La magistratura accusa giornalisti e scrittori di tradimento nazionale per interventi sulla questione armena. Fuorviante però trarre da questi episodi l'immagine di un paese immobile. Da alcuni anni la società turca è impegnata nel difficile compito di "confrontarsi con la propria storia", con i tabù e le reticenze dell'ideologia ufficiale
"Oltraggio alla turchità, alla Repubblica, al Parlamento, al governo, ai ministeri, ai membri delle forze armate e di pubblica sicurezza, ai membri della magistratura", è questo il testo dell'articolo 301 del Codice Penale per la cui violazione il giornalista Hrant Dink, direttore del settimanale bilingue della comunità armena Agos e collaboratore del quotidiano Birgun, è stato condannato il 7 ottobre a 6 mesi di reclusione, con sospensione della pena. L'offesa alla turchità è stata ravvisata in un passaggio di un articolo dello stesso Dink intitolato L'identità armena e pubblicato da Agos lo scorso 13 febbraio. La sentenza non ha però tenuto conto delle conclusioni del rapporto presentato dal gruppo di consulenti incaricato proprio dal tribunale di esaminare il contenuto dell'articolo. Secondo i consulenti "il testo in questione non presenta elementi oltraggiosi".
Il 16 febbraio prossimo Dink sarà poi di nuovo davanti ad un tribunale, accusato ancora della violazione dell'articolo 301 questa volta in relazione a dichiarazioni fatte nel corso di un convegno. In caso di una nuova sentenza sfavorevole il giornalista sarà costretto a scontare entrambe le condanne.
Durissime le reazioni di Dink," Io sono sicuro delle mie intenzioni e non dovevo essere condannato, perchè nel mio articolo discutevo dell'identità armena..... Farò appello a tutte le vie legali, compreso il Tribunale Europeo per i Diritti Umani per difendere i miei diritti. Se non dovessi riuscirci sono pronto ad andarmene da questo paese. Non è importante la durata della pena, sei giorni o sei mesi non fanno differenza, per me questa è una tortura. Io vivo in questo paese insieme ai turchi e voglio guardarli in faccia senza vergognarmi....credo anche si debba discutere di quanto i cosiddetti meccanismi giudiziari di questo paese siano conformi al diritto oppure chiaramente politici".
La violazione dell'articolo 301 è la ragione anche del procedimento penale che vede coinvolto lo scrittore Orhan Pamuk, accusato di offesa alla turchità per aver dichiarato ad una rivista svizzera: "Non lo dice nessuno, lo dico io: i turchi hanno ucciso 1.000.000 di armeni e 30.000 curdi". Nel caso di Pamuk furono addirittura due i tribunali penali di Istanbul ad aprire un procedimento. Mentre il primo di essi è arrivato l'estate scorsa alla sentenza di "non luogo a procedere perchè il fatto non sussite", il secondo ha deciso per il rinvio a giudizio dello scrittore al 16 dicembre.
Sempre dagli ambienti giudiziari, questa volta da un tribunale amministrativo attivatosi a seguito della denuncia di un pool di avvocati vicini al MHP (Movimento di Azione Nazionale), è arrivata la terza sorpresa: la richiesta di annullamento della conferenza "Gli armeni ottomani nel periodo della dissoluzione dell'Impero: responsabilità scientifica e questioni democratiche", organizzata dall'Università del Bosforo per il 24-25 settembre e già rinviata nel maggio scorso. La motivazione: "La mancanza di trasparenza nei criteri adottati per la scelta degli oratori".
La generale levata di scudi contro questa violazione della libertà accademica e l'intervento del governo - Erdogan ha definito la sentenza una "provocazione" - hanno permesso il regolare svolgimento della conferenza, seppure con un giorno di ritardo. Per tutti vale il commento del rettore dell'Università Bilgi che ha ospitato l'evento "Al termine di questo incontro a proposito degli argomenti dibattutti non si dirà - bene, abbiamo detto l'ultima parola, ora occupiamoci d'altro - . Spero che da qui escano domande costruttive".
Questa serie di sconcertanti decisioni della magistratura riporta l'attenzione su di una serie di questioni cruciali: la prima riguarda il nuovo codice penale e le non sufficienti garanzie che esso contiene in tema di libertà di espressione. Proprio l'articolo 301, di fatto una riedizione dell'articolo 159 del vecchio codice, era stato al centro delle critiche di molti osservatori già prima della sua entrata in vigore il 1° aprile. Profeticamene si sottolineava il pericolo rappresentato da un articolo i cui contenuti lasciavamo ampio spazio alle libere interpretazioni del singolo magistrato.
Il secondo elemento riporta in primo piano la resistenza che alcuni settori istituzionali oppongono al processo riformatore in corso. Un atteggiamento che non riguarda solo alcuni settori della magistratura, considerati tradizionalmente le roccaforti della conservazione ma anche dell'alta burocrazia di stato. Si pensi alla sconcertante decisione di un sotto-prefetto dell'Anatolia centrale che ordinò la requisizione di tutte le opere di Orhan Pamuk all'indomani della sua intervista al settimanale svizzero. Un decisione, immediatamente annullata dal suo superiore, che assunse anche una dimensione farsesca quando si constatò che non vi erano libri dello scrittore nelle librerie e nelle biblioteche della provincia.
L'ultimo aspetto riguarda la singolare coincidenza dei provvedimenti della magistratura con il delicato periodo legato all'appuntamento del 3 ottobre, durante il quale gli occhi dei media e delle diplomazie europee erano puntati sulla Turchia. La condanna a Hrant Dink è arrivata poi proprio mentre si trovava in visita ufficiale nel paese Olli Rehn, responsabile della UE per l'allargamento. Nel corso della sua visita di tre giorni Rehn, che ha avuto anche un lungo incontro con Orhan Pamuk, dopo aver dichiarato come " Tra le priorità che ogni paese che voglia entrare nell'Unione Europea deve rispettare vi è la libertà di pensiero e di espressione." ha ricordato che le sentenze della magistratura saranno inserite nell'annuale Rapporto sullo stato di avanzamento delle riforme che sarà reso noto il 9 novembre.
I recenti exploits della magistratura sembrano rappresentare solamente un assaggio degli ostacoli che il fronte anti-europeo e anti-riforme disseminerà sulle strada del governo e del paese nei mesi a venire. Un rischio del quale appare essere consapevole anche il portavoce del governo Cemil Cicek "Noi ci potremo trovare di fronte ad una serie di difficoltà, siamo consapevoli degli ostacoli che ci attendono nel prossimo futuro. Sono alcuni gruppi marginali all'interno del paese a rendere più ardui i nostri sforzi".
Sarebbe però fuorviante però trarre da questi episodi la conclusione di un paese immobile, che si rifiuta di mettere in discussione il proprio passato e di creare gli spazi per dibattere posizioni alternative. Da alcuni anni in realtà la società turca è impegnata nel difficile compito di "confrontarsi con la propria storia", con i tabù e le reticenze dell'ideologia ufficiale non solo rispetto alla storia repubblicana, lontana e recente, ma anche a quella ottomana. La questione armena rappresenta indubbiamente uno dei nodi più resistenti e dolorosi di questo processo, "il buco nero dell'identità repubblicana" come ha scritto lo storico Taner Akcam.
La messa in discussione di questo tabù si è però avviata: timidamente, all'inizio del 2005, con una mostra ad Istanbul di 600 cartoline d'epoca che nelle intenzioni degli organizzatori aveva l'obbiettivo di " far gradualmente prendere coscienza ai cittadini turchi di quanto vasta e radicata fosse la presenza armena sul territorio ottomano. Ed è proseguita con l'apertura di un museo armeno ad Istanbul, inaugurato da Erdogan, per poi subire un'accelerazione improvvisa e vorticosa. Tra marzo e maggio la gran parte dei canali televisivi del paese, compresa la tradizionalmente ingessata tv di stato, hanno quotidianamente proposto trasmissioni dedicate alla questione armena nella quale storici, giornalisti, opinion makers, intellettuali delle più diverse posizioni ed orientamenti hanno avuto modo di confrontarsi e scontrarsi in dibattiti interminabili.
Lo stesso fenomeno ha coinvolto i quotidiani che hanno riversato sul lettore turco un'autentica valanga di articoli, editoriali ed interviste dedicate alla questione armena ed all'Armenia contemporanea. Una fibrillazione generalizzata che non ha risparmiato nemmeno gli scaffali delle librerie: accanto agli inserti speciali di alcune riviste dedicati alla "tragedia armena", sono tre le iniziative che meritano di essere segnalate. La prima è il volume "1915, che cosa è successo?" che raccoglie le interviste pubblicate sull'argomento dal popolare quotidiano di centro-destra Hurriyet. Tra esse trovano posto quelle a molti intellettuali eretici rispetto alla versione ufficiale ed a esponenti della comunità armena. Il secondo esempio è il caso editoriale rappresentato dal libro Anneannem (Mia nonna) che contando soltanto sul tam tam silenzioso dei lettori ha raggiunto inattesi picchi di vendite. Nel libro, un racconto autobiografico, Ferhiye Cetin affronta un aspetto fino ad oggi poco noto della tragedia del 1915: il caso di decine di migliaia di bambini armeni adottati da famiglie musulmane e scampati al massacro e la faticosa riscoperta delle proprie origini da parte dei discendenti.
Infine "M.K. Memorie della deportazione" un libro intervista curato del Prof. Baskin Oran, uno degli intellettuali più esposti sul fronte della difesa delle minoranze, nel quale Manuel K., nel 1915 un bambino di nove anni, ricorda la sua personale esperienza. Il libro proponeva anche il CD con la versione originale dell'intervista.
L'accelerazione improvvisa che ha subito il dibattito pubblico sulla questione armena è il prodotto della convergenza di elementi diversi: il pluralismo prodotto dal processo di democratizzazione, le pressioni dei paesi UE che si sono intensificate con il progredire del percorso europeo della Turchia ed infine la ricorrenza, il 24 aprile, del 90° anniversario dei fatti del 1915 e la conseguente rinnovata mobilitazione della diaspora armena nel mondo.
Un dibattito che ha assunto però i caratteri di un tornado che si è letteralmente abbattuto su di una società per molti aspetti còlta impreparata. Il rischio evidente era che questa situazione avrebbe potuto produrre crisi di rigetto e corto circuiti. E così è stato. Il pretesto lo ha fornito la conferenza "Gli armeni nell'ultimo periodo dell'Impero Ottomano" in programma a maggio all'Università del Bosforo e che vedeva la presenza dei più importanti intellettuali progressisti. Il Ministro della Giustizia Cicek unendosi alle voci che da più parti gridavano al tradimento ha accusato gli organizzatori di "voler pugnalare il paese alle spalle" e " di aver invitato solamente oratori critici verso le tesi ufficiali". Una presa di posizione che ha provocato la decisione di rinviare la conferenza per motivi di ordine pubblico e che ha simbolicamente decretato la marginalizzazione della questione armena dal discorso pubblico. Si è trattato però solo di una tregua, perchè con la fine dell'estate la società turca si è trovata di nuovo di fronte alla sfida del "fare i conti la propria storia". Una sfida che si presenta tutt'altro che indolore come dimostrano i recenti avvenimenti ma che appare sempre più in tutta la sua urgenza perchè, come ha ricordato Murat Belge nel suo intervento alla conferenza di Istanbul "In realtà quello di cui stiamo discutendo qui non è il passato ma il futuro della Turchia"