Veli Küçük, dal web

Nell'attesa e controversa sentenza per il processo "Ergenekon", il caso giudiziario più importante nella storia recente della Turchia, ha ricevuto la pena più pesante: due ergastoli. Veli Küçük, generale di brigata in pensione, rappresenta per molti il simbolo dello "stato profondo", sempre a cavallo tra politica, spionaggio, terrore e criminalità. Un ritratto

13/08/2013 -  Matteo Tacconi

La condanna più pesante, in Ergenekon, il caso giudiziario più importante della recente storia turca, se l’è presa Veli Küçük: due ergastoli. Non sorprende, dal momento che quest’uomo è stato da subito ritenuto, da parte della magistratura, al vertice della cricca intenta a orchestrare la capitolazione del governo di Recep Tayyip Erdoğan.

La qualifica del condannato, generale di brigata in pensione, indurrebbe a credere che lo schema principale del processo Ergenekon, così come raccontato dai media, sia quello della contrapposizione tra il laicismo e l’Islam politico, le due anime conflittuali della Turchia, protagoniste di dure battagli politiche e giudiziarie in questi anni. In parte è vero, considerando che sono stati condannati diversi esponenti della casta militare, storica guardiana dell’eredità laica di Atatürk, il fondatore della Turchia moderna.

Ma non si può ridurre la portata del caso a questa sola dimensione, se non altro perché è la stessa biografia di Veli Küçük a dire che il caso Ergenekon, pilotato o meno che sia stato, è anche una cartina di tornasole di quello “stato profondo”, intreccio tra nazionalismo, laicismo militante, servizi e ambienti criminali, che viene periodicamente evocato in Turchia.

È successo con Ergenekon (tra i condannati ci sono anche alcuni mafiosi), con l’omicidio di Hrant Dink nel 2007, con gli attentati contro i cristiani e più indietro nel tempo con lo scandalo Susurluk, nel 1996. Ebbene, in tutti questi casi Veli Küçük è stato tirato in ballo. È lui l’uomo chiave dello stato profondo. O derin devlet, come lo chiamano i turchi.

Quello strano incidente a Susurluk

Partiamo dal 1996. Dal 3 novembre del 1996, quando a Susurluk, villaggio dell’Anatolia centro-occidentale, un’auto si schiantò a folle velocità contro un autotreno. Non fu uno scontro come tanti. A bordo dell’auto non c’erano persone qualunque. Huseyn Kocadağ e Abdullah Catli, morti sul colpo assieme alla fidanzata di quest’ultimo, erano rispettivamente l’ex capo della polizia di Istanbul e un esponente dei Lupi grigi, gruppo dell’ultranazionalismo dedito anche al narcotraffico. Il quarto passeggero, Sedat Bucak, sopravvissuto, era un parlamentare eletto nel sudest del paese.

Perché un poliziotto, un politico e un estremista viaggiavano insieme? Ne seguì un’inchiesta che dimostrò come i tre fossero tra i garanti di un patto fondato sulla repressione dell’insurrezione curda, scoppiata a metà degli anni ’80. L’obiettivo era seminare il terrore, andando oltre quello che già lo stato, alla luce del sole, faceva. A questo proposito Kocadağ aveva promosso unità speciali di polizia impiegate nella repressione, mentre Bucak controllava una milizia paramilitare formata da 20mila uomini. Catli e i Lupi grigi venivano impiegati in attentati e scorribande, ottenendo in cambio una pressoché piena capacità di manovra nel fiorente comparto del traffico di eroina.

E Veli Küçük? Che c’entra in tutto questo? Le indagini, oltre a far luce sull’esistenza di una struttura catacombale assai ramificata composta da militari, politici, membri dei servizi e personaggi dell’ultranazionalismo, rivelarono che il generale era a capo della Jitem, nucleo segreto dell’antiterrorismo considerato responsabile di diversi massacri nei villaggi curdi. Uno dei segmenti più importanti dello stato profondo, termine che fu battezzato proprio in quel periodo.

Küçük ha sempre negato l’esistenza della “prima” Jitem (la “seconda” è quella legalizzata nel 2005), sebbene in molti abbiano testimoniato in senso contrario. È il caso della madre di Oğuz Yorulmaz, poliziotto condannato per lo scandalo Susurluk e ucciso in circostanze poco chiare nel 2005 in un bar di Bursa. La donna ha sostenuto che Küçük avesse commissionato al figlio decine di omicidi.

In ogni caso, Veli Küçük non venne condannato in relazione allo scandalo Susurluk. I militari coinvolti furono giudicati da un’apposita commissione dell’esercito e non caddero troppe teste.

Il caso Dink

Il nome di Küçük, nel corso degli anni, è apparso in ogni vicenda a sfondo ultranazionalista. Tra questi gli attentati ai cristiani di Malatyia nel 2007, sempre in quell’anno, l’omicidio del giornalista di origine armena Hrant Dink, direttore del periodico Agos, nel 2007. Diverse ricostruzioni giornalistiche hanno indicato che il generale, feroce critico di Dink, tanto che giunse a mo’ di sfida a sedersi nell’aula del tribunale dove il giornalista fu processato sulla base dell’offesa alla turchità previsto dall’articolo 301 del codice penale (ora parzialmente modificato), sia stato uno dei mandati dell’assassinio.

Yavuz Arslan, autore di un libro sul caso Dink pubblicato due anni fa, ha riferito che l’ex direttore di Agos era seriamente preoccupato dalle reazioni rabbiose di Küçük verso i suoi articoli e dalle minacce che lo stesso generale gli avrebbe inviato, secondo i membri della famiglia del giornalista turco-armeno.

Ironia della sorte, nel 2009, dopo la scoperta della rete Ergenekon e il conseguente arresto di Küçük un’inchiesta giornalistica svelò che probabilmente il generale, strenuo difensore della supremazia del ceppo turco sulle minoranze, avrebbe proprio origini armene. In epoca ottomana l’85% degli abitanti del piccolo villaggio anatolico dov’è nato era di etnia armena e i registri delle imposte dell’epoca dimostrerebbero l’appartenenza della famiglia di Küçük a questo gruppo.

Ultimo atto: Ergenekon

Veniamo infine alla condanna recentemente inflitta, che salvo decisioni contrarie in appello chiarisce e chiude al tempo stesso la “carriera” di Küçük all’interno dello stato profondo. Ma restano dei misteri che la stessa dinamica del processo, non sempre chiara, non ha decodificato del tutto.

Qualche dubbio affiora in merito all’attendibilità della gola profonda che ha raccontato ai togati il ruolo del generale in Ergenekon, la cui origine risalirebbe alla metà degli anni ’90. Si tratta di Tuncay Güney, controverso personaggio, con trascorsi nel giornalismo e nello spionaggio. Negli anni ’90 infiltrò la Jitem e, così ha riferito, venne a conoscenza delle regole dello stato profondo e del generale Küçük, nella cui abitazione, nel corso di una perquisizione, è stato rinvenuto l’archivio di Cem Ersever, uomo di punta della Jitem, assassinato nel 1993 dopo che, dimessosi dalle forze armate, aveva iniziato a spifferare qualche segreto di troppo. Almeno così si ritiene.

Resta da capire anche l’entità del legame tra Küçük e Sedat Peker, colui che secondo i più è il capo dei capi della mafia turca. Anch’egli figurò a suo tempo tra i tanti personaggi presenti nei faldoni del caso Ergenekon. Si dice che abbia servito Küçük nell’esercito negli anni ’90 e che il generale, così ha scritto tempo fa la European Stability Initiative, abbia spesso lanciato proclami appoggiandosi a www.ozturkler.com, sito vicino alla galassia dell’ultranazionalismo e controllato dallo stesso Peker. Ergenekon ha colpito anche lui: dieci anni di carcere. 

 

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