Ad un anno dal tentato golpe del 15 luglio 2016, migliaia di persone sono sotto processo in Turchia. Molte domande su tragici eventi di quella notte restano però ancora senza risposta
È già trascorso un anno dal tentato golpe del 15 luglio 2016, una notte tragica costata la morte di 249 persone e le cui conseguenze sono ancora estremamente attuali. Fin dal primo momento la narrazione degli eventi del tentato golpe da parte del governo di Ankara ha assunto toni epici: la nazione - eroe dell’epopea - ha dato al mondo intero una lezione di democrazia, scendendo nelle strade e impedendo che il colpo di stato arrivasse a compimento.
Nel dicembre 2016 il 15 luglio è stato anche dichiarato “giornata della democrazia e dell’unità nazionale”. Su questa narrazione sono stati costruiti i numerosi eventi e commemorazioni dei martiri - şehit, in turco, così sono definite le persone rimaste uccise - che si svolgeranno in questa settimana e che culmineranno con “la marcia per l’unità nazionale”, a cui dovrebbe partecipare anche il presidente Recep Tayyip Erdoğan, e “la veglia per la democrazia” nella notte tra sabato e domenica.
Ad un anno dal tentato golpe, che secondo la leadership turca è stato architettato dall’imam e magnate Fethullah Gülen - in esilio volontario negli Stati Uniti dal 1999, un tempo alleato del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) - la narrazione che emerge dai processi avviati e dal rapporto della Commissione di indagine sul golpe non sembra però avere esaurito le numerose domande rimaste irrisolte sui fatti di quella tragica notte.
I processi in corso
Nell’ultimo anno sono stati avviati centinaia di processi che vedono imputate migliaia di persone, accusate di avere legami con il movimento di Gülen (FETÖ, ossia l’organizzazione terroristica di Fethullah, come definito dalle autorità turche).
Circa 50mila persone si trovano attualemente in stato di arresto. La procura generale di Istanbul ha avviato nella provincia di competenza 870 processi riguardanti le attività del movimento per accuse non direttamente legate alla partecipazione al golpe fallito. Sono invece in corso quasi 160 procedimenti, che vedono imputate circa 3mila persone - per la maggior parte militari - accusate di aver preso parte al colpo di stato.
Tra i processi più importanti in corso ad Ankara c’è quello che vede imputati 221 militari di alto rango oltre allo stesso Gülen, indicato come il principale indiziato. Il secondo indiziato di rilievo nel processo iniziato il 22 maggio scorso è Akın Öztürk, ex comandante della forza aerea militare. Altro nome centrale del processo è il generale Mehmet Dişli, fratello del vice segretario generale del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) Şaban Dişli. Il comandante è indicato come la persona che annunciò al capo di Stato maggiore Hulusi Akar, sequestrato e portato alla base aerea Akıncı, che era in atto il golpe.
Un altro procedimento importante è quello aperto contro i militari della base aerea militare Akıncı, centro direzionale del tentato golpe, da cui la notte del 15 luglio sono partiti gli aerei e gli elicotteri che hanno bombardato il parlamento, la questura centrale, gli stabilimenti della rete satellitare Turksat, sparando poi sulla folla per le strade di Ankara.
Il numero totale dei militari imputati è 481, di cui numerosi di alto rango. Nell’atto d’accusa compaiono anche i nomi di cinque civili accusati di aver gestito il golpe, tra cui quello di Adil Öksüz, considerato il secondo indiziato nell’atto di accusa. Öksüz era stato fermato mentre tentava di fuggire dalla base in seguito al fallimento del golpe, ma se ne sono perse le tracce dopo che un tribunale lo ha rilasciato. L’accusa chiede 303 ergastoli per i 45 imputati che avrebbero guidato le operazioni.
La notte del tentato golpe anche Istanbul è stata scenario di numerose operazioni tra cui l’occupazione della prefettura, della municipalità metropolitana, della sede della TRT (la TV turca) e della Telekom da parte dei militari. A oggi sono stati avviati 20 processi per le quali sono imputati oltre 1.050 militari. È inoltre in corso un ulteriore procedimento con 24 imputati (di cui 9 fuggitivi) per i quali si richiede la pena dell’ergastolo aggravato.
Dubbi e critiche
Nonostante l'attivismo della magistratura, per l’opposizione restano numerose lacune sui fatti di quella notte. Il rapporto della Commissione d’inchiesta parlamentare sul golpe non sembra aver soddisfatto i punti interrogativi rimasti in sospeso.
Secondo la commissione, che riconosce “le manchevolezze dell’intelligence” il tentato golpe era stato programmato per le 3 di notte del16 luglio, ma è stato poi anticipato alle 20.30 del 15 luglio. “Questo è uno dei fattori più importanti riguardo alla prevedibilità del golpe”, viene affermato nel rapporto, dove viene anche affermato che “non è possibile valutare quale sia stato il ruolo di forze esterne” ma che “sono state dimostrate certe relazioni di FETÖ con intelligence straniere”. Il presidente della Commissione Reşat Petek ha inoltre affermato che “non sono ancora state accertate le diramazioni civili del golpe”.
Una delle critiche principali alla commissione è legata al fatto che non abbia interrogato quattro nomi ritenuti fondamentali per l’inchiesta: il capo di Stato maggiore Hulusi Akar (che ha inviato una deposizione scritta); il direttore dei servizi segreti Hakan Fidan; il premier Binali Yıldırım e il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Secondo le dichiarazioni fornite da Akar, il generale avrebbe avuto delle notizie da parte dell’intelligence già “nel pomeriggio”. A sua volta il presidente Erdoğan aveva precedentemente dichiarato di essere venuto a sapere del golpe in serata dal fratello della moglie.
“Gli atti di accusa dei diversi processi affermano che il tentato golpe non è stato condotto solo all’interno delle forze armate, ma ha avuto numerose ramificazioni civili. Com’è possibile che i servizi di intelligence - che sono in grado di intercettare le conversazioni che avvengono in qualsiasi contesto - non siano riusciti ad avere informazioni dall’esercito? Quali erano le informazioni ottenute e perché non si è andato più a fondo?” è il commento di Mithat Sancar, deputato del partito filo-curdo HDP.
Per Kemal Kılıçdaroğlu, leader del CHP – primo partito d’opposizione – quanto avvenuto la notte del 15 luglio 2016 corrisponde ad “un golpe controllato” da Ankara. Il segretario generale ha affermato che “il governo ha impedito alla Commissione di inchiesta parlamentare di portare alla luce la dimensione principale del golpe; il procuratore che ha preparato l’atto di accusa principale su FETÖ è stato destituito”.
Inoltre “in data 4-6 giugno 2016 era stato presentato un atto d’accusa su FETÖ dove si affermava che l’organizzazione aveva raggiunto la forza di mettere in atto un golpe. Perché dunque, nonostante tutto ciò fosse noto, il golpe non è stato impedito?”.
Parole, quelle di Kılıçdaroğlu, che hanno suscitato la dura reazione del presidente Erdoğan che ha chiamato il leader CHP a presentare prove concrete. Abdülkadir Selvi, tra i commentatori vicini ai circoli governativi, ricorda sulle pagine di Hürriyet la lunga storia dei colpi di stato in Turchia, affermando che “nessuno può affermare che il tentato golpe del 15 luglio sia stato ‘controllato’. Il presidente Erdoğan si è opposto al golpe e la popolazione che crede in lui è scesa per le strade a rischio della propria vita ed è riuscita a scongiurarlo”.
Ma è sempre Selvi che in un altro recente articolo pone domande su altri punti della notte del tentato colpo di Stato. “Con chi avevano stretto alleanza i membri di FETÖ per il tentativo del golpe i cui preparativi sono durati otto mesi? Chi sono quelli che tra le 23 e le 3 hanno preferito mettersi ad osservare quanto accadeva e quando hanno visto che stava vincendo Erdoğan hanno assunto il controllo delle proprie unità militari? Un giorno verrà tutto scritto”.
Intanto, solo all’inizio di questa settimana, è stata formata la Commissione sullo Stato d’emergenza, che dovrebbe valutare il ricorso di migliaia di persone che sono state licenziate nell’ultimo anno nell’ambito dei decreti emessi grazie allo stato di emergenza dichiarato dal governo. Nell’ultimo anno sono state 150mila le persone che hanno perso il lavoro, accusate di legami con organizzazioni terroristiche. Lo stato d’emergenza resta in vigore, ed Ankara non sembra avere alcuna intenzione a ritirarlo nel prossimo futuro.