Da un piccolo paesino sulle coste dell’Egeo, alcune impressioni raccolte durante la notte elettorale per l’elezione diretta del presidente della Repubblica, vinte col 52% dall’attuale premier Recep Tayyip Erdoğan
La piazzetta del borgo di mare, a sera, non è diversa da quella di molti altri paesi del Mediterraneo. Un vento delizioso la attraversa, spazza via il caldo affannoso di un pomeriggio interminabile e allo stesso tempo sembra sospingere sciami di ragazzetti e di ragazzette in bici, sui pattini, sugli skateboard che rullano senza requie sul piastrellato urbano. Anche qui, come in tante altre riviere di questo mare, i giovani maschi ostentano capigliature scolpite dal gel, orecchini luccicanti, qualche tatuaggio nuovo di stagione; le ragazze, in shorts e con l'ombelico scoperto, i capelli lunghi mossi dall'aria in libere ondulature, passeggiano, scherzano, si mescolano con loro: hanno la sicurezza e la disinvoltura di chi non ha mai fatto altro e non pensa che ciò possa mai finire. Attorno a questa piazza in perpetuo movimento, rischiarata dai lampioni sotto gli alberi e da una luna piena oggi particolarmente gonfia, decine e decine di tavolini risuonano di risate, del tintinnio di piattini e di cucchiaini: chi beve l'immancabile çay bollente dai bicchierini diafani e fumanti, chi si gode due birre ghiacciate e appannate, chi centellina un'acquavite locale. Da uno spiazzo vicino, rumore di giostre, altoparlanti che trasmettono le musiche più disparate, svaporate di frittelle che saltellano nell'olio bollente.
Siamo in un paesino della Turchia sulle coste dell'Egeo, le isole greche di Simi e Lero sono a un tiro di schioppo, la grande Rodi cosmopolita è appena più distante; contrariamente alla adiacente e più rinomata stazione turca di villeggiatura di Marmaris, però, frequentata soprattutto da turisti di tutta Europa, qui i villeggianti sono quasi tutti turchi.
Alle 21,40 circa di questa domenica, 10 agosto 2014, all'allegria e alla spensieratezza generali sembra dover aggiungersene un'altra. Seduto come tanti altri al mio tavolino (ho optato per il tè 'alla turca') sento avvicinarsi un corteo di auto strombazzanti a festa. Come molti altri, forse, penso ad un matrimonio, uno dei tanti che qui si celebrano una volta concluso il Ramadan. Il suono dei clacson si fa sempre più vicino; infine sbuca dal viale che arriva alla piazza. Cerco con lo sguardo di individuare la macchina con gli sposi. Ma mi inganno: gli occupanti delle auto sono quasi tutti uomini, e non sono in abiti di gala. Sventolano bandiere nazionali unite a quelle del partito di Erdoğan, l'AKP. Improvvisamente capisco. Tutti improvvisamente capiscono. Il leader politico che tanto divide la Turchia ha vinto nelle elezioni di oggi, i dati già confermano una maggioranza assoluta che gli conferisce la carica di Presidente della Repubblica senza dover affrontare un rischioso ballottaggio.
All'irrompere sul lungomare di quel corteo di auto, tutte le attività in corso nella piazza - i giochi, le chiacchiere, le corse, le risate: tutte, eccetto le giostre - si interrompono. Scende un gelo, un gelo che isola i manifestanti, i quali invece, dalle loro auto, esortano la gente ad unirsi a loro, ad applaudire, cercano invano un consenso che non arriva: su alcuni volti, in certi inviti reiterati, leggo, ma forse mi sbaglio, un'aria di sfida. Saranno una decina di auto in tutto: fanno il giro della rotatoria presso la piazza, che poi le riporta nel viale da cui erano venute. Dietro di loro, un paio di mezzi della polizia fanno da scorta, non si capisce bene se per controllarli o per proteggerli da eventuali reazioni altrui. L'evento dà l'idea di qualcosa di poco spontaneo. Ciò non mi stupisce: qui siamo nel 'distretto dell'Egeo', la regione turca meno favorevole alla 'islamizzazione' morbida ma tenace condotta dall'AKP; il cui leader va ora ad occupare, colmo dei colmi, il ruolo che fu del laico Atatürk. Come in tutte le piazze principali turche, anche qui la statua del fondatore della Turchia moderna, invero un po' in ombra, volge le spalle al mare e sembra seguire, pensosa, quanto accade.
Il piccolo corteo esultante lascia tutti impassibili, come detto; non indifferenti, però: colgo commenti di amarezza, qualche accenno di nervosismo. Rientrando a sera, verso casa, intravedo una signora bionda, sola, che davanti a un piccolo schermo si morde le dita: qui d'estate si vive e si abita quasi in strada, tra i piccoli vicoli che scendono verso l'Egeo. Colgo il suo sfogo: "Quest'uomo ci vorrebbe tutte coperte. Non ho paura, ma mi preoccupo per il futuro mio e per quello dei miei figli: in che paese cresceranno?" Le faccio notare che la vittoria di Erdoğan, data quasi al 60%, ha appena superato il 51. Ciò accentua la sua amarezza: "Molti di noi se ne stavano in vacanza, e non sono neanche rientrati a votare. Il 25% non ha votato!". Osservo che da noi in Italia, alle ultime politiche, la percentuale di non votanti è stata ben maggiore. Ma certo, rifletto tra me e me: da noi nessuno pensa che qualcuno dei contendenti voglia mettere in discussione addirittura un modo di vita.
So bene che questo borgo di mare è solo un minuscolo pezzetto di un grandissimo paese. In molti altri luoghi, certo la reazione è stata ben diversa, anche opposta a quella cui ho casualmente assistito; e questa sera di plenilunio sull'Egeo costituisce un frammento molto parziale di un mosaico assai variegato. Ma sicuramente la Turchia avrebbe molto da perdere, se questa sua varietà prima o poi avesse fine. Riuscirà il nuovo presidente ad attuare il suo programma di governo, che prevede un rinnovamento profondo del Paese, trovando un ragionevole compromesso che consenta alle sue anime contraddittorie di convivere?