Diyarbakır

Mesut Yegen insegna sociologia alla Middle East Technical University di Ankara. Con lui tentiamo un bilancio dello stato della questione curda a quasi due mesi dal viaggio di Erdogan a Diyarbakir. Un'intervista

27/10/2005 -  Fabio Salomoni

Possiamo cominciare dal viaggio a Diyarbakir di Erdogan, cercarne di farne una valutazione, perchè ci è andato?

La mia interpretazione è questa: per quanto ho potuto comprendere, all'inizio di questa estate tutti i principali attori coinvolti nella questione curda, lo stato turco, gli USA, Barzani e Talebani, PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e DEHAP (Partito Democratico del Popolo), hanno modificato la loro posizione. In precedenza, a partire dall'arresto di Ocalan e dal cessate il fuoco proclamato dal PKK, si era formato una sorta di status quo non detto. A partire da maggio sono arrivati segnali che questo status quo si stava incrinando.
Ciascuno di questi attori ha perciò sentito il bisogno di modificare la propria posizione. Ad esempio il PKK ha annunciato la ripresa delle armi. Perchè lo abbia ha fatto non lo so,.......quello che è evidente che dal mese di maggio abbiamo assistito ad un cambiamento di posizione degli attori principali Erdogan è andato a Dyarbakir ed ha fatto una dichiarazione importante, cruciale, si perchè è indubbio che si sia trattato di una dichiarazione importante, la prima nella storia della Turchia. Importante non perchè ha riconosciuto i curdi ma perchè ha riconosciuto l'esistenza di un problema curdo ed anche gli errori che lo stato ha commesso in passato, sono due le dimensioni importanti. Rispetto a quanto fatto in passato da Demirel che aveva riconosciuto la realtà curda sono differenze cruciali.
Perchè lo ha fatto? Credo che da parte di Erdogan ed anche di settori importanti dell'apparato statale ci sia stata la consapevolezza che la questione curda si stesse approfondendo, che stessero crescendo e rafforzandosi le possibilità di uno scontro etnico e del pericolo che esso rappresenta.. Lo si può dedurre non solamente dalle parole di Erdogan ma anche da quelle del generale Ozkok, Capo di Stato Maggiore e del Presidente della Repubblica Sezer: c'è il rischio di uno scontro etnico generalizzato e questa è una cosa estremamente negativa. E' anche evidente che esiste un settore che vorrebbe questo tipo di scontro etnico, che vorrebbe usare questa possibilità per fermare il percorso di integrazione europea del paese. L'esistenza di questo settore è apertamente dimostrata dal fatto che hanno cominciato a circolare avvertimenti del tipo "Attenzione anche da noi può sbucare un Milosevic".
Dietro il viaggio di Erdogan ci sono quindi motivazioni di ordine nazionale ed internazionale: cambiano le posizioni degli attori coinvolti e cresce la possibilità di uno scontro etnico.

Fino allo scorso agosto Erdogan aveva mantenuto un atteggiamento molto più defilato, prudente sulla questione curda....
Anzi aveva assunto posizioni anche più conservatrici, più primitive, per esempio in occasione di un viaggio in Russia facendo affermazioni del tipo " Se si dice che un problema non esiste, semplicemente non esiste". Certo se il cambiamento è solo frutto di un ripensamento personale oppure se in esso hanno influito l'attivismo ed i progetti americani sulla regione od altro ancora, questo non lo so dire. Tutto è possibile

Il viaggio di Dyarbakir aveva creato un clima di ottimismo e di grandi aspettative. Ed invece, all'improvviso la violenza come codice prevalente di comunicazione politica è tornata a farsi sentire, esplsione di mine, operazioni militari, morti, funerali, rabbia....cosa è successo?
Io credo che se noi confrontimo il significato che alcuni termini, scontro, cessate il fuoco, assumono in Turchia, con parametri europei non capiremo gran che. Ad esempio in Spagna la questione del cessate in fuoco dell'Eta oppure in Irlanda dell'Ira si muove su di un piano molto reale. Io credo che in Turchia al di là della realtà concreta sia importante dichiarare le intenzioni, è importante farle conoscere: certo gli scontri e le operazioni militari possono continuare ma le intenzioni sono state apertamente dichiarate. Io la vedo in questo modo: il PKK , nonostante il perdurare degli scontri, ha dichiarato apertamente: io posso fermare gli scontri, come intenzione. Il problema più importante sta all'interno dello stato: c'è un settore che vuole arrivare ad uno scontro frontale continuando le operazioni militari. C'è un'altra parte però, e lo vedo nelle dichiarazioni del Presidente Sezer, che ha molto chiaramente presente la possibilità di uno scontro etnico ed anche della sua insostenibilità per il paese.
Questa è un elemento molto importante perchè fino ad oggi nella questione curda l'approccio dominante è stato quello di essere pronti ad affrontare lo scontro, qualunque fosse il prezzo. Credo quindi che sia necessario guardare alle intenzioni. Certo il PKK ha dichiarato il cessate il fuoco ma continua negli scontri, ma ha prolungato il cessate il fuoco fino al 3 ottobre. Nonostante gli scontri continuino, credo si sia entrati in una logica del cessate il fuoco.
Lei recentemente ha scritto della necessità di dare vita ad un nuovo linguaggio politico, lontano da quello del PKK. A cosa faceva riferimento?
Quello che ho voluto dire è questa: la questione curda, come questione politica e sociale, si trova imprigionata da tempo in una logica perversa, una logica che vede il problema curdo come parte di un complotto internazionale, come parte di un complotto ordito dall'Europa sotto la maschera della democratizzazione. Questa situazione ha reso più difficile il compito per i curdi. Questa logica del complotto potrebbe continuare per anni ma io credo che non si debba perdere tempo intorno a queste cose, credo che esisterà sempre uno spazio per questo genere di atteggiamenti e non possiamo farci niente. Di fronte a questa realtà l'unica via di uscita è ricodificare la questione curda nei termini della questione democratica, è necessario pensarla come parte del processo di democratizzazione della Turchia e credere che si possa risolvere all'interno del processo europeo. Per quanto riguarda il movimento curdo credo debbano essere questi i punti base per un programma politico: il problema curdo è un problema della democratizzazione della Turchia, che non mira a modificare i confini politici. Bisogna dichiarare apertamente che si è rinunciato a costruire uno stato diverso, non è probabilmente mai stata questione ma bisogna sgombrare il campo dalle ambiguità e dagli equivoci.
Stabiliti questi punti io penso si debba andare anche oltre, essere più radicali: muoversi per rafforzare le amministrazioni locali, arrivare all'uso del curdo nell'insegnamento, chiarire che il popolo della Repubblica turca non è omogeneo. Quello che in sostanza voglio dire è che le opposizioni curde devono accettare di fare politica all'interno delle norme delle democrazie occidentali, europee. Da molto tempo la politica curda, soprattutto negli ultimi 15 anni con le azioni del PKK si è in qualche modo "medio-orientalizzata". E' ora che essa si appropri dell'eredità politica europea.
Chi, all'interno del mondo politico curdo, è in grado di guidare una trasformazione in questo senso?
Intanto io credo che sia evidente l'impossibilità di recidere i legami con il PKK. Invece ci si deve convincere della necessità di "politicizzare" il PKK, di attirarlo cioè nella sfera della politica, farne un attore del processo di democratizzazione. Insieme a questo credo sia importante l'azione della sinistra turca, nel favorire questo processo. Un altro elemento prioritario è la riforma del sistema elettorale e dello sbarramento del 10% per l'ingresso al parlamento, questo per permettere che ci siano anche le voci curde a discutere della questione curda, per dimostrare l'accettazione di queste voci.
Lei crede che l'AKP da solo riesca a fare fronte al compito di affrontare la questione curda, oppure si rende necessario un fronte più ampio?
No, non credo sia possibile. Se all'interno del CHP crescesse l'opposizione di sinistra in grado di creare una politica alternativa rispetto a quella della leadership attuale oppure un nuovo partito, allora credo potrebbero essere d'aiuto e rafforzare l'opera di Erdogan. Non credo che l'AKP ce la possa fare da solo, al contrario rischia di rimanere schiacciato da questo compito. Le sue possibilità di riuscita sono legate poi da un lato al discorso europeo, se le cose si mettessero al meglio su questo fronte anche il partito si potrebbe rafforzare e dall'altro alla possibilità che il movimento curdo confluisca nel movimento socialdemocratico del paese.
Per quanto riguarda il PKK, è realmente in grado di compiere questa mutazione?
Credo che lo possa fare, anche perchè credo che il PKK come attore regionale non abbia futuro, sempre che gli Stati Uniti non abbiamo altri progetti segreti su di esso.e questo non lo possiamo sapere. Per il momento credo che per un organizzazione come il PKK sul lungo periodo non ci sia posto nel Medio-Oriente.
Certo in Turchia non ci sono esperienze precedenti di legalizzazione di organizzazioni para-militari ma credo ci si possa riuscire. Magari con un condono, che non comprendesse i più alti dirigenti dell'organizzazione, credo che questa potrebbe essere una strada percorribile per la Turchia. Un condono generalizzato invece che coinvolga anche Ocalan credo sia impensabile.
Gli ultimi avvenimenti però farebbero pensare che il PKK sia invece impegnato proprio su questo fronte..
E' vero. Ci sono due possibilità: la prima è che il PKK si sia staccato dalla questione curda e sia completamente impegnato nella questione Ocalan, questo è possibile. Se così fosse sarebbe una situazione tragica, un organizzazione che dice di agire in nome del popolo curdo spende tutte le sue energie per vedere riconosciuto il ruolo di unico rappresentante al suo leader in carcere. Io credo però che se il PKK insistesse su questa strada, spero non sia così, ad impegnare le sue energie su questo obbiettivo, arriverebbe ad allontarsi dalla questione curda. Negli ultimi 5/6 anni il PKK non ha organizzato nessuna inziativa, per esempio in difesa dei diritti elementari dei curdi, per questo io credo che se dovesse insistere sulla carta Ocalan si troverebbe nel lungo periodo in una situazione di isolamento.
Abbiamo parlato dei compiti che spettano alla politica. Per quanto riguarda le responsabilità dello stato?
Credo che i principali partiti politici, alcune organizzazioni come la TUSIAD (Confindustria), i sindacati, ed anche lo stato maggiore debbano fare una dichiarazione di questo tipo, così come ha fatto Erdogan: esiste una questione curda e la risolveremo. Se il cuore dello stato facesse questo tipo di dichiarazione sarebbe sufficiente a far scendere la tensione, perchè darebbe un messaggio ai curdi e soprattutto ai turchi, perchè ritengo che il messaggio più urgente lo si debba mandare ai turchi: non c'è bisogno di preoccuparsi, la questione curda è una questione che si può risolvere senza sconvolgere il paese, questo genere di messaggi deve mandare lo stato.
Se non sbaglio la TUSIAD ha appoggiato il discorso di Erdogan a Dyarbakir..
Certo ed è importante che questo appoggio si allarghi, coinvolgendo anche i sindacati per esempio, è questa la strada. Anche l'Unione Europea poi dovrebbe dichiarare che la questione curda è la questione della democrazia e si può risolvere in questo quadro, magari offrendo il proprio sostegno politico e economico.
Appunto, il ruolo dell UE....
Sappiamo che la UE non dispone di una soluzione per risolvere questo problema, ma per quanto posso vedere la UE in ogni paese crea le condizioni oppure si adopera per farlo, per la discussione ed il dibattito su questioni di questo tipo, etno-politico, in Romania, in Bulgaria. La UE spinge perchè le questioni vengano a galla e poi ogni paese in base alle proprie tradizioni politiche, alle condizioni storiche trova una soluzione. Se la UE desse un appoggio solo a questo livello io credo basterebbe per far scendere la tensione
Ha scritto che l'adesione alla UE costituisce una seconda imperdibile occasione per la democratizzazione del paese, persa quella degli anni '70 con il governo Ecevit...
Assolutamente si, di più credo che se la UE non avesse gettato l'ancora sulle coste turche ora la Turchia non sarebbe altro che un gendarme degli Stati Uniti nella regione, altro non potrebbe essere. Sarebbe guidata da un elitè più autoritaria e conservatrice.
Nel breve periodo quali novità ci potrebbe essere sulla questione curda?
In primo luogo novità sul fronte della legalizzazione del PKK, poi con i fondi della UE un lento miglioramento della situazione del Sud-Est, delle condizioni economiche, del mercato del lavoro. Infine si tornerà a parlare dei diritti culturali e della questione dell'istruzione in lingua curda.

Si riparlerà quindi dell'uso del curdo nelle scuole?
Sicuramente, del resto non sarebbe possibile altrimenti secondo me. Il dibattito sulla questione curda si farà delicato proprio sul tema dell'istruzione nella lingua madre, e non sulla questione dei confini o dell'autonomia delle amministrazioni locali. Il problema delicato, vero, è l'istruzione in curdo.
Ma quali sono le rivendicazioni del movimento curdo?
Questa è una domanda importante. In questo senso nè il PKK nè il DEHAP ci aiutano molto a capire. Noi non sappiamo nulla di quello che vogliono i curdi, hanno di solito assunto un atteggiamento pragmatico, a volte hanno parlato di autonomia politica totale, altre volte hanno criticato il kemalismo, di confederazione......
Hanno un programma politico?
No, purtroppo no e quando parlavo della necessità di attirare la politica curda nell'alveo della tradizione europea, di questo parlavo. I curdi devono, scegliendo la forma del partito, della conferenza o altro, avere la possibilità di discutere di che cosa vogliono e di farlo liberamente.
In questo caso io credo che l'opzione della separazione raccoglierebbe ben pochi consensi e per molteplici ragioni: l'integrazione economica in corso tra le diverse regioni del paese, l'elemento islamico comune, la presenza massiccia di comunità curde nelle regioni occidentali, per tutte queste ragioni credo che la richiesta della separazione non troverebbe molti sostenitori. Credo anche però che per risolvere la questione curda non sia sufficiente un riconoscimento sul piano dei diritti individuali. Secondo me, la soluzione passa solo attraverso il riconoscimento di diritti a livello collettivo. Sarò più chiaro, dichiarare ed accettare che i curdi sono un popolo diverso, che i curdi sono diversi dai turchi, che non gli assomigliano, questo bisogna accettare. E credo che un passo simile non sia troppo difficile. Se poi si eliminassero completamente gli ostacoli alle trasmissioni radio-televisive in curdo, non un'ora alla settimana come accade ora, si lasciassero le radio-televisioni locali trasmettere liberamente e si rendesse praticabile la strada dell'istruzione in curdo, allora questi sarebbero passi che credo possano far abbassare la tensione e rafforzare l'integrazione tra turchi e curdi.
A proposito della debolezza programmatica, è un elemento che colpisce, a volte sembra che il movimento curdo si muova ancora nel solco della tradizione della rivolta...
Si, purtroppo è così. Ha realizzato una sintesi tra le forme di guerrigilia di stampo sudamericano e le antiche rivolte curde. Veramente, in 15/20 anni non si è prodotto nemmeno un vero patrimonio intellettuale. Per esempio la questione dell'istruzione nella lingua madre: vogliamo l'uso del curdo per i nostri figli alla scuola materna, fino all'università oppure solo all'università? Sono tutte cose che si possono e devono discutere...Una debolezza programmatica che non è legata solamente alle pressioni subite ma fondamentalmente legata alla responsabilità dei politici curdi che nei rapporti tra politica e democrazia hanno spesso usato una retorica fondata sul pragmatismo, manca un solido approccio democratico. Certo non bisogna dimenticare le difficili condizioni economiche, sociali, il basso livello di istruzione della popolazione curda ma anche tra chi ha un'alto livello d'istruzione e fa politica la relazione tra politica e democrazia sembra avere un carattere strumentale. Infine la rottura con la sinistra turca ha indebolito il movimento curdo, certo una sinistra che attualmente non se la passa molto bene, ma nel passato aveva avuto un ruolo importante.