Sicurezza sul lavoro

(Flickr-wisefly)

In Turchia c’è uno stretto rapporto tra la crescita economica del Paese e incidenti sul lavoro. Ne parliamo con Aslı Odman ricercatrice all’Università Bilgi di Istanbul ed esperta in materia di sicurezza sul lavoro

10/05/2011 -  Fazıla Mat

In Turchia ogni giorno muoiono in media tre persone a causa di incidenti sul lavoro. Miniere, cantieri, fabbriche, officine e campi agricoli, sono i luoghi dove i lavoratori rischiano quotidianamente la vita. Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istituto di sicurezza sociale (Sosyal Güvenlik Kurumu-SGK), nel 2009 hanno avuto un infortunio, mentre lavoravano o si stavano spostando per motivi di lavoro, 64.316 persone. Per 1.171 di loro l’incidente è stato fatale.

I dati sono stati calcolati sulla base di 9 milioni di lavoratori regolari, iscritti al regime previdenziale dell’SGK. È questa, infatti, la precondizione per la registrazione di un incidente sul lavoro. Ma una recente indagine dell’Istituto nazionale di statistiche (TÜİK) ha rilevato che nel 2010 il numero complessivo degli occupati era di 22 milioni e 854 mila e che all’interno di questa cifra, quasi 10 milioni di lavoratori risultavano in nero. Non è quindi difficile immaginare che il numero degli incidenti sia in realtà molto più alto.

Il collegamento tra infortuni e crescita economica

L’elevato numero degli infortuni sul lavoro si accompagna ad una crescita dell’economia turca che per il 2010 si è attestata all’8,9%, superando le stesse aspettative del governo. Ma secondo Aslı Odman, ricercatrice all’Università Bilgi di Istanbul ed esperta in materia di sicurezza sul lavoro intervistata da Osservatorio, “c’è uno stretto rapporto tra la crescita economica del Paese e gli incidenti sul lavoro” e riguarda “la modalità con cui sta avvenendo questa crescita”.

La studiosa fa parte, dal 2007, del comitato di monitoraggio delle condizioni di lavoro dell’area dei cantieri navali di Tuzla, importante centro dell’industria navale turca, in particolare per la produzione di petroliere di media grandezza e di yacht. Purtroppo però Tuzla è diventata famosa anche per le decine di operai che negli ultimi anni hanno perso la vita a causa delle condizioni di precarietà in cui lavorano. “Una precarietà legislativa e di fatto” spiega Odman, “dettata dalla logica della flessibilità e della competitività che causa la frammentazione del lavoro”.

La frammentazione dei subappalti

“La frammentazione deriva dalla divisione dell’attività principale tra ditte subappaltatrici e dall’uso introdotto dal 2003 di prendere singoli lavoratori ‘in prestito’ dagli uffici di collocamento”, prosegue Odman. “Così, se nell’area dei cantieri navali di Tuzla ci sono 40 società appaltatrici, se ne trovano altre 1500 in subappalto. Il numero totale degli operai impiegati è dunque molto alto ma ciascun micro-gruppo ha come riferimento una diversa società subappaltatrice. A livello tecnico questa situazione aumenta il numero degli incidenti sul lavoro perché rende impossibile coordinare i criteri di sicurezza. Ci si ritrova a gestire la costruzione di una sola nave effettuata da decine di società diverse”.

In verità la legge prevede che l’ ‘attività principale’ di una commessa (ad esempio, nella costruzione delle navi, la lavorazione dei profilati, il taglio e il montaggio dei pannelli e così via) non possa essere data in subappalto dal titolare del cantiere, ma nella pratica le cose funzionano diversamente. I titolari chiedono “la maggiore produzione con la minor spesa e nel più breve tempo possibile” ma non vogliono assumersi gli oneri derivanti dall’assunzione regolare degli operai, così si appoggiano a numerosi subappaltatori che impiegano un numero di personale (a tempo determinato) inferiore a 50 lavoratori. In questo modo si evita l’obbligo di impiegare sul posto di lavoro un medico e un ingegnere esperto della sicurezza, come imposto dalla normativa vigente per le attività con oltre 50 impiegati.

Le novità legislative

Odman aggiunge inoltre che con il nuovo pacchetto legge approvato dal Parlamento turco lo scorso febbraio è stata modificata la definizione di cosa sia un subappalto: “Un adeguamento della legge alla pratica corrente”, spiega, “che rende molto più difficile al lavoratore intraprendere un’azione legale per tutelare i propri diritti”. All’interno dello stesso pacchetto di leggi di cui parla la ricercatrice è prevista anche la privatizzazione dei servizi riguardanti la sicurezza e la salute dei lavoratori. In particolare, si autorizzano le istituzioni private a formare degli esperti responsabili di questi due ambiti, un compito che fino ad ora competeva solo all’Unione dei medici turchi (TTB) e a quella degli architetti e degli ingegneri (TMMOB), due associazioni di categoria indipendenti e a carattere collettivo che denunciano il pericolo di trattare la questione della sicurezza sul lavoro in base agli interessi di mercato, a danno di una ulteriore riduzione della sicurezza dei lavoratori.

L'abbandono dell'agricoltura

“Un'altra causa degli incidenti è da ricercarsi nella disgregazione del settore agricolo”, spiega sempre Odman. “In Turchia il 30% della popolazione vive ancora nelle campagne e si sostiene grazie all’agricoltura. Con le politiche d’adeguamento all’UE il governo ha tolto il supporto statale al settore. Ha smantellato gli enti di riferimento e ha tagliato i finanziamenti diretti. Ma non ha compensato questi cambiamenti con un piano di reinserimento dei coltivatori nel mondo del lavoro”.

“Allo stato attuale, la politica economica della Turchia non prevede un piano di sviluppo per l’agricoltura. Se ne prevedono per il settore dei servizi, della finanza e per quelli energetico ed edile, ma non per quello agricolo. La mancanza di politiche sociali rivolte ai lavoratori del settore primario causano un incredibile flusso migratorio. Alcuni abitanti delle campagne, non riuscendo a mantenersi nella loro terra si prestano a fare lavori stagionali, oppure si trasferiscono nelle periferie delle metropoli, adattandosi a lavorare in nero, senza alcuna sicurezza”.

Lavoro nero e piccole medie imprese

A impiegare la metà del lavoro in nero del mercato economico turco sono le piccole e medie imprese, le cosiddette KOBİ (Küçük ve Orta Boy İşletme). “In questo tipo di impresa, che costituisce il 90% del totale delle società del Paese, si verifica oltre il 50% degli infortuni sul lavoro” specifica Odman. “Dal 2009 sono considerate piccole e medie imprese le attività che contano meno di 50 lavoratori. Anche le due officine dove lo scorso febbraio, nella zona industriale di Ankara (OSTİM), si sono verificate delle esplosioni causando 20 morti e decine di feriti, erano classificate come KOBİ”.

Sempre dal 2009 il governo, per favorire l’imprenditorialità e alleggerire le lungaggini amministrative, ha abolito per le KOBİ l’obbligo di ottenere il ‘certificato di gestione’ (işletme belgesi), che veniva concesso dopo un’ispezione delle misure di salute e di sicurezza sul lavoro adottate dalle neo-imprese. “Le attività non sono più soggette a quei, seppur minimi, controlli delle norme di sicurezza”, aggiunge la ricercatrice, spiegando che “in Turchia, attualmente, ci sono circa 600 ispettori responsabili del controllo della sicurezza e del rispetto dei diritti sociali sul lavoro. A loro spetta il controllo di oltre un milione di aziende, grandi e piccole. Va poi considerato che solo il 40% del numero complessivo dei supervisori (chiamati “tecnici”) è responsabile di verificare sul posto i parametri di sicurezza delle aziende, mentre la rimanente percentuale si occupa di lavori d’ufficio”.

Un caso limite è rappresentato da Diyarbakır, città popolata da un milione di abitanti, che, sprovvista di un contingente proprio di ispettori, dipende da quello di Malatya. Quando un lavoratore presenta una richiesta di ispezione del suo posto di lavoro la trafila burocratica dura circa tre mesi, un periodo di tempo sufficiente per eliminare tutte le prove di infrazione della sicurezza. Dal 2002, infatti, non sono più previsti i sopralluoghi di tipo preventivo, essenziali per impedire gli incidenti. Gli ispettori ‘tecnici’ possono intervenire solo se un lavoratore presenta un reclamo.

Un discorso a parte meriterebbero le malattie da lavoro come la silicosi, l'asbestosi e l’avvelenamento da cianuro utilizzato nella ricerca dell’oro, che non vengono registrate come tali ma come malattie “ordinarie”. Se poi l’operaio lavora in nero, non ha nemmeno la copertura assicurativa per pagarsi le spese mediche. Il caso della silicosi, malattia irreversibile che causa un progressivo danno ai polmoni, rappresenta tra tutte le malattie del lavoro un’eccezione, perché grazie alla campagna del Comitato di solidarietà formato da diversi settori della società civile, ha ottenuto una particolare attenzione da parte del governo.

Da qualche anno il governo dell’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi) parla di preparare una legge apposita per tutelare la sicurezza sul lavoro, che però dovrebbe essere realizzata in concordanza con i quattro attori della società civile: le confederazioni sindacali dei lavoratori, le confederazioni dei lavoratori del settore pubblico, l’Unione dei medici e l’Unione degli ingegneri e degli architetti.

Essere proattivi

Per Aslı Odman “una soluzione è fare qualcosa di proattivo, altrimenti gli incidenti sul lavoro sono destinati ad aumentare. Essere ‘proattivi’ significherebbe per questi quattro rappresentanti del mondo del lavoro definire innanzitutto le diverse aree problematiche riferite a ciascun settore occupazionale al fine di formare dei gruppi di lavoro sia regionali che settoriali. È necessario essere ‘proattivi’ perché non basta solo reagire e protestare contro le decisioni del governo che, forte della propria maggioranza parlamentare impone le sue decisioni. Solo dando maggiore importanza ai contribuiti che possono arrivare da chi conosce le realtà locali si può diventare una forza attiva e ottenere un cambiamento”.