Sconfitta, per la prima volta da 13 anni, per l'AKP del presidente Tayyip Erdoğan, che perde la maggioranza in parlamento, vittoria per il giovane partito filo-curdo HDP. Le elezioni politiche in Turchia segnano una svolta, ma i giochi restano tutti aperti
Il risultato delle elezioni politiche tenute domenica scorsa in Turchia segna una svolta per il paese. Dopo aver governato da solo per 13 anni, il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) perde la maggioranza assoluta in parlamento e si vede costretto a trattare con le formazioni politiche dell’opposizione per creare una coalizione.
Vincitori e perdenti
Con il 40,8% delle preferenze e 258 seggi parlamentari, l’AKP è ancora il primo partito del paese, ma la perdita di nove punti rispetto alle elezioni del 2011 e il mancato raggiungimento dei 276 seggi richiesti per formare un governo monocolore sono percepiti dalla dirigenza del partito come una vera e propria sconfitta. A sfumare è anche il controverso progetto presidenziale sostenuto dal capo dello stato Tayyip Erdoğan, per il quale era necessario ottenere una maggiorannza di almeno 330 deputati.
Il principale responsabile di questo esito elettorale è il Partito democratico dei popoli (HDP), una formazione giovane, social democratica e filo-curda, che da una parte raccoglie l’eredità del partito curdo BDP (Partito della pace e della democrazia), dall’altra riunisce sotto il proprio tetto una costellazione di piccole formazioni di sinistra.
Guidata dai co-leader Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, l’HDP si è messo in gioco sfidando la barriera elettorale del 10%. In passato, i partiti curdi, hanno sempre aggirato la percentuale – lascito dell’ultimo golpe militare – presentando candidati indipendenti che a stento raggiungevano 40 seggi in parlamento.
Paradossalmente, questa volta, è stata proprio la barriera – mantenuta intatta dall’AKP – e il sistema di conteggio dei voti del paese basato sulle circosrcrizioni ad aver ribaltato la situazione: l’HDP non solo ha superato la soglia ma, ottenendo il 13% dei voti, è riuscito a portare alla camera ben 80 deputati. Un record, ottenuto grazie ad una politica accorta, aperta al dialogo e mai disfattista, anche quando alla vigilia elettorale, prima dl comizio di Demirtaş a Diyarbakır, sono scoppiate due bombe che hanno causato la morte di tre persone e diversi feriti.
Reazioni a caldo
“In queste elezioni hanno vinto coloro che sono a favore della libertà, della democrazia e della pace, mentre hanno perso quelli che parteggiano per l’oppressione, l’autoritarismo l’arroganza e coloro che si considerano gli unici padroni del paese. I vincitori sono quelli che credono nel futuro libero della Turchia”, ha detto Demirtaş, commentando il risultato del suo partito. Il leader non ha dimenticato di ringraziare anche le persone che hanno “affidato” il voto al suo partito: elettori di altre formazioni – essenzialmente quelli del CHP, nelle regioni occidentali del paese – che hanno sostenuto l’HDP per frenare il potere dell’AKP.
Tra le file dell’AKP, invece, a parte il discorso del premier Ahmet Davutoğlu alla fine della giornata elettorale, dove è emerso il messaggio del “rispetto per la decisione della nazione” e qualche altra sparuta dichiarazione dei dirigenti del partito, domina un insolito silenzio. Soprattutto quello del presidente Erdoğan, letteralmente sparito da tutti gli schermi televisivi e le piazze dove durante la campagna elettorale teneva discorsi come fosse ancora il leader del proprio partito e non la figura istituzionale imparziale stabilita dalla costituzione turca.
Dopo diverse ore dalla dichiarazione dei risultati, il capo di stato ha diffuso un messaggio scritto, neutrale e bilanciato. “La decisione del popolo va rispettata. I risultati dimostrano che nessun partito può formare da solo un governo. Mi auguro che il quadro della situazione venga valutato correttamente da tutti i partiti che hanno partecipato alle elezioni”. Nel frattempo, su internet, è apparso un sito per contare le ore di assenza del presidente dall’arena pubblica, considerata un’altra conseguenza straordinaria dell’esito elettorale.
Riflessioni post-elettorali
L’AKP non è riuscito ad accrescere le proprie preferenze in alcuna provincia. Nelle regioni orientali e sudorientali del paese si è verificato un esodo dei voti dei curdi osservanti, passati dall’AKP all’HDP: una conferma della mobilitazione pre-elettorale di diverse tribù della zona a favore del partito filo-curdo. L’affluenza più alta del solito e le percentuali attorno all’ 70 e all’80% ottenute dall’HDP in numerose province della regione, hanno dimostrato anche la sua capacità di convincere gli elettori a recarsi alle urne. Un risultato reso possibile anche grazie alla scelta di candidati che godono di largo consenso all’interno della comunità curda. Figure storiche della lotta politica come Leyla Zana, personalità di richiamo per i gruppi osservanti come Altan Tan o Seher Akçınar Bayar, una deputata che porta il velo, eletta a Erzurum, città dove l’affermazione delle donne nella vita pubblica non è affatto facile.
L’HDP, grazie al suo statuto paritario, si distingue anche per il numero elevato di donne portate in parlamento, 30 (su 80 deputati), contro i 40 (su 258) dell’AKP. Per la prima volta nella storia repubblicana turca, nell’Assemblea nazionale ci saranno 96 donne a rappresentare i cittadini. Ma il ventaglio di deputati del partito filo-curdo include anche esponenti di diverse “minoranze” come quella degli aleviti, delle comunità armena, azera, yezida, mhallama, araba, siriaca; socialisti, ambientalisti, ed anche ex membri dell’AKP e del CHP (Partito repubblicano del popolo).
Un segnale del fatto che l’HDP sia considerato un “partito della Turchia” emerge dall’alta percentuale ottenuta nelle province occidentali. Se il partito ha superato la soglia è infatti grazie ai voti registrati a Istanbul, che risulta la sede dove l’HDP ha raccolto il maggior numero di preferenze (con oltre un milione di voti contro i 632mila di Diyarbakır, al secondo posto). Ma anche a Izmir, nota per le posizioni kemaliste dei suoi abitanti, l’HDP ha ottenuto quasi 300mila voti.
Gli altri due partiti dell’opposizione, il Partito repubblicano del popolo (CHP) e quello di azione nazionalista (MHP) hanno rispettivamente ottenuto il 25% e il 16,33% dei voti. Mentre il primo ha mantenuto la sua percentuale pressoché inalterata rispetto alle politiche del 2011, aumentando le preferenze nelle regioni sulla costa del Mar Nero, i nazionalisti dell’MHP hanno guadagnato terreno nell’Anatolia centrale, sottraendo voti all’AKP, soprattutto a causa del processo di pace condotto da quest’ultimo con i curdi. In definitiva, il CHP sarà presente in parlamento con 132 deputati, il MHP con 80.
Diversi fattori hanno determinato l’erosione di consensi dell’AKP. Per i curdi l’atteggiamento ambiguo di Ankara nella liberazione di Kobane dal gruppo Stato islamico – il governo turco è stato accusato di osteggiare le milizie curde, supportando invece i jihadisti – risulta essere stato un importante deterrente. Vanno inoltre considerate le accuse di corruzione che hanno travolto l’esecutivo nel 2013 e che non hanno mai trovato un seguito – per volere del governo stesso – in sede giudiziaria, suscitando un’ampia disapprovazione anche tra gli altri elettori dell’AKP. Non è piaciuta nemmeno la costruzione della gigantesca residenza presidenziale al costo di 500 milioni di dollari con i fondi dello stato, in un’area boschiva protetta e voluta dal fondatore della Repubblica Kemal Atatürk, proprio nel momento in cui si sta registrando la percentuale di disoccupazione più alta degli ultimi 5 anni (11,3%). Ma è soprattutto il progetto presidenziale che è stato bocciato dagli elettori turchi, un progetto che avrebbe reso Erdoğan ancora più forte, eliminando anche le ultime resistenze al suo potere.
I prossimi passi
Adesso al presidente spetta svolgere il proprio ruolo istituzionale, conferendo l’incarico di formare un nuovo governo al leader del partito che ha ricevuto la percentuale più alta, ovvero all’ex premier Davutoğlu. Questi dovrà cercare di stabilire un’alleanza con l’opposizione, ma non sarà facile. Mentre il CHP e l’HDP hanno annunciato che non intendono stabilire una coalizione con l’AKP, il MHP, che risulta più propenso, ha però posto come condizioni il riavvio delle indagini di corruzione riguardanti l’AKP e l’interruzione delle trattative di pace con i curdi.
Un serio rischio per il Partito della giustizia e dello sviluppo che, tra le altre cose, andrebbe a perdere definitivamente i voti dei curdi. Nel caso in cui Davutoğlu, non trovando un accordo con nessuno degli altri partiti, non riuscisse a formare un governo, Erdoğan dovrebbe incaricare a turno gli altri leader fino al raggiungimento dell’obiettivo entro 45 giorni, eventualmente dilatabili, sempre a discrezione del presidente.
Si considerano anche coalizioni di minoranze (inferiori a 276 seggi), supportate dall’esterno. Un’ eventualità sarebbe ad esempio il governo congiunto CHP-MHP, con il sostegno esterno dell’HDP, soprattutto per cambiare in tempi rapidi delle leggi approvate dall’esecutivo precedente. Resta però evidente la divergenza di alcune posizioni – soprattutto quella del MHP e del HDP nella questione curda, ma anche l’incompatibilità dell’ala progressista del CHP con il MHP. Mentre il traffico di trattative tra i partiti si intensifica, la possibilità delle elezioni anticipate risulta al momento la più remota – in particolare l’AKP teme che potrebbe perdere ulteriori voti. Ma è ancora tutto da vedere, la nuova partita politica è appena cominciata.