Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan in visita a Kiev, nel febbraio 2020 - Siarhei Liudkevich/Shutterstock

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan a Kiev, nel febbraio 2020 - Siarhei Liudkevich/Shutterstock

La crisi in Ucraina, che vede confrontarsi due avversari storici come Washington e Mosca, prosegue senza spiragli. Nel frattempo Ankara, forte delle relazioni con Kiev arrivate ai loro massimi storici, cerca di posizionarsi come possibile mediatore

07/02/2022 -  Claudia BettiolLeonardo Zanatta

Da più di due mesi i riflettori sono puntati sulla crisi in Ucraina, paese relegato ormai a oggetto di contesa tra due potenze che sono tornate a mostrare i muscoli per far vedere al mondo chi comanda. Sullo scacchiere internazionale si sta, infatti, giocando una partita tra due avversari storici, Washington e Mosca, che si contengono lo spazio geopolitico strategico occupato dall’Ucraina, ormai ridotta a una semplice pedina che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. La crisi ha oggi raggiunto il punto di non ritorno: ogni tentativo di bloccare (l’ennesima) minaccia di un’invasione militare russa nei confronti di Kiev - al fine di impedire che questa entri a far parte dell’Alleanza atlantica - e di portare la questione della guerra russo-ucraina al tavolo dei negoziati per avviare un dialogo diplomatico tra le parti, sembra nuovamente cadere nel vuoto. Stando ai fatti, una guerra di vasta scala tra Russia e Nato potrebbe scoppiare da un momento all’altro.

Nel frattempo, la vita quotidiana a Kiev e nelle altre località ucraine continua senza grandi cambiamenti: nessuna coda nei negozi o nelle stazioni di servizio per acquistare beni o servizi strategici, né gente che gira disperata per le strade trascinandosi valigie, pronta a lasciare il paese, nonostante l’alta tensione che si respira. Questa escalation ha, infatti, seminato il panico in Europa e oltreoceano (tanto che nelle settimane scorse Stati Uniti e Regno Unito hanno ridotto il personale diplomatico degli uffici di Kiev), ma non tra gli ucraini, già abituati a convivere con queste minacce di aggressione da otto anni - da quando nel 2014 è scoppiato il conflitto armato nei territori orientali del Donbass e Mosca ha illegalmente annesso la penisola di Crimea - e di nuovo pronti a mobilitarsi per difendere la propria patria e la sovranità del paese. La popolazione è dunque preparata ad affrontare la crisi che incombe e che si gioca tra i poteri forti, altrettanto cosciente del fatto che se dovesse scoppiare un altro conflitto su larga scala, dovrà sempre e comunque dimostrare di sapersela cavare da sola.

Accordi che tardano ad arrivare

Lo scorso 2 febbraio la testata spagnola El Pais ha reso pubblici alcuni documenti confidenziali sulla crisi ucraina contenenti le risposte congiunte di Nato e Stati Uniti alle richieste presentate dalla Russia sulla questione della sicurezza euro-atlantica. Secondo quanto riportato, gli alleati occidentali si sono rifiutati di firmare un trattato bilaterale con il Cremlino sulla sicurezza in Europa per porre fine alla crisi in Ucraina, mancando di sostenere la richiesta della Russia per la non proliferazione della Nato . Washington rimane, infatti, fermo sulle proprie posizioni: non esclude la futura adesione dell'Ucraina (e di altri paesi richiedenti, come la Georgia) al patto atlantico.

Nella risposta ufficiale a Mosca, la Nato ha spiegato che non vuole un conflitto aperto con la Russia, ma che non transige e non è disposta a scendere a compromessi su questioni chiave come quella della sicurezza in Europa e Nord America. Le preoccupazioni dell’alleanza non si limitano alla guerra convenzionale: la Nato propone anche la promozione di uno cyberspazio libero, aperto e sicuro, al fine di ridurre le minacce nel mondo cibernetico ed evitare il ripetersi di attacchi informatici in futuro (l'Ucraina, proprio nel mezzo di questa recente escalation, è stata vittima di attacchi informatici attribuiti alla Russia).

Washington, dal canto suo, aggiunge che è stata Mosca la prima a "sfidare i principi fondamentali dell'architettura di sicurezza globale ed euro-atlantica", violando la fiducia che sta alla base della cooperazione internazionale e gli accordi fondamentali su cui si fonda la sicurezza europea "che sanciscono i principi di sovranità, integrità territoriale, e il diritto di ogni stato di scegliere i suoi accordi e alleanze di sicurezza”. Gli Stati Uniti stabiliscono inoltre una serie di questioni su cui discutere apertamente, in separate sedi, con la Russia, dimostrando di essere pronti al dialogo con il Cremlino sulle misure congiunte di disarmo e di rafforzamento della fiducia reciproca, il cui successo dipende dalla de-escalation della minaccia militare in Ucraina e lungo i confini.

Nel frattempo, sembra che l'Unione europea sia stata relegata ad avere un ruolo marginale nella questione, ma senza una politica chiara e compatta verso i suoi vicini orientali e verso Mosca, l'Ue non può certo affrontare le sfide geopolitiche di oggi. Quando si parla di Ucraina, a parte la quasi assenza di qualsiasi leadership della Commissione europea, del Servizio europeo per l'azione esterna e del Consiglio europeo, il blocco è pieno di divisioni. Nonostante l’assistenza che l’Unione ha stanziato sin dal 2014 in aiuto a Kiev, gli stati membri hanno faticato ad accordarsi non solo sulle ulteriori sanzioni economiche alla Russia, ma anche sui legami politici e commerciali bilaterali con Mosca: la posizione più ambigua rimane quella di Berlino, le cui élite politiche tendono a essere parzialmente dipendenti dalla Russia (come dimostra il progetto di costruzione del gasdotto Nord Stream 2). La sfiducia nei confronti della Germania - e di altri stati membri - è quindi profonda.

Ankara, un possibile mediatore?

Il 21 gennaio, mentre gli alti diplomatici di Russia e Stati Uniti si riunivano a Ginevra per continuare i precedenti colloqui sulla questione ucraina, avviati il 9 gennaio e rivelatisi inconcludenti, il leader di un altro stato si pronunciava sul quadro delle crescenti tensioni tra Mosca e Kiev. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, affermava come “qualsiasi sviluppo nella regione tra i due paesi, dalle violazioni dei confini allo scoppio di una guerra, comporterebbe una grave violazione della pace regionale”.

Come confermato dalla sua presenza alla decima riunione del Consiglio strategico di alto livello turco-ucraino del 3 febbraio, durante la quale ha avuto la possibilità di trattare anche la spinosa questione dei rapporti con la Russia con il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, Erdoğan sembra avere le idee ben chiare: che Ankara volesse porsi come mediatore nella crisi tra Russia e Ucraina e portare il tavolo delle trattative sul Bosforo, creando così un’alternativa ai negoziati di Minsk del 2015, lo si era già percepito a novembre 2021. In questo frangente, lo stesso Erdoğan aveva ribadito più volte come il suo paese fosse “a favore di stabilire la pace nella regione e di discutere con la Russia in maniera pacifica”. Se al tempo il Cremlino aveva ignorato le parole del presidente turco, limitandosi a rispondere che “la Russia non fosse una parte del conflitto in Donbass", questa volta le reazioni sono state diverse. Il 19 gennaio, nel corso di una conferenza stampa, il portavoce del presidente russo Vladimir Putin, Dmitrij Peskov ha dichiarato che la Russia "accoglie con favore gli sforzi di tutti i paesi che possono aiutare a risolvere la situazione in Ucraina”.

Oltre che per questioni geografiche e storiche, la Turchia ha serie preoccupazioni di natura economica, di sicurezza e di difesa in un eventuale conflitto aperto tra Russia e Ucraina. I tre paesi attribuiscono al Mar Nero un’importanza fondamentale; per Mosca e Kiev si tratta dell’accesso al Mediterraneo, per Ankara di una fonte di introiti non indifferente, visto il controllo sugli stretti del Bosforo e Dardanelli. Lo scoppio della guerra comporterebbe gravi rischi per la Turchia, paese peraltro membro della NATO e che si troverebbe in prima linea dinanzi al conflitto. Proprio per questo motivo, Erdoğan sembra essere intenzionato a sfruttare i buoni rapporti con Mosca e Kiev per scongiurare la possibile minaccia e rafforzare il ruolo diplomatico di Ankara nella regione.

Le relazioni tra Turchia e Ucraina sono ai loro massimi storici. A prova di ciò vi è il volume degli scambi commerciali, il quale è aumentato notevolmente e ha oltrepassato i 7 miliardi di dollari nel 2021. Durante l'incontro tenutosi a Kiev, le delegazioni turche e ucraine hanno siglato accordi di valenza decisiva per quanto riguarda la creazione di una zona di libero scambio, la cooperazione nel campo della politica giovanile, la cooperazione tecnica, sulla ricerca e sulla formazione scientifica e, infine, il prolungamento della cooperazione tra le forze dell’ordine (siglato per la prima volta a Kiev nel 2009). Nel corso dell’incontro, Erdoğan si è ritenuto soddisfatto di come le aziende turche abbiano contribuito al completamento di alcuni importanti progetti infrastrutturali in Ucraina e di come, nonostante l’epidemia, il suo paese abbia ospitato più di 2 milioni di cittadini ucraini nel 2021.

L’aspetto della sinergia turco-ucraina che concede però ad Ankara una via preferenziale per sedersi al tavolo delle trattative sulla sicurezza tra Mosca e Kiev è quello della cooperazione militare. Dal 2019, la Turchia ha investito nell'industria della difesa ucraina grazie alla vendita dei droni Bayraktar TB2, usati da Kiev per attaccare le forze filo-russe nel Donbass negli ultimi mesi. A settembre 2021, la stessa azienda Bayraktar ha firmato un accordo per costruire una fabbrica di produzione TB2 vicino alla capitale ucraina e, a dicembre 2021, l’Ucraina ha prodotto i primi esemplari di droni turchi. L’accordo ha suscitato il rimprovero di Mosca, con Putin che, nel corso di una telefonata a dicembre 2021 con Erdoğan, ha dichiarato che “Ankara è coinvolta in attività provocatorie e distruttive".

I rapporti tra Russia e Turchia vengono spesso definiti come una “cooperazione competitiva”, caratterizzata da continui paradossi, tensioni e apparenti riconciliazioni. In questo scenario, Siria, Libia, e Caucaso meridionale costituiscono tre aree caldissime di disaccordo ma anche di coabitazione strategica tra Mosca e Ankara. Da un lato, la Turchia è fortemente dipendente dalla Russia per quanto riguarda la sfera economica; tanto per i milioni di turisti russi che portano ogni anno la valuta straniera nel paese, quanto per gli approvvigionamenti di gas naturale per soddisfare l’elevato fabbisogno energetico turco. Dall’altro, Mosca sa che Ankara ha la geografia dalla sua parte: ai sensi della Convenzione di Montreux del 1936, la Turchia si impegna a garantire l'accesso al Mar Nero alle navi militari russe di stanza nel Mediterraneo orientale.

Pur essendo membro dell’Alleanza atlantica, Ankara ha sempre camminato su una linea sottile sull’espansionismo russo nello spazio post-sovietico. Durante l'intervento di Mosca del 2008 in Ossezia meridionale e in Abkhazia, la Turchia ha rifiutato di revocare le restrizioni sulle dimensioni e sul numero di navi da guerra statunitensi che avrebbero consentito - attraverso il Bosforo - l’accesso al mar Nero per affrontare la Russia. Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, pur essendo stato uno dei primi stati a condannare senza esitazioni il gesto della Russia (condanna guidata anche da motivi etnici, vista l’importante minoranza tatara in Crimea), la Turchia ha rifiutato di applicare le sanzioni statunitensi e dell'Unione europea al Cremlino.

In quanto secondo esercito più grande della Nato, la Turchia sarebbe in prima linea in una guerra dell'alleanza contro la Russia. Portando il tavolo delle trattative sul Bosforo, Ankara non eviterebbe soltanto di mobilitare il suo esercito e di dover peggiorare le sue relazioni con un partner economico così importante come la Russia, ma rafforzerebbe la sua presenza diplomatica nell’area del mar Nero, un tempo culla dei successi ottomani, oggi appannaggio degli interessi geopolitici di Erdoğan.

 

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