E' stato arrestato ed è a processo negli Stati Uniti Reza Zarrab, businessman iraniano con doppia cittadinanza turca. Un caso intrecciato alle vicende interne e internazionali della Turchia negli ultimi anni

17/11/2017 -  Fazıla Mat

A oltre 16 mesi dal tentato colpo di Stato, la Turchia continua ad assistere quasi ogni giorno a centinaia di processi contro quanti a vario titolo sono accusati di avere legami con il movimento di Fethullah Gülen, la figura che secondo il governo turco sarebbe dietro al golpe. Ma oltreoceano, negli Stati Uniti, il prossimo 27 novembre si terrà un altro processo che sta mettendo Ankara in profonda agitazione.

Il processo a Reza Zarrab

Si tratta del processo contro il commerciante d’oro Reza Zarrab, businessman iraniano con doppia cittadinanza turca, meglio noto in Turchia con il nome Rıza Sarraf. L’uomo di 33 anni è stato arrestato nel marzo 2016 a Miami, negli USA, dove si era recato in vacanza assieme alla famiglia.

Zarrab è accusato di aver violato le sanzioni degli Stati Uniti rivolte all’Iran. Nello specifico di avere facilitato la transazione di centinaia di milioni di dollari a favore dell’Iran e di altri enti iraniani soggetti a sanzione tra il 2010 e il 2015, utilizzando documenti falsi e società di facciata. Altre accuse includono attività cospirative per riciclare denaro e frode bancaria. Il businessman, che si dichiara innocente, ha chiesto di essere rilasciato proponendo una cauzione di 50 milioni dollari.

La richiesta di Zarrab è stata però respinta dall’ex procuratore per il distretto meridionale di New York, Preet Bharara. Nel motivare la propria decisione, l’ex procuratore ha specificato che Zarrab “era riuscito a uscire di prigione quando era in Turchia grazie al proprio patrimonio e potere”. Secondo Bharara, considerata la pena carceraria pluridecennale prevista da un’eventuale condanna, il rilascio avrebbe comportato il rischio della sua fuga.

Cos’era successo in Turchia?

L’episodio della detenzione di Zarrab in Turchia, descritto dall’ex procuratore nel voluminoso atto d’accusa sul businessman turco-iraniano, risale al 2013. Alcune operazioni di polizia svolte tra il 17 e il 25 dicembre di quell’anno sconvolsero il governo del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) e una cerchia di uomini d'affari vicini al partito. In una delle operazioni furono coinvolti anche il figlio dell’ex ministro dell’Interno Muammer Güler e quello dell’Economia Zafer Cağlayan, il direttore della Halkbank Süleyman Arslan e lo stesso Reza Zarrab. La polizia sequestrò nelle loro abitazioni oltre 17 milioni di dollari e Zarrab, assieme agli altri, fu arrestato.

L’accusa per il giovane miliardario era di aver pagato laute tangenti e di aver costituito un’organizzazione a delinquere. I ministri in questione, i loro figli e il direttore della Halkbank erano accusati di aver ricevuto regali e soldi da parte di Zarrab in cambio di agevolazioni. Lo scandalo fu tale che 3 ministri (il ministro dell’Ambiente e dell’Urbanistica Erdoğan Bayraktar oltre ai ministri già citati) dovettero presentare le proprie dimissioni. Anche Egemen Bağış, ministro per gli Affari europei, fu coinvolto nelle indagini e venne sollevato dall’incarico. Lo stesso giorno la procura ordinò anche il fermo di Bilal Erdoğan, figlio del presidente (allora ancora premier) Tayyip Erdoğan, ma la polizia si rifiutò di eseguire l’ordine.

A partire da quel momento il rapido susseguirsi degli eventi ha dato alla vicenda un nuovo corso, avviando ciò che nei mesi seguenti sarebbe diventato uno scontro senza quartiere tra l’AKP e il movimento di Gülen. I procuratori che avevano iniziato le operazioni - e che risultavano essere vicini all’organizzazione gülenista, dichiarata ormai terroristica - sono stati rimossi - e poco dopo sono diventati fuggitivi perché ricercati dalla polizia. Centinaia di magistrati e membri delle forze dell’ordine, accusati di avere legami con la stessa sono stati destituiti, ricollocati in altre sedi o imprigionati.

Zarrab è stato rilasciato dopo essere rimasto in prigione per circa 40 giorni. Le accuse a lui rivolte, come pure agli altri imputati, sono cadute e il caso archiviato. E quasi a dimostrare che la bufera era completamente passata, nel 2015 Zarrab ha ricevuto un premio per il miglior commerciante di gioielli del paese, consegnatogli direttamente dal vice ministro turco Numan Kurtulmuş.

La dimensione politica del processo

La bufera è invece tornata, ma l’inizio del processo a Zarrab negli USA è stato posticipato più volte. Dopo il suo arresto nel marzo 2016, si sono verificati importanti sviluppi sul caso, mentre da una parte il traffico diplomatico tra Ankara e Washington diventava sempre più intenso. Il primo di questi sviluppi è la rimozione dall’incarico - nel marzo di quest’anno - del procuratore Preet Bharara - dopo che questi si era rifiutato di dimettersi su richiesta del presidente USA Donald Trump. Nei mesi in cui si è occupato del caso, Bharara si era dovuto difendere - negando ogni implicazione - dalle accuse circolate e amplificate dai media turchi pro-governativi di avere avuto rapporti con Gülen. A riguardo il presidente Erdoğan aveva affermato che sia Bharara che il giudice del processo Richard Berman erano stati “ospiti” del movimento gülenista in Turchia.

Sempre nel marzo di quest’anno Zarrab ha aggiunto al suo team di difensori Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York e stretto collaboratore di Trump, e Michael Mukasey, già ministro della Giustizia durante l’amministrazione di George W. Bush. Come ha specificato il New York Times, Zarrab avrebbe ingaggiato i due legali per indagare “la possibilità di una soluzione diplomatica al proprio caso, al di fuori dei normali canali di patteggiamento”. Lo stesso Mukasey ha definito un tale tentativo come la ricerca di “una soluzione del caso da Stato a Stato”.

L’assunzione dei due difensori da parte di Zarrab presenta non pochi elementi di conflitto di interesse, dal momento che Giuliani e Mukasey sono legati a degli studi legali che rappresentano anche alcuni istituti finanziari che sono considerati tra le parti lese del processo. Inoltre, lo studio Greenberg Traurig a cui è legato Giuliani, ha tra i propri clienti anche lo Stato turco. Tuttavia, lo scorso giugno, il giudice del processo Richard Berman ha deciso che i due legali possono rappresentare Zarrab, perché quest’ultimo è pienamente consapevole dei legami dei difensori prescelti, sebbene la questione del conflitto “debba continuare ad essere monitorata da vicino”.

Il processo Zarrab si allarga a nuovi imputati

Tuttavia a marzo, l’arresto del vice-direttore della Halkbank Mehmet Hakan Atilla, mentre era in partenza da New York per rientrare in Turchia, ha lanciato un nuovo segnale d’allarme per il governo turco sulla direzione assunta dal processo Zarrab. Altri due mandati di arresto emanati a settembre dalle autorità giudiziarie USA hanno mandato Ankara su tutte le furie. Nel mirino due nomi eccellenti delle maxi operazioni del 2013, l’ex ministro di Economia turco Zafer Çağlayan e l’ex direttore della Halkbank Süleyman Arslan, più Levent Balkan, ex vicedirettore della stessa banca e responsabile delle transazioni internazionali. L’accusa per tutti e tre è di aver compiuto operazioni illegali e ricevuto tangenti. “Queste sono tutte mosse politiche che gli USA dovrebbero rivedere”, ha affermato Erdoğan commentando il mandato d’arresto per l’ex ministro del suo governo. “Sono operazioni, queste, che puzzano terribilmente”, ha aggiunto il presidente. Attualmente il processo ha nove imputati, di cui due – Zarrab e Atilla – agli arresti.

Rapporti Turchia-USA mai così problematici

L’elezione di Trump alla Casa Bianca un anno fa, era stata accolta da Ankara con grande entusiasmo. In particolare, il governo turco confidava che la nuova amministrazione statunitense avrebbe facilitato l’estradizione - negata da quella precedente di Barack Obama - di Fethullah Gülen, residente negli Stati Uniti dal 1999. Allo stesso modo sperava che il rifornimento di armamenti di Washington ai militanti curdi in Siria sarebbe cessato. Ma niente di tutto ciò è avvenuto. Al contrario, i rapporti sono diventati sempre più tesi.

I rapporti tra le due amministrazioni restano molto problematici anche per gli arresti di tre impiegati turchi che lavoravano nelle missioni USA in Turchia. Una crisi che è sfociata in una reciproca sospensione di visti. C’è poi l’indagine federale sui bodyguard del presidente Erdoğan, che avevano picchiato i manifestanti durante la visita del capo di Stato turco in America e che non ha per niente fatto piacere al presidente turco. Infine la questione dei cittadini americani tenuti in prigione in Turchia, ben dodici secondo il New York Times, che non esita a definirli “ostaggi politici”. Erdoğan ha anche lasciato intendere che considera uno di questi prigionieri, il pastore protestante Andrew Brunson, in carcere da oltre un anno perché ritenuto “una minaccia alla sicurezza pubblica”, come un possibile elemento di scambio con Gülen.

La visita della scorsa settimana realizzata dal premier Yıldırım negli USA per trovare una soluzione ai vari problemi tra i due Stati sembra aver prodotto esiti molto incerti. Subito prima delle visita del primo ministro, l’ambasciata USA di Ankara ha annunciato la ripresa - in maniera ridotta - dei servizi dei visti, in “risposta alle rassicurazioni” ricevute dalla parte turca su future inchieste che potrebbero riguardare i dipendenti delle missioni americane in Turchia. Ma le autorità turche hanno smentito di aver dato simili rassicurazioni, dimostrando ancora una volta che i nodi esistenti tra le parti non sono per niente facili da sciogliere. La stratificazione di tutti questi problemi va però considerata insieme alle dichiarazioni che potrebbe fare Zarrab il prossimo 27 novembre, quando inizierà il processo. E a tutte le implicazioni che ne potrebbero derivare per la Turchia.