Gli articoli e le analisi dei giornalisti turchi ci raccontano come, sebbene non chiamata al voto per le europee, la Turchia sia un paese pienamente coinvolto nel dibattito sull'Europa
Non c’erano ovviamente né seggi né urne ad Istanbul e Ankara, ma le recenti elezioni parlamentari europee hanno scatenato commenti come se si fossero tenute direttamente in casa. Gli editorialisti in Turchia hanno un ruolo di opinion making di tutto rispetto e in molti hanno speso tempo e parole per scandagliare i risultati elettorali, alla ricerca di chiavi di lettura e prospettive future, tra visioni disincantate e inevitabili collegamenti con la politica interna. E un pizzico di divertito cinismo, specialmente tra chi, negli ultimi tempi, ha vissuto l’Europa come una dispensatrice di sprezzanti giudizi e si compiace ora nel trovare agili spiragli di aspra critica.
C’è chi ha voluto calcare la mano scrivendo dell’esplosione della destra estrema, dei partiti euroscettici e dell’insofferenza verso lo straniero, chi ha sottolineato gli equilibri parlamentari e la crisi economica sullo sfondo, chi si è avventurato nel tratteggiare possibili scenari dell’Europa di domani.
In ogni caso, per molti commentatori, le urne hanno decretato due ineludibili fatti: da un lato il voto ha dato voce al malcontento per un’economia che arranca e per l’inconsistenza delle istituzioni europee nel dimostrare quanto sono importanti nella vita quotidiana dei cittadini europei, dall’altro i tradizionali partiti filoeuropei godono tutt’ora di una solida maggioranza parlamentare, di circa due terzi dei seggi, che mette al riparo l’Unione dagli scenari catastrofici circolati talvolta nel periodo pre-elettorale.
Emre Gönen, editorialista del quotidiano filogovernativo Sabah, ha sottolineato l’importanza del fattore economico e individuato nel risultato elettorale l’esigenza di reimpostare l’agenda europea sui temi della crescita, dell’occupazione e della competitività. A suo avviso gli elettori hanno chiaramente invocato una politica di redistribuzione della ricchezza e soprattutto sconfessato la fallimentare politica d’austerità intrapresa in reazione alla crisi del 2008.
Il giornalista si è soffermato anche sulla questione dell’allargamento: ”Le politiche di allargamento, presentate ai cittadini europei come un’occasione per ampliare il mercato e di conseguenza generare benefici, hanno disatteso le aspettative, perché le economie dei nuovi membri sono troppo piccole, quando non esse stesse in stagnazione, per alimentare la crescita”. Gönen rileva però anche che “l’allargamento europeo deve essere inteso come un formidabile progetto politico, che è stato capace di bloccare i conflitti armati nei Balcani e nell’est Europa, dopo la tragedia jugoslava”.
Anche Yavuz Baydar su Zaman, giornale considerato vicino al movimento di Fetullah Gülen, si sofferma sul dato economico e lo fa sottolineando il diverso risultato elettorale tra nord e sud Europa: “L’Europa del sud, che più ha sofferto l’ordalia finanziaria, ha votato per partiti di centrosinistra e socialisti, proponendo così una soluzione che passi attraverso una reciproca solidarietà”. Paesi come Francia, Gran Bretagna e Danimarca hanno invece preferito a suo avviso l'isolamento nazionalista.
Osman Can, un altro editorialista di Sabah, ha individuato in un’Europa dall’identità smarrita, in ansia per il futuro e poco convinta dei suoi mezzi le ragioni della rinascita dei movimenti della destra radicale, favorita da “una civiltà in declino, sotto shock perché vede scivolare via tra le dita la propria supremazia culturale”. Il giornalista ha indicato poi, nelle medesime ragioni, la base della nascita in Turchia di una “minoranza che si definisce di sinistra, democratica e liberale, aliena al suo stesso paese e votata ad uno stile di vita liberale”, un riferimento nemmeno troppo velato ai gruppi che hanno animato le proteste di parco Gezi e la contestazione al governo in carica.
Si è concentrato invece sulla futura composizione del parlamento europeo Yusuf Kanlı, dalle pagine di Hürriyet, che mette in luce come, nonostante gli euroscettici abbiano ottenuto un buon risultato dettato da “un voto di protesta contro le politiche d’austerità”, il parlamento è ancora per due terzi in mano alle forze politiche europeiste e un’alleanza allargata di almeno tre dei maggiori partiti europeisti garantirà l’agibilità dei lavori parlamentari.
Si ragiona anche sulle possibili conseguenze dei risultati elettorali sulle relazioni tra Unione e Turchia. Kanlı ne ha approfittato per una stoccata al governo: “Quanto alle relazioni con la Turchia, appare scontato che il panorama dei diritti umani nel paese – niente affatto positivo e in peggioramento – sarà ancor più sotto i riflettori. Il successo del governo islamista al potere nel creare l’immagine del paese come di una dittatura elettiva non solo ha rinforzato le fila dei gruppi ostili alla Turchia, ma ha anche alienato le simpatie degli alleati”.
Di tutt’altro tenore l’opinione di Cemil Ertem su Sabah che, in un commento tra i più radicali tra quelli pubblicati negli ultimi giorni, fa derivare i successi delle liste euroscettiche da un diffuso sentimento antiturco e anti-islamico europeo. Secondo Ertem, infatti, il dato elettorale mette in rilievo una diffusa nostalgia ideologica dello stato-nazione e una resistente attitudine reazionaria, insita nel dna europeo, di cui il vecchio continente sembra non riuscire a liberarsi. Al contrario, a suo giudizio la Turchia sta ora abbandonando politiche di simile stampo a favore di un nuovo percorso che include l’islam come nuova forma di giustizia sociale. Sarebbe proprio questo cambiamento a suo avviso a suscitare reazioni antiturche e antislamiche in Europa.
Una lettura così tagliente è controbilanciata da altre opinioni, come quella di Ahmet İnsel, analista della Galatasaray University. In un’intervista a Hürriyet, si è detto preoccupato dall’eccessiva enfasi posta sull’islamofobia, che sta generando una retorica vittimistica usata da Erdoğan e dal governo in carica per dare la colpa ad altri dei fallimenti nell'avvicinamento europeo perché "sarebbero gli altri a non volerci, perché islamofobi”. İnsel ritiene invece che l’ingresso della Turchia nell’Unione potrebbe rappresentare la “medicina contro la crescita della destra estrema europea”. L’analista suggerisce infatti che “l’adesione turca significherebbe un aumento della popolazione islamica in Europa, che non solo non rappresenterebbe più una minaccia straniera, ma significherebbe la cessazione dell’idea di Europa come fortezza eretta a difesa della civiltà cristiana contro la barbarie islamica".
Sempre İnsel tratteggia poi un ardito scenario futuro: un’Europa costituita da due sfere complementari, una interna di cui farebbero parte coloro che sponsorizzano l’integrazione politica e una esterna destinata a coloro che vedono l’eurozona unicamente come un’area di mercato unico e cooperazione economica: “Credo che solo allora la Turchia farà il suo ingresso nell’Unione Europea.” Una visione, questa, che stuzzica anche Yusuf Kanlı, che vede in questa via una possibile soluzione per conciliare le visioni dei fautori dell’integrazione totale e degli euroscettici.
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