Fatih Mehmet Maçoğlu è il primo sindaco comunista di un capoluogo di provincia in Turchia. Accade a Tunceli, Anatolia centro-orientale. Un reportage
Il fiume Munzur è in piena. Anche se mancano pochi giorni a maggio, le montagne a lati del fiume sono ancora ricoperte di neve e la pioggia scende fitta sulla strada sottostante. Sono 80 i chilometri che separano il piccolo villaggio di Ovacık dal capoluogo Tunceli, in Anatolia centro-orientale. "Conosciamo bene l’esperienza che viene portata avanti nel villaggio e ci sembra una cosa molto positiva - dicono in un kahve (caffè, ndr) vicino al municipio - ma ancora è presto per dire se succederà lo stesso qui in città". 80 chilometri di distanza e 5 anni di una parabola politica che sta sempre più attirando l’attenzione dei media: Fatih Memet Maçoğlu, dopo essere stato sindaco del villaggio di Ovacık è diventato alle scorse amministrative del 31 marzo il primo sindaco comunista di un capoluogo provinciale - Tunceli - nella storia del paese. Membro del TKP (Partito comunista di Turchia), Maçoğlu nel mandato di governo del piccolo centro di Ovacık è diventato parecchio popolare in Turchia grazie a misure sociali inclusive e politiche di redistribuzione. Poi, alle ultime amministrative, la candidatura e la vittoria a Tunceli con percentuali che sembrano quasi ribaltate rispetto al panorama nazionale: 32,77% per il TKP (che in genere fatica a toccare l’0,50%) seguito dal 28,21% del partito curdo HDP. Gökhan Arasan, il candidato dell’AKP di Erdoĝan, si è fermato invece al 14,06%.
Cafè Cuba, Ovacık
L’autobus per Ovacık scarica i passeggeri al fondo di una strada sterrata. Pochi metri più in là, un bar che si chiama “Cafè Cuba” libri e pubblicazioni alle pareti, un lungo bancone nero, immagini di Che Guevara sul muro. "Le principali attività del nostro villaggio sono l’agricoltura e il turismo", spiega Deniz togliendosi il grembiule. "Io ho sempre fatto il commerciante e l’imprenditore e non ho affiliazioni politiche. Ma non per questo non mi sento responsabile per la mia terra".
Nel 2014 il Partito Comunista vise le amministrative del piccolo centro con Maçoğlu. Due anni più tardi, grazie alla sua iniziativa, venne fondata una cooperativa che si occupa di produzione e commercializzazione di beni agricoli. "Siamo otto soci e fra le 300 e 400 fattorie coinvolte - Deniz ha ora il turno come presidente della cooperativa - ed è un modello che si diffonde sempre di più, anche nelle aree limitrofe a Ovacık. Fino a qualche tempo fa, le difficoltà erano molte: la produttività era scarsa, ma soprattutto gli agricoltori facevano fatica a vendere le merci a un prezzo vantaggioso. Ora, avendo unificato la filiera in un processo di decisioni discusse e concordate, le condizioni stanno migliorando e alcuni dei nostri prodotti sono disponibili anche on-line".
Ascolto, cooperazione, sensibilità per le esigenze sociali. Prima di diventare sindaco di Ovacık, Maçoğlu lavorava nel villaggio come medico. Il modello messo in atto è – per sua stessa definizione – una sorta di “municipalismo popolare” che, oltre alla riorganizzazione del settore agricolo, ha previsto anche iniziative per rendere gratuito il trasporto pubblico, una serie di sussidi per le famiglie più disagiate e alcune borse di studio per i giovani.
"La sua è una figura molto amata - prosegue Deniz - il partito comunista non aveva mai raggiunto un simile risultato. In più la sua elezione ha avuto grande risonanza, non solo in Turchia ma anche a livello internazionale. Quest’estate Ovacık era piena di persone incuriosite dall’esperienza".
"Non siamo ingenui: a Ovacık non è arrivato il socialismo all’improvviso. Viviamo ancora all’interno di un sistema capitalistico e seguiamo le sue regole. Tuttavia, possiamo arginarne i danni: lottare per orari di lavoro più umani, ridurre l’inquinamento, includere le donne nei meccanismi decisionali. Questo è il nostro socialismo!", conclude Deniz rimettendosi il grembiule.
Un modello esportabile?
Il problema ora è capire quanto un modello come quello di Ovacık possa essere esportato in altri contesti. Tunceli, capoluogo provinciale, è innanzitutto una città più grossa, in cui economia e società sono maggiormente diversificate. Inoltre, come tanti altri centri dell’est della Turchia, ha subito dal 2015 alle recenti elezioni il commissariamento da parte del governo.
"Adesso siamo alle prese con l’eredità del kayyum (il commissario imposto dall’autorità centrale, nda)". Candan Badem – ex-professore universitario espulso forzatamente dall’insegnamento per il decreto n.672 (lo scrive a chiare lettere sul suo biglietto da visita) e ora nel consiglio comunale di Tunceli – sembra preoccupato ma, allo stesso tempo, fiducioso nelle forze della nuova amministrazione. "Il commissariamento è stato un atto politico illegittimo e doloroso, sia in senso metaforico che concreto: il comune adesso ha un debito enorme. L’AKP ha speso milioni di lire senza mai rientrare nel budget annuale e una parte di questi soldi – una parte veramente eccessiva! - è finita in visite ufficiali, pranzi, attività di intrattenimento per gli ospiti istituzionali".
In concomitanza con la spiegazione che Candan Badem ci fa della questione del debito di Tunceli, nella capitale Ankara il leader del partito repubblicano CHP Kemal Kılıçdaroğlu riceve un pugno in volto durante il funerale di un soldato caduto. Più tardi, in un kahve stretto e appartato – saranno 4 persone in tutto i clienti, più il barista – si commenta ogni titolo del notiziario alla tv con un sussulto. "Il leader del CHP è stato aggredito", un sussulto; "I nazionalisti del MHP dichiarano che se il leader del CHP non voleva essere aggredito, avrebbe potuto pensarci due volte prima di andare al funerale”, un altro sussulto; “I nazionalisti dichiarano inoltre che il sindaco di Tunceli Maçoğlu è un comunista e, quindi, il suo potere è illegittimo", il sussulto si trasforma in discussione. "Quelli dell’MHP non hanno niente da opporre al nostro sindaco", dice quasi urlando il più anziano del gruppo. "Il loro partito ruba e non dicono niente, anzi proteggono i ladri. Ma noi qua a Tunceli continueremo a lavorare duramente e con onestà. Lavoreremo con fede e con etica".
Per il giorno successivo, viene indetta anche a Tunceli una manifestazione a sostegno del leader del CHP.
Frustrazione e rabbia
Il Munzur è in piena. Il suo corso si snoda fra valli anguste, gole, montagne frastagliate di roccia nuda. Molti dei guerriglieri del PKK si nascondono in quest’area e, durante gli anni ‘90, il conflitto con lo stato si è svolto in maniera particolarmente cruenta proprio nell’area di Tunceli. La regione è popolata per la grande maggioranza da curdi aleviti.
"Quello di Fatih Memet Maçoğlu è populismo!". Non tutti, anche a sinistra, sono disposti a sostenere il nuovo sindaco. In un bar di Tunceli aperto fino a tardi si beve birra e rakı (grappa locale, ndr) un simpatizzante del partito filocurdo HDP non vede di buon occhio i risultati elettorali. "I problemi di Dersim (Tunceli in curdo, nda) non sono la terra o i servizi pubblici, come dice Maçoğlu. Il problema di questa terra è che lo stato ci bombarda e vuole cancellare la nostra identità di curdi".
Eppure, l’identità curdo-alevita dell’area sembrerebbe aver giocato a favore del comunista Maçoğlu. "Gli aleviti sono stati vittime delle politiche statali di assimilazione per decenni", afferma sempre il consigliere comunale Candan Badem. "Questo rende Dersim (Tunceli in curdo) un luogo di opposizione al governo. Ci sono due tradizioni che si mischiano e si rinforzano a vicenda: quella alevitica, appunto, e quella marxista". Due tradizioni che hanno forse un’origine comune: il massacro del 1937-1938.
Poco lontano dal municipio di Tunceli, un piccolo spiazzo verde accoglie la vista dall’alto dell’intera valle. È qui che si commemorano ogni anno gli eventi in cui migliaia di aleviti della zona hanno perso la vita mentre molti altri sono stati deportati nel resto della Turchia. "Si tratta di fatti dolorosi, di cui è difficile costruire una memoria storica condivisa", racconta il presidente della Federazione Europea degli aleviti di Colonia Yaşar Kaya, che da più di 25 anni cerca di far luce sul lascito di quel periodo. "C’è ancora un’ignoranza diffusa sul perché è importante ricordare il massacro del 1937-1938. Qui a Dersim siamo riusciti a istituire una giornata di commemorazione solo nel 2010 e vi partecipano comunque poche centinaia di persone. La realtà è che la sofferenza causata da quell’episodio è stata sfruttata dai gruppi più radicali di sinistra, anche aleviti, i quali hanno creato una retorica che vede questa regione come una zona ribelle e combattente. È pur vero, comunque, che lo stato continua a non riconoscere la nostra identità. Perfino chi fra gli aleviti compie fino in fondo i propri doveri, magari servendo nell’esercito, non riceve indietro gli stessi diritti che riceve il resto della popolazione. Ciò genera una sensazione di frustrazione e rabbia, che pervade tutti".
E da voi?
A questi sentimenti, comunque, sembra aggiungersi ora anche la speranza o, perlomeno, la curiosità per ciò che accadrà nel prossimo futuro. I risultati delle elezioni e la partecipazione della comunità alle vicende politiche danno l’impressione di trovarsi in una sorta di “Turchia all’incontrario”, dove l’egemonia dell’AKP viene apertamente sfidata “a sinistra” e dove è forte la volontà di lasciarsi alle spalle l’esperienza del commissariamento.
"Non sappiamo cosa succederà - ribadiscono nel kahve vicino al municipio - quello che è certo è che nessuno era contento del kayyum, che ha solo speso soldi inutilmente. Maçoğlu è un nome conosciuto ma, anche, c’è un grande senso di appartenenza agli ideali comunisti. La memoria dei fatti del ‘37-38 ha creato una tradizione di resistenza nella nostra comunità". Nonostante le controversie, dunque, prevale l’unità della popolazione. "E da voi, in Italia, come funziona?", chiede infine il gestore del locale, "esistono da voi i comunisti?".