Rottura delle relazioni diplomatiche, annullamento di tutti gli accordi economici e militari, riposizionamento di Ankara sullo scacchiere mediorientale. Di questo si parla in Turchia metabolizzando lo shock delle scorse settimane per la morte dei nove volontari turchi durante l'arrembaggio israeliano alla nave Mavi Marmara
Nei giorni immediatamente successivi all'attacco israeliano alla Mavi Marmara, l'imbarcazione che assieme ad altre stava tentando di forzare il blocco di Gaza, manifestazioni spontanee contro Israele e per la liberazione dei volontari arrestati hanno riempito le piazze di tutte le città della Turchia.
A Istanbul, dopo il corteo del primo giugno, i militanti pro-palestinesi hanno presidiato il consolato israeliano fino al tre maggio quando i volontari arrestati sono stati liberati. I 466 attivisti, tra cui trentuno greci, tre francesi e un americano, i feriti e i feretri degli attivisti uccisi sono arrivati ad Ankara a bordo di aerei messi a disposizione dell'esercito e del ministero della Sanità turchi..
Condanne a Israele sono arrivate da tutti i partiti turchi e le manifestazioni per la liberazione dei volontari arrestati hanno visto la partecipazione di tutti i segmenti della società, ma non vi è dubbio che i veri protagonisti delle mobilitazioni sono stati gli islamisti. La manifestazione più imponente è stata organizzata il cinque maggio, due giorni dopo i funerali dei nove volontari uccisi, quando più di diecimila persone hanno riempito Piazza Çağlayan a Istanbul per partecipare al meeting organizzato dall'islamista Saadet Partisi (Partito della Felicità) per ricordare i “martiri” della Mavi Marmara e chiedere la fine dell'embargo contro Gaza.
Il governo turco, fin dalle ore immediatamente successive all'attacco israeliano, si è attivato per chiedere la liberazione degli attivisti condannando quello che secondo il ministro degli Esteri Davutoğlu è stato un atto di “pirateria internazionale”. Ora che i volontari sono stati liberati la Turchia vuole che Israele acconsenta all'istituzione di una commissione di inchiesta indipendente sull'attacco alla Mavi Marmara come proposto dal segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon al primo ministro turco Erdoğan e all'omologo israeliano Netanyahu sabato scorso. Questa commissione dovrebbe essere composta da cinque membri tra i quali l'ex primo ministro neozelandese Geoffrey Palmer, un rappresentate turco e uno israeliano. “Se gli israeliani credono che siano stati i passeggeri della nave a commettere un crimine, se sono convinti di aver agito secondo diritto, allora che dichiarino che accettano l’istituzione di questa commissione di inchiesta. Se non lo fanno allora vuol dire che hanno qualcosa da nascondere”, ha dichiarato Davutoğlu.
Israele, però, domenica scorsa ha rispedito al mittente la proposta di Ban Ki-Moon. “Israele è uno stato democratico e ha le capacità e il diritto di svolgere un'indagine autonoma” ha sottolineato l'ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Michael Oren secondo quanto riportato dal canale americano Fox News. Per Tel Aviv i primi ad attaccare sarebbero stati gli attivisti della Mavi Marmara. “Una nave organizzata da violenti terroristi turchi”, ha dichiarato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Israele accusa Hüseyin Oruç, uno dei dirigenti della Fondazione per l’Aiuto Umanitario, di sostenere Al Qaida e Hasan Ayancı, portavoce della fondazione in Medio Oriente, di essere tra i finanziatori della Jihad islamica palestinese. Hüseyin Oruç, in una conferenza stampa a Istanbul ha risposto con durezza alle accuse rivoltegli da Israele dichiarando: “Come se l’attacco terrorista israeliano contro i civili e attivisti per i diritti umani non fosse abbastanza ora queste persone vengono diffamate. Questa è una vile campagna denigratoria basata su menzogne.”
Intanto il governo turco che il primo giugno in risposta all'attacco israeliano aveva annunciato la cancellazione di tre esercitazioni militari congiunte, ritirato la under-18 di calcio che doveva giocare contro la nazionale israeliana e richiamato l'ambasciatore turco in Israele ad Ankara, ha annunciato che se Tel Aviv non accetterà l'istituzione di una commissione di inchiesta sul massacro della Mavi Marmara tutti gli accordi militari e commerciali tra i due paesi verranno sospesi. “Se da Israele arriverà l’ok alla commissione di inchiesta internazionale come proposta dalle Nazioni Unite e se non ne ostacolerà le indagini allora le relazioni tra Turchia e Israele andranno in modo diverso, ma se continuano a rifiutarsi di collaborare, non può essere presa in considerazione nessuna normalizzazione delle relazioni con Israele” ha dichiarato il ministro degli Esteri turco Davutoğlu il 6 giugno scorso.
La cancellazione degli accordi commerciali e militari con Tel Aviv sono una rivendicazione della sinistra turca fin dalla guerra in Libano del 2006. “Noi compriamo una parte dei nostri armamenti da Israele e in cambio gli consentiamo di esistere come stato pirata nel Medio Oriente. Se rompiamo questo circolo vizioso possiamo mettere un freno alle crudeltà che Israele impone al popolo palestinese”, afferma Yavuz Önen, portavoce della Küresel Barış ve Adalet Koalisyonu (Coalizione per la Giustizia e la Pace Globale), coordinamento di collettivi e organizzazioni contro la guerra con sede a Istanbul.
E non si tratta di accordi di poco conto considerando che secondo quanto dichiarato dal ministro per il Commercio e l’Industria Zafer Çağlayan la Turchia esporta in Israele beni per 1,5 miliardi di dollari l’anno. Grazie all’Accordo per la cooperazione militare sottoscritto dai due paesi nel 1994 è l’industria bellica il settore nel quale la cooperazione tra i due paesi è più forte. L’anno scorso la Turchia ha comprato dalla Israeli Aerospace Industry 10 Henron, aerei senza pilota impiegati nelle operazioni militari contro la guerriglia curda in Nord Iraq, spendendo 136 milioni di dollari. Inoltre, secondo l’agenzia turca Bianet, ad oggi la Turchia avrebbe firmato con aziende israeliane contratti per il riammodernamento del proprio arsenale militare per quasi 2 miliardi di dollari.
Se da un punto di vista economico per la Turchia un congelamento delle relazioni economiche e diplomatiche con Israele comporterebbe alcuni svantaggi, dal punto di vista geopolitico invece il braccio di ferro con Tel Aviv è utile al paese anatolico per conquistare la fiducia dei paesi arabi e musulmani, un elemento indispensabile per ritagliarsi quel ruolo di potenza regionale a cui ambisce da tempo. In questa direzione sembra andare la proposta turco-brasiliana sul nucleare iraniano e la disponibilità turca a mediare tra Al-Fatah e Hamas. Da Gaza l’11 novembre è arrivato il primo ok alla proposta: “Accoglieremo positivamente qualsiasi proposta proveniente dalla Turchia tesa all’unità delle fazioni palestinesi” ha dichiarato Ismail Haniye, leader del movimento islamista durante un'intervista al canale turco Ntv.