Mentre il mondo non sembra più curarsi della guerra che si continua a combattere in Donbass, e che lo scorso mese ha fatto il più alto numero di vittime dell’ultimo anno, scoppia il caso della Crimea
Di quello che è realmente successo non si sa molto. Nelle prime ore dello scorso 7 agosto, alcune fonti locali hanno riferito di scontri alla frontiera de facto tra Ucraina e Crimea russa. È stato riferito di colpi di arma da fuoco, ma qualcuno ha parlato anche di mortai. Il sito del canale televisivo ucraino “5”, nelle prime ore dell’accaduto, ha riferito di colpi sparati dalle guardie di frontiera russe contro un automobilista che ha cercato di superare la fila di auto in attesa e forzare i controlli.
Nelle stesse ore il quotidiano russo Novaya Gazeta riferiva invece di alcuni morti tra i militari russi a causa di fuoco ucraino. Le informazioni si sono accavallate senza però che nessuna potesse confermare l’altra. Su una cosa sola sembrava esserci certezza, ossia sull’imponente concentrazione di veicoli militari russi nella zona di Armyansk, vicino al confine de facto.
La versione di Mosca
Tre giorni dopo, il 10 agosto, il servizio di sicurezza federale di Mosca, Fsb, ha diffuso un comunicato in cui ha fatto sapere di aver sventato tre tentativi di incursione armata da parte di militari ucraini in Crimea. Secondo l’Fsb, sette uomini armati hanno attraversato il confine eludendo i controlli, ma sono stati intercettati dalle forze speciali, che hanno aperto il fuoco. Due ucraini e due ufficiali russi sarebbero morti, altrettanti sarebbero rimasti feriti, mentre i restanti cinque “infiltrati” sono stati arrestati.
Il quotidiano russo Kommersant afferma che il commando avrebbe avuto con sé degli esplosivi a basso potenziale con cui avrebbero voluto spargere il panico nelle località di villeggiatura per danneggiare l’industria turistica.
L’Fsb ha poi caricato su YouTube un video con l’interrogatorio di uno dei militari arrestati, Evgeniy Panov, che avrebbe confessato di far parte di un commando di sabotatori addestrati dai servizi segreti militari ucraini, Gur.
Le autorità ucraine hanno negato ogni circostanza. Il portavoce delle forze armate di Kiev, Oleksandr Motuzyanyk, ha detto che le affermazioni di Mosca “non corrispondono alla realtà. L’Ucraina non ha commesso alcun atto di provocazione armata in Crimea né in altre zone, e nessun membro dei servizi militari è detenuto nella Crimea occupata”. Il capo dell’intelligence militare ucraina, Valery Kondratyuk, ha confermato invece che ci sarebbero stati degli spari al confine, ma a spararsi tra loro sarebbero stati i russi stessi dell’Fsb e della polizia di frontiera.
Gli osservatori della missione speciale dell’Osce in Ucraina hanno scritto nel loro rapporto quotidiano che “nessuna delle persone sentite sul posto ha potuto confermare le notizie di stampa riguardo scontri a fuoco o attività militari nelle vicinanze del confine amministrativo” con la Crimea.
Insomma, ancora nessuno è in grado di dire quale sia la versione dei fatti.
Stato di allerta
A seguito dell’incidente, vero o presunto, la tensione si è comunque alzata ai livelli di guardia. Poche ore dopo la diffusione del comunicato dell’Fsb, il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto una conferenza stampa in cui ha detto senza mezzi termini che “l’Ucraina ha scelto la via del terrore e non quella della pace. Prenderemo seri provvedimenti per garantire la sicurezza della Crimea”.
Come se non bastasse, il giorno seguente Putin ha riunito il consiglio di sicurezza della Federazione per discutere “ulteriori misure per garantire la sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture vitali della Crimea per prevenire atti terroristici contro la penisola, come misure antiterrorismo in terra, mare e cielo intorno alla Crimea”, come scritto in un comunicato sul sito del Cremlino.
Per tutta risposta, il presidente ucraino Petro Poroshenko ha messo in stato d’allerta le proprie forze armate contro un imminente intervento militare russo su vasta scala in territorio ucraino.
L’inasprimento dei toni tra i due Paesi non squarcia il sereno. La guerra in Donbass non ha mai smesso di fare morti, pur nel silenzio (quasi) generale dei media internazionali. Lo scorso mese di luglio ha segnato il più alto numero di vittime nell’ultimo anno e il rischio di un’escalation verso un conflitto più cruento, come prima della tregua firmata a Minsk nel febbraio 2015, è sempre dietro l’angolo. Va notato però che la nuova crisi si concentra su una zona – il confine de facto tra la Crimea annessa e l’Ucraina – distante dalla linea di frizione di Minsk e dove non si è mai sparato un colpo, nemmeno al tempo della comparsa degli “omini verdi” nel 2014.
Non sembra realistico che la Russia possa avere oggi interesse a scatenare una guerra di conquista sul suolo ucraino (il progetto Novorossija è stato rimesso in cantina da tempo e l’idea de corridoio terrestre tra la Russia continentale e la penisola è superata ormai dal ponte sullo stretto di Kerch, i cui lavori avanzano speditamente), ma salta la mosca al naso quando Putin parla di garantire la sicurezza delle infrastrutture vitali per la Crimea. La penisola infatti dipende ancora dal resto dell’Ucraina per la fornitura di corrente elettrica e di acqua.
I sabotaggi degli scorsi mesi ai tralicci dell’alta tensione in territorio ucraino, che hanno lasciato al buio la Crimea, hanno mostrato tutta la sua fragilità. La centrale elettrica di Kakhovka alimenta l’intera rete elettrica crimeana, mentre il “canale della Crimea del nord” porta l’acqua del Dnepr in gran parte della penisola. Entrambe sono infrastrutture vitali per la Crimea, entrambe si trovano nella regione ucraina di Kherson, a un tiro d schioppo dal confine, e Putin non ha detto che le infrastrutture di cui vuol garantire la sicurezza si trovano per forza sul suolo della Crimea.
Che Putin sia pronto a prendersi un altro pezzo di Ucraina o che Poroshenko voglia alzare il tiro in Crimea, in ogni caso, la nuova crisi un effetto lo ha già causato: mettere forse l’ultimo chiodo alla bara degli accordi di Minsk.