Nel susseguirsi di allarmi rispetto alle strategie militari russe in Ucraina, non sfugge l'Area di esclusione di Černobyl. Il reattore nucleare scoppiato nel 1986 si trova sulla direttrice che dal confine Bielorusso conduce verso la capitale Kiev
Il 4 febbraio scorso, alla presenza di decine di giornalisti e fotografi della stampa internazionale, le truppe ucraine hanno svolto un’esercitazione militare nell’Area di esclusione di Černobyl, il reattore nucleare esploso la notte del 26 aprile 1986 ed ancora oggi sotto attenta osservazione.
La presenza del ministro della Difesa, Oleksiy Reznikov, regista e ideatore dello show mediatico, ha dato un tono ufficiale all’addestramento. Rimarcando la preparazione e la determinazione delle proprie forze armate, Reznikov ha precisato che Černobyl è l’ultimo regalo d’addio lasciato “dall’impero sovietico” al popolo ucraino.
Ora che le immagini satellitari hanno confermato che la Russia ha ammassato proprie truppe anche nell’aeroporto dismesso di Zyabrovka e nella città di Rečika, lungo il confine ucraino della Bielorussa, il governo ucraino teme che una delle prime mosse di Putin in caso di attacco sarà quella di dirigersi direttamente sulla capitale Kiev. “Una delle possibili vie di accesso è proprio attraversare la zona di esclusione di Černobyl, poco importa se è anche quella più pericolosa dal punto di vista della salute” affermano i comandi militari ucraini, non senza un certo compiacimento nel mostrare l’aspetto cinico del presidente russo.
La via più sicura, infatti, quella che percorre l’autostrada passando da Černihiv, ad est della centrale, è strettamente sorvegliata e presidiata, a differenza di quella “radioattiva”.
Ma cosa potrebbe accadere se, come viene prospettato, l’esercito di Mosca decidesse realmente di attraversare questa zona, disabitata e pericolosa? I circa 7.500 soldati ucraini che presidiano l’area, che copre una superficie di circa 2.600 chilometri quadrati, non sarebbero certo sufficienti a contrastare l’avanzata di reparti numericamente soverchianti, tecnologicamente meglio armati e ottimamente addestrati.
Anche la radioattività non sarebbe un ostacolo insormontabile: tranne alcuni hot spots, accuratamente segnati su mappe costantemente aggiornate e facilmente reperibili perché pubbliche, gran parte del terreno ha ormai una quantità di radioisotopi accettabile. Nel centro di Pripyat, ad esempio, il livello di radiazioni medio misurato nel corso del 2021 è stato di 8 mSv/anno, simile a quello presente a Piazza San Pietro a Roma (è comunque ancora vietato viverci, oltre che per una questione di sicurezza, perché le radiazioni variano a seconda delle condizioni atmosferiche raggiungendo picchi elevati, seppur per un tempo limitato). Una visita giornaliera nella zona di esclusione, entrando anche nella centrale di Černobyl, comporta una dose ricevuta pari a circa 0,1 mSv, pari ad una radiografia ai raggi X fatta al torace. Non poco, ma neppure incredibilmente elevata, se pensiamo che certe zone della Terra hanno un fondo naturale di radioattività ancora più elevato.
Non è quindi la “morte certa”, come pomposamente annunciato da qualche funzionario ucraino, quella che aspetterebbe i militari russi se entrassero nella zona di esclusione.
I russi conoscono la zona a menadito, visto che l’hanno controllata fino al 1991, anno in cui hanno lasciato l’Ucraina dopo il dissolvimento dell’Urss. Da allora nessun cambiamento è stato apportato: nessun edificio si è aggiunto a quelli già esistenti, nessun nuovo bunker è stato scavato, nessuna strada aggiunta. Terreno amico, dunque, in cui anche gli ucraini devono spostarsi secondo regole e sentieri ben definiti per aggirare gli hot spots.
Il problema maggiore, invece, sarebbe causato dalla quantità di terra arata dai cingoli dei mezzi corazzati, dispersa dalle pale degli elicotteri che sorvolerebbero a bassa quota la zona e trasportata fuori dalla zona di esclusione dagli scarponi e dalle mimetiche di migliaia di soldati. L’invasione, se ci sarà, non sarà certo una processione e sconvolgerà l’intero territorio rischiando, questo è il problema più grande, di portare radioattività al di fuori dalla zona contaminata.
Paradossalmente il luogo più sicuro sarà proprio la centrale nucleare di Černobyl: nessuno sarà così pazzo di toccarla o, peggio ancora, bombardarla. In primo luogo perché non vi è nulla, al suo interno, che potrebbe allettare un esercito invasore, poi perché il sistema di contenimento delle radiazioni è talmente delicato che il minimo scompenso potrebbe generare un effetto domino non certo devastante, ma abbastanza preoccupante da allertare anche gli amici bielorussi e le comunità russe che si trovano in linea d’aria solo un centinaio di chilometri dalla centrale (e i venti, si sa, non hanno bisogno di passaporti o visti per varcare le frontiere). Infine, Putin non ha bisogno di inimicarsi la comunità internazionale e ricevere i biasimi di paesi potenzialmente suoi alleati risvegliando la paura di un nuovo fallout. Specialmente se non si vuole irritare Pechino. La Cina è fortemente impegnata in un “restyling” energetico in cui il nucleare avrà un ruolo fondamentale e non vedrebbe di buon occhio una nuova potenziale alzata di scudi antinucleare.