In Turchia collettivi, organizzazioni femministe e cittadine organizzano marce di solidarietà in numerose città del paese, oggi 25 novembre, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La risposta delle autorità è stata la militarizzazione delle strade
Mobilitazione in Turchia in occasione del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Collettivi, organizzazioni femministe e cittadine hanno organizzato picchetti e marce di solidarietà in numerose città del paese, già a partire dal fine settimana.
Come spesso accade, la risposta delle autorità nazionali e locali, almeno nelle municipalità governate dai conservatori, è stata la militarizzazione delle strade e l’imposizione di restrizioni al movimento in interi quartieri.
Ad Istanbul, il governatore ha disposto la chiusura delle stazioni della metropolitana, delle linee autobus e delle funicolari nell’area di Beyoğlu, luogo prediletto in cui le manifestanti si sono date appuntamento. Centinaia di agenti e gendarmi, schierati in assetto antisommossa con mitragliatori e gas lacrimogeni, sono presenti ad ogni appuntamento pubblico, un segno lampante di quanto la lotta contro la violenza di genere sia percepita come una minaccia politica e culturale per le strutture di potere del paese e per il governo in carica, che dal 2021 ha portato la Turchia fuori dalla Convenzione di Istanbul.
La lotta femminista attraversa tutta la storia turca , eppure i numeri dei femminicidi sono ogni anno allarmanti: 406 donne uccise nel solo 2024 non ancora concluso, un trend in costante peggioramento negli ultimi anni.
Gülsüm Kav è un’attivista storica del movimento e tra le promotrici della Piattaforma “Noi fermeremo i femminicidi” [Kadın Cinayetlerini Durduragağız Platformu] che, insieme ai Consigli delle Donne [Kadın Meclisleri], sono negli ultimi anni le organizzazioni più attive nella lotta contro la violenza di genere.
“Abbiamo cominciato avvicinandoci alle famiglie, condividendo con loro un dolore costretto a restare tra le mura domestiche. È una questione politica e come tale deve essere affrontata con metodo ed organizzazione”.
Kav sottolinea l’importanza della visibilità pubblica come strumento di giustizia. Parlare, raccontare, mostrare sono gli strumenti principali per combattere un fenomeno inquietante, distruttivo e difficile da far emergere: per la delicatezza del tema, per il dolore che sempre lo accompagna, e per le resistenze endemiche e sistemiche di una società ancora profondamente patriarcale.
Fondamentale quindi, per rendere visibile il problema, l’attività di monitoraggio che la Piattaforma svolge da 14 anni, non solo attorno ai femminicidi riconosciuti, ma più recentemente anche per i casi di sparizioni misteriose e suicidi sospetti.
Il sistema giudiziario ci sta tradendo
“Il sistema giudiziario turco è allineato con gli interessi del patriarcato e strutturalmente ostile alle donne”, sostiene l’attivista. La questione di violenza di genere è amplificata sia dall’incompatibilità del Codice penale in vigore con la Costituzione, sia dalla mancata applicazione delle norme esistenti.
La legge 6284 a protezione della famiglia e per la prevenzione della violenza contro le donne è in vigore dal 2012, ma la prassi è molto lontana dal testo scritto. Anche quando una sentenza di condanna viene emessa, non di rado le pene vengono commutate per i più disparati motivi. Ad esempio, in caso di violenza domestica, se il marito chiama un’ambulanza, questo è letto dai giudici come un gesto di moderazione, di comprensione dell’accaduto, e considerato un’attenuante. “Ricordo un altro caso in cui ad un giovane imputato venne commutata la pena perché, secondo il giudice, aveva davanti a sé un futuro brillante, con buona pace del futuro della vittima”, afferma l'attivista.
La Piattaforma stessa, nel 2022, venne portata in tribunale dalla procura di Istanbul per "azioni contro la legge e la moralità", accusa poi lasciata decadere dalla corte.
Eppure, il Ministero ha lanciato nel 2018 alcune iniziative come l’applicazione Kades , che consente alle donne di ottenere supporto di emergenza in caso di violenza, con la possibilità di condivisione della posizione e di comunicazione sicura. Un’iniziativa “che funziona”, sostiene Kav, ma “dall’efficacia limitata ad alcuni casi e utile per la popolazione urbana e avvezza alla tecnologia”. Lontana quindi da molte realtà periferiche, rurali e di altri gruppi sociali, per i quali la risposta dev’essere legale e culturale, non meramente tecnologica.
L’importanza della lotta intersezionale
La Piattaforma collabora con altre realtà della società civile turca, come avviene all’interno della collaborazione con l’Associazione dei medici turchi (TTB), che ha portato allo studio sulle conseguenze delle prigioni di tipo F nel sistema carcerario, prigioni a regime speciale simili al 21 bis italiano.
I problemi di ordine fisico e psicologico che scaturiscono da questo regime carcerario duro e contestato per essere assimilabile a una forma di tortura sono amplificati per le donne, le quali sviluppano, ad esempio, sindromi da menopausa precoce. Questo regime carcerario speciale è da tempo sotto la lente d’ingrandimento anche della Commissione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, che ne ha denunciato le molte incompatibilità con la disciplina dei diritti dell’uomo.
“Dati e statistiche ci dimostrano che il paese si sta allontanando dagli standard democratici e dei diritti umani” conclude Kav. “Per affrontare un problema strutturale quale la lotta alla violenza di genere, è fondamentale che la lotta e l’azione della società civile siano trasversali”.
Kadın Cinayetlerini Durduragağız Platformu
Fondata nel 2010 dopo l'omicidio di Münevver Karabulu, avvenuto l’anno precedente, la “Piattaforma Noi fermeremo i femminicidi” si batte contro ogni forma di violenza di genere, considerato uno dei problemi principali e strutturali del paese. Istituita con la partecipazione di diverse donne e organizzazioni LGBTIQ+, ha organizzato la sua prima marcia nell'agosto 2010. La piattaforma è diventata un’associazione nel 2012 e ha tra i propri fondatori parenti delle donne assassinate e donne che hanno subito abusi. Dalla sua fondazione si occupa del monitoraggio sistematico di tutti i femminicidi avvenuti in Turchia. Dal 2018 monitora anche i casi di sospetti incidenti e suicidi.
La Legge 6284
La legge per proteggere la famiglia e prevenire la violenza contro le donne è stata accettata in Turchia l'8 marzo 2012. Lo scopo di questa legge è quello di proteggere le donne, i bambini, i familiari e le vittime di stalking, che sono stati oggetto di violenza o a rischio di violenza, e di regolare le procedure e i principi per quanto riguarda le misure di prevenzione della violenza contro tali persone.