray, del Clash, “la proposta della band è assimilabile agli School of Seven Bells e ai Ride, con sprazzi di Swervedriver nei passaggi più duri”. Mischa Pearlman del Guardian dice: “Il loro talento potrebbe far risplendere anche in Turchia un genere che non si era mai visto e sentito”. Zachary Lipex, di Vice, infine, parla di “uno stile fra The Jesus and Mary Chain e The La’s”.
Esce un nuovo ep nel 2015, This, apologia di un suono sempre più delineato e distante dai paradigmi anatolici. L’esperienza dei The Away Days prosegue con “World Horizon”, un brano scritto e diffuso nel 2016. Forse il pezzo più famoso della band:
In attesa del primo album che arriva nel 2017: “Si intitola Dreamed at Dawn”, ci racconta al volo Oguz. “Una sorta di riassunto zippato di tutte le nostre vite maturate negli ultimi anni a Istanbul, fra gioie e dolori”. C’è anche l’impegno, e le restrizioni imposte in Turchia per l’uso di internet. Atmosfere ben evocate in pezzi come “White Whale”, “Making Ends Meet”, e soprattutto “Monks”.
Nel 2019 il duo di Istanbul esce con "Designed", un'incantevole vortice di struggente sogno di riflessione pop. Prova definitiva di una band che sta prendendo il largo, in attesa di rivederli in Europa occidentale, dove loro stessi rivelano di volersi presto trasferire.